Ma proprio così, mentre lo guardava di sfuggita completando per il resto il ritratto con la fantasia, lo colpì la differenza. Se s’immaginava quel corpo privo di abiti gli era impossibile conservare l’idea di una snellezza composta; si vedeva invece davanti movenze irrequiete e convulse, un torcersi delle membra e un incurvarsi della spina dorsale quali si possono trovare in tutte le raffigurazioni del martirio o nelle grottesche esibizioni dei saltimbanchi.
Anche le mani, che avrebbe ben potuto ricordare in un loro gesto armonioso, non se le raffigurava se non in preda a una continua agitazione. E proprio ad esse, che pure erano la cosa più bella di Beineberg, andava l’avversione maggiore. Avevano qualcosa di osceno. Era questo probabilmente il paragone giusto. E qualcosa di osceno c’era anche nella suggestione di movenze contorte comunicata dal corpo. Nelle mani quell’aspetto sembrava in certo qual modo raggiungere la massima concentrazione, pareva irradiarsi da esse come il presentimento di un contatto che a Törless fece accapponare di raccapriccio la pelle. Lui stesso stupì di quell’idea, e se ne sgomentò un poco: era già la seconda volta nella giornata che il sesso s’insinuava all’improvviso e senza un nesso apparente nei suoi pensieri.
Beineberg s’era preso un giornale, e ora Törless poteva osservarlo bene. C’era davvero poco che potesse giustificare anche solo in parte l’improvviso balenare di una simile associazione d’idee. E tuttavia il disagio, malgrado la sua infondatezza, diventava sempre più acuto. Fra i due non erano trascorsi dieci minuti di silenzio, ma Törless si sentiva già al colmo del disgusto. Sembrava manifestarsi in ciò, per la prima volta, una sensazione di fondo, la vera natura del suo rapporto con Beineberg; una diffidenza sempre esistita, ma rimasta finora latente, sembrava essere affiorata di colpo alla coscienza.
La situazione tra i due divenne sempre più tesa. Alle labbra di Törless si affollarono offese per cui non trovava parole. Una sorta di vergogna, quasi che tra lui e Beineberg fosse davvero successo qualcosa, lo rese irrequieto. Le sue dita cominciarono a tamburellare impazienti sul piano del tavolino.
Alla fine, per liberarsi di quel singolare stato d’animo, tornò a guardar fuori dalla finestra. A questo punto Beineberg alzò gli occhi dal giornale; poi lesse forte una frase, mise da parte il foglio e sbadigliò.
Col silenzio s’era rotto anche l’incanto che aveva oppresso Törless. Parole banali cominciarono a scorrere su quel momento, cancellandolo. Era stato un barlume improvviso, seguito ora dall’antica indifferenza…
«Quanto tempo ci resta?» chiese Törless.
«Due ore e mezzo.»
Poi alzò le spalle con un brivido. Sentiva di nuovo il potere paralizzante dell’angustia in cui era prossimo a rientrare. L’orario, la quotidiana compagnia degli amici. Non ci sarà nemmeno più quella tal ripugnanza per Beineberg che per un momento sembrava aver creato una situazione nuova.
«E cosa c’è stasera per cena?»
«Non so.»
«Che materie abbiamo domani?»
«Matematica.»
«Ah. Ci sono dei compiti?»
«Sì, un paio di nuovi teoremi di trigonometria; ma riuscirai a cavartela, non sono niente di speciale.»
«E poi?»
«Religione.»
«Religione? Ah già. Ne sentiremo di nuove… Credo che quando sono in vena potrei dimostrare tranquillamente che due per due fa cinque come che non può esistere che un solo dio.»
Beineberg lanciò a Törless un’occhiata beffarda. «In questo sei proprio buffo: mi par quasi che ci trovi gusto; per lo meno, la foga che hai negli occhi lo fa pensare…»
«E perché no? In queste cose c’è sempre un punto dove non sai più se menti o se quello che hai inventato è più vero di te.»
«Cosa vuoi dire?»
«Be’, non l’intendo proprio alla lettera. Uno sa sempre che la sta dando a intendere, però a momenti la faccenda appare anche a lui tanto credibile che resta lì come imprigionato dai propri pensieri.»
«Va bene, ma tu in questo che gusto ci trovi?»
«Proprio quel gusto lì. Senti come una scossa nel cervello, una vertigine, un soprassalto…»
«Ma smettila, è tutto un gioco!»
«Non ho mica detto il contrario. Comunque, di tutta la scuola, per me questa è ancora la cosa più interessante.»
«Sì, è un modo per far fare ginnastica al cervello; però non ha un vero scopo.»
«Già,» disse Törless tornando a guardar fuori in giardino. Alle sue spalle, lontano, sentiva ronzare le fiammelle del gas. Inseguì una sensazione che gli nasceva dentro, malinconica come una nebbia. «Non ha scopo, hai ragione.
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