“Che condizioni? Eh! Dovrai essere a mia disposizione in tutto quel che faccio.” “Nient’altro? Lo farò di sicuro: già ci sto, dalla tua parte!” “Ah, ma non solo quando fa piacere a te: dovrai eseguire tutto quello che io vorrò… con obbedienza cieca!” A questo punto mi ha guardato un po’ di traverso, mezzo ridacchiando e mezzo imbarazzato. Non sapeva fino a che punto potesse impegnarsi, e fino a che punto io facessi sul serio. Probabilmente mi avrebbe promesso volentieri tutto quanto, ma doveva temere che lo stessi solo mettendo alla prova. Perciò alla fine ha detto, diventando rosso: “Ti porterò i soldi.” Mi divertiva, era uno che finora, tra gli altri cinquanta, non avevo preso affatto in considerazione. Non era mai della partita, vero? E adesso, di colpo me lo trovavo così vicino che potevo osservarlo fin nei minimi particolari. Io, certo, sapevo che lui era pronto a vendersi: senza troppo chiasso, purché nessuno ne sapesse niente. È stata davvero una sorpresa, e non c’è niente di più bello che trovarsi alle prese con uno che improvvisamente ti si apre così, e tu di colpo hai davanti la sua maniera di vivere, che finora non avevi considerato, come le gallerie di un tarlo quando si spacca il legno…

«Il giorno dopo mi ha davvero portato i soldi. Di più: mi ha invitato a bere qualcosa con lui al circolo. Ha ordinato vino, torta, sigarette e mi ha chiesto di potermi servire: per riconoscenza, ha detto, perché avevo pazientato tanto. M’infastidiva solo che facesse finta di niente a quel modo. Come se fra noi non fosse mai corsa una parola dura. Ho provato ad alludervi io, e lui è diventato ancora più cordiale. Era come se volesse sottrarsi alla mia presa, rimettersi alla pari con me. Di quelle storie non voleva più sentir parlare, e ogni due parole mi costringeva a sorbirmi una nuova protesta d’amicizia. Ma negli occhi aveva qualcosa che mi si appiccicava addosso, come se temesse di perdere quel senso di confidenza che aveva creato artificiosamente. Alla fine m’ha urtato. Mi son detto: “Ma cosa crede, che io debba proprio stare al suo gioco?” e ho cominciato a pensare in che modo avrei potuto affibbiargli uno schiaffo morale. Cercavo qualcosa che lo toccasse proprio sul vivo, e intanto m’è venuto in mente che alla mattina Beineberg mi aveva raccontato che gli erano stati rubati dei soldi. Proprio per caso, m’è venuto in mente. Poi però quell’idea è tornata, e io mi sono sentito letteralmente serrare la gola. “Verrebbe giusto a proposito,” ho pensato, e gli ho chiesto di sfuggita quanti soldi gli restassero ancora. Il conto che ho fatto subito dopo tornava. “Ma chi è stato tanto sciocco da prestarti ancora dei soldi nonostante tutto?” gli ho chiesto ridendo. “Hofmeier.”

«Credo di aver tremato dal piacere. Infatti Hofmeier era stato da me due ore avanti per chiedermi a sua volta dei soldi in prestito. Così quello che m’era passato per la testa un paio di minuti prima era diventato di colpo realtà. Proprio come se per caso, scherzando, uno pensasse: adesso questa casa dovrebbe bruciare, e un attimo dopo il fuoco fosse già alto parecchi metri…

«Ho rifatto rapidamente il conto di tutte le possibilità: la certezza assoluta, si capisce, non potevo averla, ma mi bastava il mio istinto. Così mi sono piegato verso di lui e gli ho detto col mio fare più amabile, come se stessi infilandogli pian piano nel cervello un ferro sottile e appuntito: “Ma senti, caro Basini, perché cerchi di raccontarmi delle frottole?” A queste parole, è sembrato che i suoi occhi si mettessero ad annaspare pieni di paura, ma io ho continuato: “Potrai forse raccontarlo a qualcun altro, ma io sono proprio il meno adatto. Lo sai, no, che Beineberg…” Lui non è diventato né rosso né bianco, aveva l’aria di aspettare che si chiarisse un equivoco. “Insomma, per farla breve,” ho detto io a questo punto, “i soldi con cui mi hai pagato il debito tu li hai presi stanotte dal cassetto di Beineberg!”

«Mi sono appoggiato alla spalliera per osservare l’effetto.