E tuttavia rimase seduto dov’era, quasi fosse legato alla sedia.

Con ogni particolare che gli tornava in mente cresceva infatti in lui, accanto alla vergogna, anche una catena di brutti pensieri. Questa era cominciata quando Beineberg aveva dato ai discorsi di Boena la spiegazione in seguito a cui Törless era arrossito.

In quel momento non aveva potuto fare a meno di riandare col pensiero alla propria madre, e ora ciò continuava a dominarlo e non c’era verso di liberarsene. S’era insinuato senza parere nel recinto della sua coscienza… fulmineo, o indistinto per la lontananza… e marginale, colto come in volo: quasi neanche un pensiero. E subito era seguita una serie concitata di domande destinate a soffocarlo: «Cosa fa sì che questa Boena possa accostare la sua infima persona a quella di mia madre? Che si pigi con lei nello spazio angusto dello stesso pensiero? Perché non tocca la terra con la fronte se solo deve pronunciare il suo nome? Perché non appare con l’evidenza di un abisso che qui non esiste il minimo punto di contatto? Come stanno infatti le cose? Questa donna è per me un coacervo di tutti gli appetiti carnali, e mia madre una creatura che finora ha attraversato chiara e senza ombre la mia vita, sospesa in una lontananza priva di nubi, come un astro al di là di ogni concupiscenza…»

Ma tutte queste domande non erano l’essenziale. Lo sfioravano appena. Erano qualcosa di marginale, qualcosa che a Törless era venuto in mente solo in un secondo tempo. Si moltiplicavano solo perché nessuna coglieva nel segno. Erano solo un modo per eludere, per esprimere con perifrasi il fatto che inconsciamente, all’improvviso, in maniera istintiva, era affiorata una certa relazione interiore, che aveva dato a quelle domande, già prima della loro comparsa, una risposta maligna. Törless si pasceva gli occhi alla vista di Boena e intanto non riusciva a dimenticare sua madre; tramite lui, un rapporto univa le due, e tutto il resto non era che un torcersi di fronte a un simile groviglio d’idee. Era quello l’unica cosa certa. Ma l’impossibilità di scrollarsene di dosso il dominio gli conferiva un significato pauroso e oscuro che accompagnava come un sorriso perfido tutti gli sforzi.

 

Törless si guardò attorno nella stanza per liberarsi di questi pensieri. Ma ormai tutto aveva preso quell’unico riflesso. La stufetta di ferro con le macchie di ruggine sul ripiano, il letto dalle gambe malferme e dalla testiera verniciata che si squamava in molti punti, il materasso che mostrava la sua sporcizia attraverso i buchi del logoro lenzuolo; Boena, la sua camicia scivolata giù da una spalla, il rosso volgare e sfacciato della sua sottoveste, il suo riso sguaiato e ciarliero; infine Beineberg, il cui comportamento, in confronto al solito, gli pareva quello di un prete scostumato che in un accesso di follia intercalasse parole equivoche alle cadenze severe di un’orazione… : tutto premeva in un’unica direzione, gli invadeva la mente e ricacciava indietro di continuo, a viva forza, i suoi pensieri.

Solo in un punto i suoi sguardi, che cercavano scampo passando sgomenti da un oggetto all’altro, trovarono pace, e fu al di sopra delle brevi tendine: là le nuvole guardavano nella stanza, e c’era, immobile, la luna.

Fu come se a un tratto fosse uscito nell’aria fresca e calma della notte. Per un po’ tutti i suoi pensieri tacquero. Poi gli venne in mente un ricordo gradevole. La casa di campagna dove avevano vissuto l’estate precedente. Notti nel parco silenzioso. Un firmamento di velluto nero, tremolante di stelle. La voce di sua madre dal fondo del giardino, dove passeggiava assieme a papà sui vialetti che rilucevano debolmente. Canzoni che lei, assorta, cantava a mezza voce. Ma ecco… una trafittura gelida… ecco ancora quel confronto tormentoso. Che cosa potevano aver provato i due in quel momento? Amore? No, quest’idea gli veniva ora per la prima volta. L’amore era ben altro. Non era cosa per i grandi e gli adulti, men che meno per i suoi genitori. Sedere di notte alla finestra aperta e sentirsi abbandonato da tutti, sentirsi diverso dai grandi, frainteso da ogni risata e da ogni sguardo canzonatorio, non riuscire a spiegare a nessuno quel che già si è e anelare a una che lo capisca… ecco cos’è l’amore! Ma per questo bisogna essere giovani e soli. Tra loro ci doveva essere qualcos’altro: qualcosa di quieto, pacato. La mamma di sera cantava nel giardino buio ed era contenta… tutto qui.

Ma era proprio questo che Törless non capiva. I pazienti progetti che per l’adulto, senza che se ne accorga, trasformano in mesi e anni la concatenazione dei giorni gli erano ancora estranei. E così pure quella perdita di sensibilità che nella fine di un altro giorno non vede neanche più un problema. La sua vita era tesa a cogliere ogni singolo giorno.