Nell’angolo più remoto del giardino c’era un albero tutto ricoperto di squisiti boccioli bianchi. Aveva rami d’oro da cui pendevano frutti d’argento, e sotto di esso stava il ragazzino ch’egli aveva amato.
Fuor di sé dalla gioia il Gigante si precipitò abbasso e corse fuori in giardino. Attraversò il prato a passi rapidi e si avvicinò al bambino, ma quando gli fu da presso il suo viso si invermigliò di collera ed egli disse:
«Chi ha osato ferirti?» poiché le palme delle mani del bambino recavano l’impronta di due chiodi, e il segno di due chiodi era impresso sui suoi minuscoli piedi.
«Chi ha osato ferirti?» ripetè il Gigante «dimmelo, che io prenderò la mia grossa spada e lo ucciderò!»
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«No, non devi,» rispose il bambino «poiché queste sono le ferite dell’Amore.»
«Chi sei tu?» domandò il Gigante, e un misterioso timore lo invase, ed egli si inginocchiò davanti al piccolo bambino.
E il bambino sorrise al Gigante e gli disse:
«Una volta tu mi hai lasciato giocare nel tuo giardino, oggi verrai con me nel mio giardino, che è il Paradiso.»
E quando i bambini vennero come il solito quel pomeriggio trovarono il Gigante disteso sotto l’albero, morto, tutto coperto di candidi petali.
L’AMICO DEVOTO
Un mattino il vecchio Topo di fogna cacciò la testa fuor dalla sua tana.
Aveva due occhi vispi e tondi come perline e rigidi baffi grigi, e la sua coda assomigliava a un lungo pezzo di gomma nera. Gli Anatroccoli stavano nuotando nello stagno, simili in tutto e per tutto a una frotta di canarini gialli, e la loro mamma, che era di un bianco candido e aveva due vere gambe rosse, cercava di insegnargli a stare ritti con la testa nell’acqua.
«Non potrete mai entrare nella buona società se non imparerete a stare ritti sulla testa» seguitava a ripetere ai suoi bambini, e di tanto in tanto mostrava loro come dovevano fare, ma gli Anatroccoli non le davano retta; erano così giovani che non avevano la minima idea del vantaggio che si può avere a frequentare la buona società.
«Che bambini disobbedienti!» gridò il vecchio Topo di fogna.
«Meriterebbero proprio di morire annegati!»
«Neanche per sogno!» ribatté la Mamma Anatra, «tutti devono imparare, e bisogna che i genitori si armino di una grande pazienza.»
«Ah io non so nulla di quel che provano i genitori,» disse il Topo di fogna «personalmente non sono un tipo adatto a metter su famiglia: infatti non mi sono mai sposato, e me ne guardo bene dal farlo. L’amore a modo suo è una bellissima cosa, ma l’amicizia è molto superiore. Francamente trovo che non esisti niente al mondo che sia più nobile o più prezioso d un’amicizia devota.»
«Per favore, vuoi dirmi qual è il tuo punto di vista circa i doveri di un amico devoto?» gli domandò un Fanello verde, che era rimasto appollaiato su un salice lì vicino, e aveva inteso la conversazione.
«Già, anche a me piacerebbe saperlo» disse l’Anatra, e nuotò sino Oscar Wilde
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all’estremità opposta dello stagno e si mise sulla testa onde dare ai suoi bambini un buon esempio.
«Che domanda stupida!» esclamò il Topo di fogna. «Pretenderei che il mio amico devoto fosse devoto a
me, si capisce!»
«E tu che cosa gli daresti in cambio?» domanda l’Uccellino, dondolandosi su un ramo argenteo, e battendo le sue minuscole ali.
«Non ti capisco» rispose il Topo di fogna.
«Se permetti, ti racconterò una storia in proposito» disse il Fanello.
«È una storia che riguarda me?» chiese il Topo di fogna. «In questo caso l’ascolterò volentieri, perché i racconti immaginari mi piacciono moltissimo.»
«Be’, si può adattarla al caso tuo» replicò il Fanello, e volò giù e posandosi sulla sponda dello stagno raccontò la storia dell’Amico Devoto.
«C’era una volta,» incominciò il Fanello «un bravo omino che si chiamava Hans.»
«Era una persona distinta?» chiese il Topo di fogna.
«No,» rispose il Fanello «credo anzi che non fosse affatto distinto, tranne che per il suo buon cuore e per la sua buffa faccia tonda e sempre di buon umore. Abitava in una casettina piccina piccina tutto per conto suo, e ogni giorno lavorava nel suo giardino. In tutta la contrada non esisteva un giardino bello come il suo. Vi crescevano garofanetti selvatici e violacciocche, borse di pastore e belle di Francia, rose di Damasco e rose gialle, crochi color gridellino e oro, viole bianche e porporine, aquilegie e mantelli di dama; la maggiorana e il basilico selvatico, la primula e il fiordaliso, l’asfodelo e i chiodi di garofano vi sbocciavano o fiorivano nel loro giusto ordine a seconda dell’avvicendarsi dei mesi, ogni fiore prendendo il posto di un altro fiore, cosicché vi erano sempre cose belle da vedere, e grati profumi da odorare.
Il piccolo Hans aveva moltissimi amici, ma di tutti il suo amico più affezionato era il grosso Hugh il Mugnaio. Il ricco Mugnaio infatti era talmente affezionato al piccolo Hans che non osava passare mai dal giardino di questo senza sporgersi oltre il muro di cinta e cogliere o un gran mazzo di fiori, o una manciata di erbe aromatiche, oppure senza riempirsi le tasche di susine e di ciliege se era la stagione della frutta.
“I veri amici devono avere tutto in comune” soleva dire il Mugnaio, e il piccolo Hans faceva cenno di sì col capo e sorrideva, e si sentiva molto orgoglioso di avere un amico di idee tanto nobili.
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Talvolta, a dire il vero, i vicini trovavano strano che il ricco Mugnaio non desse mai nulla in cambio al piccolo Hans, benché nel suo mulino avesse riposti più di cento sacchi di farina, e possedesse sei mucche da latte, e un grande gregge di pecore lanose, ma Hans non si tormentava mai il cervello con problemi di questo genere, e nulla gli dava maggior piacere che ascoltare tutte le cose meravigliose che il Mugnaio soleva narrare intorno al disinteresse e all’altruismo della vera amicizia.
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