«Scommetto che nella tua vita c’è un mistero, Gerald! Su, raccontami tutto!»
«Andiamo a fare un giro in carrozza» disse. «Qui c’è troppa folla. No, non quella vettura gialla, un altro colore qualsiasi… ecco quella laggiù verde cupo va benissimo.» Pochi minuti dopo stavamo trottando lungo il boulevard in direzione della Madeleine.
«Dove vuoi che andiamo?» chiesi.
«Oh, dove vuoi tu… Facciamoci portare al Ristorante del Bois de Oscar Wilde
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1887 - Il Fantasma Di Canterville
Boulogne: ceneremo lì e tu mi racconterai tutte le tue cose.»
«No, devi raccontare tu per primo. Devi svelarmi il tuo segreto.»
Per tutta risposta Gerald si tolse di tasca un minuscolo astuccio di marocchino con un fermaglio d’argento e me lo porse. Lo aprii. Conteneva un ritratto di donna. Una donna alta e sottile, stranamente romantica, con due grandi occhi sognanti e i capelli sparsi per le spalle. Aveva l’aspetto di una clairvoyante (veggente) , ed era avvolta in una sontuosa pelliccia.
«Che cosa pensi di questo viso?» mi chiese Gerald. «Ti sembra sincero?»
La studiai attentamente. Mi parve il volto di una creatura che possedesse un segreto, ma se questo segreto fosse buono o malvagio francamente non avrei saputo dire. La sua bellezza pareva plasmata da molti misteri: era, in una parola, una bellezza psicologica, non plastica, e il sorriso appena percettibile che increspava quelle labbra era troppo delicato per essere genuinamente dolce.
«Ebbene,» gridò impaziente il mio amico «che ne pensi dunque?»
«Mi sembra una Gioconda impellicciata di zibellino» dissi. «Dimmi qualcosa di lei.»
«Non ora, dopo cena» mi rispose Gerald e sviò la nostra conversazione su altri argomenti.
Dopo che il cameriere ci ebbe portato il caffè e le sigarette gli rammentai la sua promessa. Si alzò allora da tavola, passeggiò un paio di volte su e giù per la sala, infine si lasciò cadere in una poltrona e incominciò a narrarmi la seguente storia:
«Una sera, erano circa le cinque, me ne andavo per Bond Street. C’era un ingombro spaventoso di vetture, e il traffico era pressoché interrotto.
Accanto al marciapiede era fermo un calessino giallo che non so più per quale motivo attrasse la mia attenzione. Proprio mentre vi passavo accanto si affacciò al finestriino il volto che ti ho mostrato questo pomeriggio. Ne fui immediatamente affascinato, e non feci che pensarvi tutta la notte e così tutto il giorno seguente, mentre andavo su e giù per quel dannato Row, scrutando ogni equipaggio, sperando di veder comparire ad ogni momento il calessino giallo; ma non mi fu possibile di rintracciare ma
belle inconnue(la mia bella sconosciuta) , e finii col convincermi che era stata soltanto una visione. Circa una settimana più tardi venni invitato dalla signora de Rastail: il pranzo era stato fissato per le otto, ma alle otto e mezzo stavamo ancora tutti in salotto, aspettando, quando infine il Oscar Wilde
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domestico aperse la porta e annunciò lady Alroy. Era la donna che andavo cercando disperatamente. Entrò con estrema lentezza; pareva un raggio di luna vestito di merletto grigio. Toccò a me, con mia somma gioia, l’onore di condurla a cena; e dopo che ci fummo seduti dissi, sforzandomi di assumere un tono indifferente: “Credo di averla intravveduta qualche tempo fa in Bond Street, lady Alroy”. Ella divenne pallidissima e mi rispose con un filo di voce: “La supplico di non parlare così forte: qualcuno potrebbe udire”. Mi sentii terribilmente infelice: l’inizio era stato davvero disastroso. Mi buttai subito a capofitto nell’argomento delle commedie francesi, ma ella parlava pochissimo, sempre con quella sua voce smorzata, soavemente musicale, quasi temesse che qualcuno la stesse spiando. Mi innamorai di lei disperatamente, stupidamente, e l’atmosfera indefinibile di mistero che la circondava eccitò in me una invincibile curiosità.
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