«Ma no, sei tu, barone! E cosa dirà la mamma?» Era un esordio dei suoi.

«Ma sta’ zitta!» brontolò Beineberg, e le si sedette vicino, sul letto. Törless si mise a sedere in disparte; era stizzito perché Boena non si curava di lui e faceva finta di non conoscerlo.

Negli ultimi tempi le visite a quella donna erano diventate il suo solo e segreto piacere. Già verso la fine della settimana cominciava a smaniare e non vedeva l’ora che arrivasse la domenica sera, quando si sarebbe recato furtivamente da lei. Soprattutto la necessità di raggiungerla così di soppiatto gli dava motivo di riflessione. Se per esempio, poco prima, ai giovanotti ubriachi che stavano di sotto fosse saltato in mente di dargli la caccia, solo per il gusto di pestare un po’ il signorino vizioso? Lui non era vigliacco, però sapeva che là non avrebbe potuto difendersi. Il suo elegante spadino, di fronte a quei grossi pugni, gli faceva l’effetto di una presa in giro. E poi la vergogna, e la prevedibile punizione! Non gli sarebbe rimasto che fuggire o mettersi a implorare. O magari farsi proteggere dalla Boena. Il solo pensiero gli faceva accapponare la pelle. Ma proprio questo era! Questo e nient’altro! Era la paura, il mettere se stesso a repentaglio a tentarlo ogni volta; l’abbandono della sua posizione privilegiata per cacciarsi tra la gente ordinaria… no, non tra questa: sotto questa!

Non era un vizioso. Durante gli incontri prevalevano sempre il disgusto per la sua impresa e la paura delle possibili conseguenze. Solo la sua fantasia aveva preso una direzione malsana. Quando i giorni della settimana si accumulavano a uno a uno, pesanti come piombo, sulla sua esistenza, quegli stimoli acri cominciavano a eccitarlo. Dal ricordo delle sue visite nasceva una singolare seduzione: Boena gli appariva una creatura di spaventosa bassezza e la sua relazione con lei, i sentimenti che ciò lo costringeva a provare, un crudele rito sacrificale compiuto su se stesso. L’eccitava doversi lasciare alle spalle tutto ciò in cui era solitamente rinchiuso, la sua condizione di privilegio, i pensieri e i sentimenti che gli venivano istillati, tutto ciò che non gli dava niente e che lo schiacciava. L’eccitava rifugiarsi da quella donna nudo, spogliato di tutto, in una pazza corsa.

Non c’era, in questo, niente che non accada normalmente ai ragazzi. Se la Boena fosse stata bella e pura, e lui a quel tempo fosse stato capace di amare, forse l’avrebbe morsa, esaltando fino alla sofferenza la voluttà di entrambi. Perché la prima passione dell’adolescente non è amore per una donna ma odio per tutte. Il sentirsi incompresi e incapaci di comprendere il mondo non è un sentimento che accompagna l’insorgere della prima passione ma è, di questa, la sola e non fortuita causa. E la passione, poi, è una fuga, in cui il ritrovarsi in due ha solo il significato di una solitudine raddoppiata.

Quasi tutti i primi amori durano poco e si lasciano dietro un gusto amaro. Sono un errore, una delusione. E dopo non ci si capisce, e non si sa a cosa dare la colpa. Ciò avviene perché in questo dramma ognuno è per l’altro, in misura preponderante, una presenza casuale, un compagno di fuga designato dal caso. Tornata la calma, i due non si riconoscono più: si scoprono a vicenda tratti contrastanti perché non vedono più quel che li accomuna.

Per Törless le cose andavano diversamente soltanto perché lui era solo. Quella meretrice matura e decaduta non era in grado di scatenare in lui tutti quei sentimenti. E tuttavia era abbastanza donna da trascinare anzitempo alla luce certe parti del suo animo che, come germi prossimi a maturare, aspettavano il momento capace di fecondarle.

Erano queste, allora, le sue singolari fantasie e immaginarie seduzioni. Ma a volte era quasi ugualmente tentato di gettarsi per terra e di gridare dalla disperazione.

Boena continuava a non curarsi di Törless. Sembrava farlo per cattiveria, solo per irritarlo. A un tratto interruppe la conversazione: «Datemi un po’ di soldi, vado a prendere del tè e della grappa.»

Törless le diede una delle monete d’argento che aveva avuto da sua madre nel pomeriggio. Lei prese dal davanzale un fornello a spirito tutto ammaccato e l’accese; poi fece le scale con passo lento e strascicato.

Beineberg diede di gomito a Törless «Ma perché sei così fiacco? Penserà che non hai coraggio.»

«Non tirarmi in ballo,» lo pregò Törless «non sono in vena.