- Alleati sì, e con le dovute riserve, poiché al minimo accenno di tradimento vi torco il collo.

Accettato - disse con tranquillità l’ispettore  di  polizia.  Undici giorni  dopo,  il  3  dicembre,  il «General-Grant» entrava nella baia della «Porta d’oro» e approdava a San Francisco.  Il signor Fogg non aveva a quel punto né perduto né guadagnato un solo giorno.

 

 

 

NOTE.

NOTA 1: Operai manovali.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

25.

BREVE PRESENTAZIONE DI SAN FRANCISCO. UNA GIORNATA DI COMPETIZIONI.

Erano le sette del mattino quando Phileas  Fogg,  la  signora  Auda  e Passepartout  posero  piede  sul continente americano,  ammesso che si possa dare questo nome al  molo  galleggiante  sul  quale  sbarcarono.  Questi  moli,  alzandosi  ed abbassandosi con la marea,  facilitano il carico e lo scarico delle navi.  Vi attraccano infatti i “clippers” di ogni  dimensione,  gli “steamers” di ogni nazionalità e quegli “steam-boats” a più piani che prestano  servizio  sul  Sacramento  e  i  suoi affluenti.  Vi  si  ammassano  anche i prodotti di un commercio che si estende  al  Messico,  al  Perù,  al  Cile,  al  Brasile,  all’Europa, all’Asia, a tutte le isole dell’Oceano Pacifico.  Passepartout,  nella  gioia  di toccare finalmente il suolo americano, aveva creduto bene di effettuare il proprio sbarco eseguendo un  salto pericoloso  della più alta scuola.  Ma quando ricadde sul tavolame del molo galleggiante che era forse un tantino tarlato,  mancò poco non lo passasse da parte a parte.  Trionfante,  tuttavia, per il modo con cui aveva preso piede sul nuovo continente, il giovanotto cacciò un «urrà» formidabile che fece volar via uno stormo di cormorani e di pellicani, ospiti abituali delle tranquille baie del Pacifico.  Il signor Fogg,  appena sbarcato anch’egli a fianco della sua  giovane compagna  di  viaggio,  s’informò dell’ora in cui partiva il treno per New York.

Alle sei di sera - gli fu risposto.

Restava dunque un’intera giornata da spendere  in  visita  alla  bella città  californiana.  Il  “gentleman” noleggiò una carrozza e vi prese posto con la signora Auda.  Passepartout montò in serpa,  a fianco del cocchiere,  e  la  carrozza,  a  tre  dollari  la  corsa,  si  diresse all’International Hôtel. Dal posto elevato che occupava,  il servo del signor  Fogg  poteva  godersi un invidiabile colpo d’occhio.  E fu non poco sorpreso di ciò che vedeva.  Dov’erano gli indiani dai trofei  di penne?  E  dove  gli  avventurieri  cercatori di pepite,  con i larghi “sombreros” e con il cinturone guarnito di coltelli e di revolver?

Passepartout,  con la mente piena dei ricordi  di  letture  giovanili,

s’era  immaginato  di  trovare ancora la San Francisco leggendaria dei

masnadieri, degli incendiari e degli assassini, la turbinosa bolgia di

tutti gli spostati attratti dall’avventura e  dalla  febbre  dell’oro,

pronti a giocarsi la vita in un duello alla pistola per un pugno della

preziosa  polvere.  E invece si trovava sotto gli occhi la vita di una

metropoli commerciale pulsante  di  un’attività  più  febbrile  e  più

colossale  ancora  di quelle dei grandi centri di Londra e Parigi,  ma

altrettanto ordinata e squisitamente elegante.  Un formicolio di gente

americani  ed  europei  -  in  abiti  neri  e  cappelli di seta: e, frammischiati ad essi,  gran numero di cinesi  e  di  indiani.  Strade lunghe  e  diritte;  magnifici  viali  tracciati  a  scacchiera  e con perfetta simmetria,  percorsi da file di carrozze,  di “omnibus” e  di tranvie a cavalli, fiancheggiati da palazzi con splendide botteghe che esponevano in vetrina prodotti del mondo intero.  Quando   poi   Passepartout   giunse  all’International  Hôtel,   ebbe l’impressione di non avere mai lasciato l’Inghilterra.  Il pianterreno del lussuoso albergo era occupato da un immenso  «bar», una specie di “buffet” aperto gratis ad ogni passante,  da dove ognuno poteva gustare carne affumicata,  zuppa con le  ostriche,  biscotti  e finissimi  formaggi  di Chester.  Tutt’al più il consumatore pagava la bibita o la birra che avesse piacere di farsi servire al “bar”.  «Ecco un’usanza simpaticissima,  e  che  è  un  vero  peccato  non  si generalizzi anche fuori d’America!», pensò il giovanotto; ma tenne per sé la considerazione.

Al  ristorante  dell’albergo  il signor Fogg e la sua giovane compagna consumarono uno spuntino in piatti  minuscoli,  serviti  da  camerieri negri dal largo sorriso e dal volto del più bel color cioccolato,  che spiccava sullo sparato bianco.

Quando  il  “gentleman”,  accompagnato  dalla  signora  Auda,   lasciò l’albergo per recarsi al Consolato a far vidimare il passaporto, trovò ad  attenderlo il suo servo il quale gli chiese se,  prima di mettersi in viaggio sulla ferrovia del Pacifico,  non  sarebbe  stato  prudente fare acquisto di qualche dozzina di carabine Enfield e revolver Colt.

Ho  sentito  parlare  - disse Passepartout,  - di Indiani Sioux che assaltano i treni. E non vorrei...

Credo  che  la   precauzione   sia   inutile   -   rispose,   senza impressionarsi,  Phileas  Fogg.  -  In  ogni  modo vi lascio libero di provvedere come credete.

E il “gentleman” si affrettò per giungere in tempo a sbrigare  la  sua importante pratica. Ma aveva fatto appena duecento passi che s’imbatté in Fix.

Oh,  guarda  che  caso,  che casissimo!  Come?  C’incontriamo a San Francisco?! Ma allora abbiamo compiuto insieme anche la traversata del Pacifico! E non ci siamo veduti a bordo?...  Mi spiace.  Ad ogni modo, signor  Fogg,  sono onorato,  onoratissimo di rivedervi.  Vi pare?  Vi debbo tanto! E se gli affari, come penso,  mi richiameranno in Europa, sarei  proprio  oltremodo  felice  di  proseguire  il  viaggio in così piacevole compagnia!

Il signor Fogg rispose compitamente che l’onore sarebbe stato  suo.  E Fix,  a  cui premeva non perderlo di vista,  gli chiese il permesso di visitare intanto con lui quella curiosa città di San  Francisco.  Fogg glielo accordò immediatamente.

Ed  ecco  perciò  la  signora Auda,  Phileas Fogg e Fix in giro per le strade.  Si  trovarono  ben  presto  in  Montgomery  Street,   in  cui l’afflusso  della  folla  era enorme.  Sui marciapiedi,  in mezzo alla carreggiata, sulle rotaie dei tram, nonostante il passaggio incessante di carrozze e di  “omnibus”,  sulla  soglia  delle  “boutiques”,  alle finestre di tutte le case,  e perfino sopra i tetti,  vi era una folla senza numero.  Degli “uomini-sandwich” circolavano in mezzo ai  gruppi di  pedoni.   Bandiere  e  stendardi  fluttuavano  nel  vento.   Grida echeggiavano da ogni dove.

Urrà per Kamerfield!

Urrà per Mandiboy!

Suppongo che si tratti di una competizione,  di un “meeting” come lo chiamano  qui,  per  l’elezione di qualche alto funzionario militare o civile,  o  addirittura  di  un  membro  del  Congresso,  a  giudicare dall’animazione che si vede - disse Fix.

In  ogni  modo,  - osservò Phileas Fogg,  - forse faremo bene a non mischiarci troppo a questa calca: i pugni, anche se sono politici, non cessano di essere pugni.

Fix non poté fare a meno di sorridere a quella considerazione, mentre, seguendo la signora Auda e Phileas Fogg,  saliva con essi  a  prendere posto  sull’ultimo ripiano di una gradinata che metteva ad un terrazzo prospiciente la Montgomery Street.

Di fronte, sull’altro lato del viale,  tra la mostra di un mercante di carbone  e  quella  d’un negoziante di petrolio,  era sistemata su una specie di palco una larga scrivania con due urne, verso cui sembravano convergere le fluttuanti correnti della folla.  Là intorno l’agitazione raggiungeva il parossismo. Tutte le mani erano in  aria;   talune  rigidamente  chiuse  a  pugno  si  alzavano  e  si abbassavano  con rapidità e con frequenza,  mentre intorno scoppiavano grida,  e il numero dei cappelli neri a  cilindro  diminuiva  a  vista d’occhio.  Per la maggior parte quei copricapo sembravano aver perduto la loro altezza normale.

E’ evidentemente una competizione, - disse Fix, - e la questione che l’ha provocata deve essere palpitante.  Non mi  meraviglierei  che  si tratti ancora della questione dell’«Alabama»,  benché essa debba ormai essere risolta.

Forse - rispose semplicemente il signor Fogg.

In ogni caso, - riprese Fix,  - ci sono due nobili campioni l’uno di fronte all’altro, l’onorevole Kamerfield e l’onorevole Mandiboy.  La  signora  Auda,  da  parte  sua,  standosene  stretta al braccio di Phileas Fogg, guardava con meraviglia tutta quella scena tumultuosa.  Una specie di flusso e riflusso agitava ora la marea di teste  su  cui le bandiere ondeggiavano, sparivano a tratti per ricomparire poi fatte a brandelli.

Ad un certo momento,  mentre Fix stava per chiedere ad un vicino quale fosse la precisa ragione di tanta effervescenza popolare, un movimento più vivo si determinò.  Gli «urrà» conditi di improperi raddoppiarono.

L’asta  delle  bandiere si trasformò in arma offensiva.  Non più mani:

pugni dappertutto. Dall’alto delle carrozze e degli “omnibus” bloccati era uno scambio di insulti e un lancio di corpi contundenti: stivali e scarpe descrivevano in aria  traiettorie  molto  tese.  Anche  qualche colpo  di  revolver  si frammischiò all’urlio assordante che pareva la voce del mare in tempesta.

La calca si fece più sotto alla scalinata e rifluì sui primi  gradini.  Uno  dei  due  partiti  evidentemente  era  stato respinto,  senza che peraltro ai semplici spettatori fosse  dato  capire  se  il  vantaggio rimanesse a Mandiboy o a Kamerfield.

Fix,  a  cui  premeva sommamente l’incolumità del suo uomo,  disse con decisione:

E’ consigliabile non rimanere qui,  signor Fogg.  Se in tutta questa faccenda c’entra per caso l’Inghilterra e se noi veniamo riconosciuti, ci troveremo molto compromessi in un’anticipata baruffa.

Un cittadino inglese...

Phileas  Fogg  non riuscì a terminare la frase.  Alle sue spalle,  dal terrazzo in capo  alla  gradinata,  si  sentiva  avanzare  un  clamore spaventoso.

Hip! hip! urrà!!! per Mandiboy!

Era  una  turba  di  elettori che giungeva alla riscossa investendo di fianco i partigiani di Kamerfield.

Il signor Fogg,  la signora Auda e Fix  si  trovarono  presi  tra  due fuochi.  Troppo  tardi per sfuggire a quel torrente d’uomini armati di mazze e bastoni a molla.  Il “gentleman” e il “detective” fecero  ogni sforzo  per  riparare  la  giovane  donna,  e furono malamente urtati.  Phileas Fogg si difendeva bene a gomitate,  e anche a pugni quando ciò si  rendeva  necessario.  Ma  troppa  era la calca dei violenti che si scagliavano a colpire alla cieca, per puro spirito di rissa.  Un gigante dalla barba color carota,  il quale pareva  il  capo  della turba,  alzò  il  formidabile  pugno  sul  capo del signor Fogg.  E lo avrebbe conciato in malo  modo  se  Fix,  per  devozione,  non  avesse ricevuto  il  pugno  in  vece sua.  Un’enorme protuberanza si sviluppò immediatamente sotto il cappello di seta del “detective”,  trasformato in semplice berretta.

- «Yankee»!  (1) - sibilò il signor Fogg,  lanciando al suo avversario uno sguardo di profondo disprezzo.

- «Englishman»! (2) - rispose l’altro nello stesso tono.

Ci rivedremo!

Quando vi piacerà. Il vostro nome?

Sir Phileas Fogg. Il vostro?

Colonnello Stampw Proctor.

La marea passò oltre.  Fix fu gettato a terra,  e si  rialzò  con  gli abiti laceri,  ma senza gravi ammaccature. Il suo soprabito da viaggio si era diviso in due parti disuguali,  e i suoi pantaloni somigliavano a quelli di certi indiani,  i quali per una questione di moda,  non li indossano se prima non ne  hanno  tagliato  via  il  fondo.  Quel  che importava,  era  che la signora Auda era stata risparmiata ed anche il signor Fogg aveva evitato le conseguenze del formidabile pugno  a  lui riservato.

Grazie  -  disse  il  “gentleman” a Fix,  appena furono fuori della ressa.

Oh, non c’è di che! Ma ora venite.

Dove?

Andiamo da un negoziante di abiti. Anche voi ne avete bisogno.

Gli abiti del signor Fogg erano invero press’a poco  nelle  condizioni di quelli del “detective”.

Si direbbe che ci siamo battuti per conto degli onorevoli Kamerfield e Mandiboy! - commentò ancora Fix, sorridendo.  Mezz’ora dopo,  convenientemente abbigliati e riforniti di cappello, i due inglesi con la signora Auda ritornavano all’International Hôtel.  Passepartout era là ad attendere il suo padrone,  armato  d’una  mezza dozzina  di  revolver a sei colpi.  Quando scorse Fix in compagnia del signor Fogg si rabbuiò in volto.  Ma dopo che  la  signora  Auda  ebbe narrato  in  poche  parole  quanto  era accaduto,  il giovanotto tornò sereno.

«Evidentemente  Fix  non  è  più  un  nemico:  è  un  alleato»,  pensò soddisfattissimo. «Ha mantenuto la parola!».  Terminato  il  pranzo,  venne  la  carrozza  che  doveva condurre alla stazione i viaggiatori e i loro bagagli.  Al momento di  salire  sulla vettura il signor Fogg domandò a Fix:

Non avete più riveduto per caso quel colonnello Proctor?

No - rispose Fix.

Io  ritornerò  apposta  in  America  per  ritrovarlo.  Non  sarebbe conveniente che un cittadino inglese  si  lasciasse  trattare  a  quel modo.

Fix  sorrise  senza saper che aggiungere.  Forse non prese nemmeno sul serio la cosa: non sapeva che Fogg era di quella razza  di  Inglesi  i quali,  mentre  nel  loro paese non tollerano il minimo duello,  sanno però battersi all’estero quando si tratti di  sostenere  il  prestigio della loro nazionalità.

Alle sei meno un quarto i viaggiatori erano in stazione e trovarono il treno  pronto  alla partenza.  Al momento di salirvi sopra,  il signor Fogg fece un cenno a un addetto e gli chiese:

Scusate,  c’è notizia che si siano verificati gravi incidenti oggi a San Francisco?

Oh,  no,  no, signore! Era un semplice “meeting” organizzato per una elezione.

L’elezione di qualche generale dell’esercito, senza dubbio.

No, signore: di un giudice di pace.

Ricevuta questa risposta,  Phileas Fogg prese posto nel  vagone  e  il treno partì a tutto vapore.

 

NOTE.

NOTA 1: Americano, ma detto qui in senso dispregiativo.

NOTA 2: Inglese.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

26.

SI PRENDE IL TRENO ESPRESSO DELLA FERROVIA DEL PACIFICO.

«Ocean to Ocean» (1),  dicono gli Americani. E con queste tre paroline caratterizzano il  «grand  trunk»,  che  attraversa  gli  Stati  Uniti d’America nella loro massima larghezza.  In realtà,  però, il «Pacific Rail-road» si divide in due parti distinte: «Central Pacific» tra  San Francisco e Ogden e «Union Pacific» tra Ogden e Omaha. A quel punto si ricongiungono  cinque  linee  diverse,  che mettono Omaha in frequente comunicazione con New York.

New York e San Francisco sono  dunque  congiunte  al  presente  da  un fiotto  non interrotto di metallo che misura almeno tremila settecento ottantasei miglia.  Tra Omaha e il Pacifico,  la  ferrovia  supera  un territorio  frequentato  ancora  da  Indiani  e  selvaggi,   un  vasto territorio che i Mormoni hanno cominciato a colonizzare a partire  dal 1845, dopo essere stati cacciati dall’Illinois.  In  altri  tempi,  nelle  circostanze  più  favorevoli,  si  sarebbero impiegati non meno di sei mesi per andare da New York a San Francisco.  Attualmente ci si mettono sette giorni.

Fu nel 1862 che,  malgrado l’opposizione dei  deputati  del  Sud,  che volevano  una  linea  più meridionale,  il tracciato della linea venne ristretto tra il quarantunesimo e  il  quarantaduesimo  parallelo.  Il presidente Lincoln la cui scomparsa ha lasciato tanto rimpianto, fissò egli  stesso,  nello  Stato  del  Nebraska,  nella città di Omaha,  il capolinea  del  nuovo  reticolato.   I  lavori  furono  immediatamente iniziati  e  proseguiti con quell’attivismo americano che è tutt’altro che burocratico e polveroso.  La rapidità della  posa  in  azione  non doveva  nuocere  affatto  alla  buona  esecuzione  dei  lavori.  Nella prateria si avanzava al ritmo di un miglio  e  mezzo  al  giorno.  Una locomotiva,   scorrendo   sulle   rotaie   collocate   nella  vigilia, trasportava le rotaie dell’indomani e correva  sulla  loro  superficie mano mano che venivano sistemate.

Il  Pacific Rail-road lancia numerosi rami lungo il suo percorso verso gli  Stati  dello  Iowa,  del  Kansas,  del  Colorado  e  dell’Oregon.  Lasciando  Omaha,  la ferrovia del Pacifico costeggia la riva sinistra del Platte-river fino all’imboccatura dei tronchi del nord oppure  del sud,  attraversa i campi di Laramie e le montagne Wahsatch,  aggira il Lago Salato,  giunge  a  Salt-Lake  City,  la  capitale  dei  Mormoni, sprofonda  nella  vallata  della  Tuilla,  procede  lungo  il  deserto americano,  i monti di Cedar e Humboldt,  l’Humboldt River,  la Sierra Nevada e ridiscende attraverso Sacramento fino al Pacifico,  senza che questo tracciato superi una pendenza di centododici piedi  per  mille, persino quando attraversa le Montagne Rocciose.  Tale era questa lunga arteria che i treni percorrevano in sette giorni e  che  doveva permettere all’onorevole Phileas Fogg - o almeno lui lo sperava - di prendere il  giorno  11  a  New  York  il  piroscafo  per Liverpool.

Il  vagone  occupato da Phileas Fogg era una specie di lungo “omnibus” che poggiava su due treni formati da quattro ruote  ciascuno,  la  cui mobilità  consentiva  di  affrontare  delle  curve  di piccolo raggio.  All’interno,  non vi erano degli scompartimenti: v’erano due  file  di sedili,  disposti su ogni lato,  perpendicolarmente all’asse, e tra le quali era riservato  un  passaggio  che  conduceva  agli  stanzini  di “toilette” e per altre necessità,  di cui ogni vagone è provvisto. Per tutto il treno quant’era lungo le vetture erano  in  comunicazione  le une  con  le  altre  per  mezzo di passatoi,  e i viaggiatori potevano circolare da un’estremità all’altra del convoglio,  che metteva a loro disposizione  dei  vagoni-salotto,  dei vagoni-belvedere,  dei vagoni-ristorante e dei vagoni-caffè. Mancavano solo dei vagoni-teatro. Ma si può essere sicuri che un giorno vi saranno anch’essi.  Sui passatoi circolavano in continuazione dei venditori di libri e  di giornali,  che offrivano la loro merce, e dei venditori di liquori, di commestibili, di sigari, che non mancavano affatto di acquirenti.  I viaggiatori erano partiti dalla stazione di Oakland alle  sei  della sera.  Era già calata la notte,  una notte fredda,  cupa, con un cielo coperto di nubi che minacciavano di precipitare in fiocchi di neve. Il treno non procedeva con  una  grande  rapidità.  Tenendo  conto  delle fermate, non percorreva più di venti miglia all’ora, velocità tuttavia che  gli  doveva  consentire  di  valicare  gli  Stati Uniti nel tempo regolamentare.

Si parlava poco nel vagone.  D’altronde il sonno  avrebbe  ben  presto invaso   i  viaggiatori.   Passepartout  si  trovava  proprio  accanto all’ispettore di polizia,  ma non gli  rivolgeva  la  parola.  Dopo  i recenti   avvenimenti,   i   loro   rapporti   si  erano  notevolmente raffreddati. Non v’era più alcuna simpatia né alcuna intimità.  Fix in realtà non aveva cambiato affatto il suo modo di fare, Passepartout si manteneva   invece  in  un  estremo  riserbo,   pronto  a  tentare  di strangolare l’ex-amico al primo dubbio che avesse avuto su di lui.  Un’ora dopo la partenza del treno, cominciò a cadere la neve, una neve fine che,  davvero fortunatamente,  non poteva ritardare la marcia del convoglio.  Attraverso i finestrini si poteva scorgere solo un’immensa cappa bianca, a confronto della quale il vapore della locomotiva,  che si  lanciava  in  grandi  volute  verso  il cielo,  sembrava diventato grigiastro.

Alle otto,  entrò nel vagone uno “steward” che annunciò ai viaggiatori che  era  suonata  l’ora  di  andare  a riposare.  Quel vagone era uno «sleeping-car» che in pochi minuti venne  trasformato  in  dormitorio.  Gli schienali dei sedili vennero ripiegati,  dei lettini accuratamente impacchettati vennero  tirati  fuori  con  un  ingegnoso  sistema,  in qualche   istante   vennero   improvvisate   delle  cabine  e  ciascun viaggiatore ebbe ben presto a sua disposizione un  letto  confortevole che  spessi  tendaggi  difendevano  da  ogni  sguardo  indiscreto.  Le lenzuola erano candide e i guanciali molto morbidi.  Restava una  sola cosa  da fare: mettersi a letto e addormentarsi,  e fu quello che fece ciascuno,  come se si fosse trovato nella confortevole  cabina  di  un piroscafo,  mentre il treno correva a tutto vapore attraverso lo Stato della California.

In questa porzione del territorio che si estende tra San  Francisco  e Sacramento,  il terreno è poco accidentato. Questa tratta ferroviaria, che ha il nome di «Central Pacific Road» prendeva anzitutto Sacramento come punto di partenza e s’avanzava  verso  est  per  incrociarsi  con quella  che  veniva  da  Omaha.  Da  San Francisco alla capitale della California,  la linea correva direttamente in direzione  di  nord-est, costeggiando  l’American River,  che si getta nella baia di San Pablo.  Le centoventi miglia comprese tra queste due importanti città  vennero superate  in sei ore,  e verso mezzanotte,  mentre i viaggiatori erano immersi nel loro primo sonno,  il treno superò  Sacramento.  Essi  non videro  perciò  nulla  di  questa  città  considerevole,   sede  della legislatura dello Stato della California,  né i suoi bei moli,    le sue  ampie  strade    i  suoi splendidi hôtels,  né le sue “squares” (piazze), né i suoi templi.

Uscendo da Sacramento,  il treno,  dopo avere superato le stazioni  di Junction,  di Roclin,  di Auburn e di Colfax,  s’incuneò nel massiccio della Sierra Nevada.  Erano le sette  del  mattino,  quando  il  treno attraversò  la  stazione di Cisco.  Un’ora più tardi il dormitorio era ridiventato un vagone normale e  i  viaggiatori  potevano  intravedere attraverso i vetri il pittoresco panorama di quel paese montagnoso. Il tracciato del treno obbediva ai capricci della Sierra,  qui sui ripidi pendii montagnosi e là sospeso al di  sopra  dei  precipizi,  evitando angoli  troppo  acuti con delle audaci curvature,  lanciandosi in gole strettissime che  pareva  fossero  prive  di  sbocco.  La  locomotiva, sfavillante  come un reliquiario,  con quel grande fanale che lanciava dei lampi fulvi,  la campanella d’argento,  il «cacciavacche»  che  si protendeva  in  avanti  come uno sperone,  mescolava i suoi sbuffi e i suoi muggiti a quelli dei torrenti e delle cascate, e mescolava il suo fumo al nero intreccio dei rami degli abeti.  Sul percorso ci s’imbatteva in pochissimi tunnel  e  ponti.  La  linea ferroviaria  aggirava  il  fianco  delle montagne,  non cercando nella linea diritta il tragitto più breve tra un  punto  e  l’altro,  e  non facendo violenza alla natura.

Verso le nove, attraverso la valle di Carson, il treno penetrava nello Stato  del Nevada,  proseguendo sempre la sua corsa in direzione nord-est. A mezzogiorno,  lasciava Reno,  dove i viaggiatori si arrestarono una ventina di minuti per mangiare.

Da quel punto in poi,  la ferrovia,  costeggiando l’Humboldt River, si diresse per alcune miglia verso nord,  seguendo questo corso  d’acqua.  Poi  piegò  verso est,  e non doveva più perdere di vista questo corso d’acqua  prima  di  aver  raggiunto  gli  Humboldt  Ranges,   che   ne costituiscono  la sorgente,  quasi all’estremità orientale dello Stato del Nevada.

Dopo aver mangiato, il signor Fogg,  la signora Auda e i loro compagni di viaggio ripresero posto nel vagone. Phileas Fogg, la giovane donna, Fix  e Passepartout,  comodamente seduti,  ammiravano il paesaggio che scorreva dinanzi ai  loro  occhi:  vaste  praterie,  montagne  che  si profilavano  all’orizzonte,  “creeks”  che  facevano  rotolare le loro acque spumeggianti.  Talvolta un  grande  gregge  di  bisonti  che  si ammassava  all’orizzonte  dava  l’idea  di  una  diga  mobile.  Questi innumerevoli  eserciti  di  ruminanti  oppongono  spesso  un  ostacolo insormontabile  al  passaggio  dei treni.  E’ stato possibile scorgere migliaia di questi animali sfilare per  ore,  a  ranghi  strettissimi, attraverso  il  binario.  In  questo caso la locomotiva è costretta ad arrestarsi e attendere che la strada sia ridiventata libera.  Fu proprio questo che avvenne per i nostri viaggiatori.  Verso le  tre del pomeriggio, la ferrovia si trovò sbarrata da una mandria di almeno dieci-dodicimila capi.  La locomotiva, dopo avere ridotto la velocità, tentò di  incuneare  il  suo  sperone  nel  fianco  dell’interminabile colonna, ma dovette arrendersi di fronte all’impenetrabilità di quella massa.

Si   vedevano   quei  ruminanti  -  quei  bufali,   come  li  chiamano impropriamente gli Americani - procedere col loro passo  tranquillo  e lanciando  di  tanto  in  tanto  dei  terribili  muggiti.  Avevano una corporatura superiore a quella dei tori  europei,  con  zampe  e  coda piuttosto  corte,  il  garrese  ascendente  che  formava  una gobba di muscoli, le corna divaricate alla base, la testa, il collo e le spalle coperte da una criniera dal lungo pelo.  Quando i bisonti hanno scelto una  direzione,  nulla  potrebbe    ostacolare né modificare la loro marcia.  E’ un torrente di carne vivente che nessuna diga  sarebbe  in grado di contenere.

I  viaggiatori,  dispersi  sui  passatoi,  ammiravano  questo  curioso spettacolo.  Tuttavia proprio colui che avrebbe dovuto essere  il  più preoccupato di tutti,  Phileas Fogg,  se n’era rimasto al suo posto ed attendeva con calma filosofica che fosse piaciuto ai bufali liberargli il passaggio.  Passepartout era furioso per il ritardo che gli causava questo ammasso di animali.  Avrebbe voluto scaricare contro di loro il suo arsenale di revolver.

Che razza di paese!  - gridò.  - Dei semplici buoi che arrestano dei treni  e  che  se ne vanno a ritmo processionale,  senza proprio darsi pensiero del fatto che stanno ostacolando la  circolazione!  Perbacco!  Vorrei  proprio  sapere  se  il  signor  Fogg  avesse  previsto questo contrattempo nel suo programma! E quel macchinista che non è capace di lanciare la sua locomotiva attraverso questo bestiame ingombrante!  Il macchinista non aveva tentato affatto di rovesciare  l’ostacolo,  e aveva  agito  con  prudenza.  Con  lo sperone della locomotiva avrebbe certamente fatto un macello dei bufali più vicini;  ma,  pur con tutta la  sua forza d’urto,  la locomotiva sarebbe stata fermata ben presto, ci sarebbe stato inevitabilmente un  deragliamento  e  così  il  treno sarebbe rimasto bloccato.

La  cosa  migliore  era perciò di attendere con pazienza,  salvo poi a riguadagnare il tempo perduto con una accelerazione della  marcia  del treno.  La sfilata dei bisonti durò ben tre ore, e la strada ridivenne libera solo mentre stava ormai calando la notte.  Solo  a  quel  punto attraversavano  le  rotaie  le  retroguardie  della  mandria,  le  cui avanguardie sparivano laggiù, all’orizzonte meridionale.  Erano dunque le otto,  quando il treno superava i passi degli Humboldt Ranges,  e  le nove e mezzo quando penetrava nel territorio dell’Utah, la regione del grande Lago Salato, il curioso paese dei Mormoni.

 

NOTE.

NOTA 1:«Dall’Oceano all’Oceano».

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

27.

PASSEPARTOUT SEGUE,  ALLA VELOCITA’ DI VENTI MIGLIA ALL’ORA,  UN CORSO DI STORIA MORMONE.

Durante la notte dal 5 al 6 dicembre, il treno corse verso sud-est per una  cinquantina  di miglia;  poi risalì di altrettante verso il nord-est, avvicinandosi al grande Lago Salato.  Verso le nove del mattino,  Passepartout andò a prendere un po’ d’aria sui  passatoi.  Il  tempo  era  freddo,  il  cielo era grigio,  ma non nevicava più. Il disco del sole, reso più ampio dalla bruma,  appariva come un’enorme moneta d’oro,  e Passepartout si divertiva a calcolarne il valore in lire sterline,  quando fu distratto da questo  utilissimo lavoro dalla comparsa di un personaggio piuttosto strano.  Questo individuo,  che era salito sul treno alla stazione di Elko, era un uomo dalla corporatura robusta, molto scuro in faccia,  con un paio di  mustacchi  neri,  pantaloni neri,  cravatta immacolata,  guanti di pelle di cane. Lo si sarebbe detto un pastore.  Andava da un’estremità all’altra del treno incollando sulla portiera di ogni vagone con della cera per sigilli un foglio di carta scritto a mano.  Passepartout  si  accostò e lesse su uno di quei fogli che l’onorevole “elder” (anziano) William Hitch,  missionario  mormone,  approfittando della  sua  presenza sul treno numero 48,  dalle undici a mezzogiorno, avrebbe tenuto nella vettura 117 una conferenza sul mormonismo  a  cui erano invitati tutti i gentiluomini preoccupati di istruirsi su quanto riguardava i misteri della religione dei «Santi degli ultimi giorni».  «Certo  che ci vado!»,  disse tra sé Passepartout,  che del mormonismo conosceva  unicamente  le  usanze  poligamiche,   base  della  società mormone.

La  notizia  si  diffuse  rapidamente  nel  treno  che  trasportava un centinaio   di   passeggeri.   Una   trentina   di   essi,   allettati dall’attrattiva della conferenza,  alle undici occupavano le panchette della  vettura  numero  117.   Tra  i  primi   nella   fila   figurava Passepartout,  mentre    il  suo  padrone né Fix avevano ritenuto di doversi disturbare.

All’ora stabilita,  l’”elder” William Hitch si alzò in piedi e con una voce  piuttosto  irritata,  come  se  lo avessero appena contraddetto, dichiarò:

Io vi dichiaro,  sì,  che Joe Smyth è un martire,  che suo  fratello Hyram  è  un  martire,  e  che le persecuzioni del Governo dell’Unione contro i profeti stanno per fare un martire anche  di  Brigham  Young!  Chi di voi oserebbe sostenere il contrario?  Nessuno  si  azzardò a contraddire il missionario,  la cui esaltazione contrastava con la sua fisionomia calma per natura. Ma senza dubbio la sua collera trovava una spiegazione nel fatto che il mormonismo veniva attualmente sottoposto a una prova molto severa. In realtà, il Governo degli Stati Uniti era riuscito appena allora,  e non senza  fatica,  a sottomettere quei fanatici indipendenti. Si era impadronito dell’Utah, e  l’aveva sottoposto alle leggi dell’Unione,  dopo avere imprigionato Brigham Young, accusato di ribellione e di poligamia.  Da quel momento in  poi,  i discepoli del profeta avevano raddoppiato i loro sforzi e, mentre ne attendevano gli atti, resistevano con la parola alle pretese del Congresso.

Come si vede,  l’”elder” William Hitch faceva del proselitismo persino sul treno.

Allora,  egli si mise a raccontare,  variando la narrazione con scoppi di voce e la violenza dei gesti,  la storia del mormonismo  a  partire dall’epoca biblica: «Come,  in Israele, un profeta mormone della tribù di Giuseppe pubblicò gli annali della nuova religione e li  lasciò  in eredità  a  suo  figlio  Morom;  come,  molti  secoli  più tardi,  una traduzione di questo prezioso libro,  scritto in  caratteri  egiziani, venne  fatta  da Joseph Smyth junior,  colono nello Stato del Vermont, che si  rivelò  come  profeta  mistico  nel  1825;  come,  infine,  un messaggero  celeste gli apparve in una foresta luminosa e gli consegnò gli annali del Signore».

A  quel  punto,   alcuni  uditori,   poco  interessati  dal   racconto retrospettivo  del  missionario,  abbandonarono il vagone;  ma William Hitch, proseguendo, raccontò «come Smyth junior, riunendo suo padre, i suoi due fratelli e alcuni discepoli  fondò  la  religione  dei  Santi degli ultimi giorni, religione che, adottata non solamente in America, ma  in  Inghilterra,  in  Scandinavia,  in Germania,  conta tra i suoi fedeli degli  artigiani  e  anche  un  certo  numero  di  persone  che esercitano  professioni  liberali;  come una colonia sia stata fondata nell’Ohio;  come un tempio  sia  stato  edificato  con  una  spesa  di duecentomila  dollari e una città sia stata costruita a Kirland;  come Smyth divenne un coraggioso  banchiere  e  ricevette  da  un  semplice presentatore  di  mummie  un  papiro contenente un racconto scritto di pugno da Abramo e da altri celebri egiziani».  Poiché questa narrazione diventava un po’ troppo lunga, i ranghi degli uditori si assottigliarono ulteriormente,  e il pubblico  rimasto  era costituito di appena una ventina di persone.  Tuttavia l’”elder”,  senza inquietarsi di questa diserzione,  raccontò con ricchezza di particolari «come fu che Joe  Smyth  fece  bancarotta nel  1837;  come  fu  che  i  suoi azionisti rovinati lo spalmarono di catrame e lo fecero rotolare sulle piume;  come fu che lo  si  ritrovò più onorabile e più onorato che mai,  alcuni anni dopo a Independance, nel Missouri,  alla testa di una fiorente comunità costituita  da  non meno  di tremila discepoli,  e che allora,  perseguitato dall’odio dei gentili, era dovuto fuggire nel Far West americano».  Appena dieci ascoltatori erano ancora là, e tra di essi vi era il buon Passepartout,  che ascoltava con le orecchie tese.  Fu così  che  egli apprese «come, dopo lunghe persecuzioni, Smyth riapparve nell’Illinois e  nel  1839 sulle rive del Mississippi fondò Nauvoo-la-Belle,  la cui popolazione crebbe fino a venticinquemila anime; come Smyth ne divenne il sindaco, il giudice supremo e il generale in capo; come,  nel 1843, egli pose la sua candidatura alla presidenza degli Stati Uniti, e come infine,  attirato  in  un’imboscata  a  Cartagine,  venne  gettato  in prigione e assassinato da una banda di uomini mascherati».  A questo punto Passepartout era  rimasto  assolutamente  da  solo  nel vagone  e  l’”elder”,  mirandolo in faccia e affascinandolo con le sue parole,  gli ricordò che due anni dopo l’assassinio di Smyth,  il  suo successore,  il  profeta ispirato Brigham Young,  abbandonando Nauvoo, era venuto a stabilirsi sulle rive del Lago Salato e che là,  su  quel meraviglioso territorio,  nel mezzo di quella fertile contrada,  sulla rotta degli emigranti  che  attraversavano  lo  Utah  per  recarsi  in California,  la  nuova  colonia,  grazie  ai  principi  poligamici del mormonismo, aveva preso uno sviluppo enorme.

Ecco,  - aggiunse William  Hitch,  -  ecco  perché  la  gelosia  del Congresso  si  è  eccitata  contro  di  noi!  ecco  perché  i  soldati dell’Unione hanno calpestato il suolo dello  Utah!  perché  il  nostro capo,  il  profeta Brigham Young,  è stato imprigionato con spregio di qualsiasi forma di giustizia! Cederemo noi alla forza?  Mai!  Cacciati dal Vermont,  cacciati dall’Illinois, cacciati dall’Ohio, cacciati dal Missouri,   cacciati  dallo  Utah,   noi  ritroveremo  ancora  qualche territorio indipendente dove pianteremo la nostra tenda...  E voi, mio fedele,  - aggiunse l’”elder” fissando sguardi corruschi sul suo unico uditore,  pianterete  voi  la  vostra  tenda  all’ombra  della  nostra bandiera?

No - rispose coraggiosamente Passepartout,  che  scappò  via  a  sua volta, lasciando quell’energumeno a predicare nel deserto.  Durante  tutta  questa conferenza,  però,  il treno aveva marciato con rapidità e  verso  mezzogiorno  e  mezzo  arrivava  alla  punta  nord-occidentale   del  grande  Lago  Salato.   Da  quel  punto  si  poteva abbracciare su un vasto perimetro l’aspetto di  questo  mare  interno, che  porta  pure il nome di Mar Morto e nel quale si getta un Giordano d’America.  Lago ammirevole,  inquadrato da belle  rocce  selvagge,  a larghi strati, incrostate di sale bianco, superbo specchio d’acqua che in altri tempi copriva uno spazio ben maggiore;  ma con il passare del tempo le sue rive,  crescendo a poco  a  poco,  ne  hanno  ridotto  la superficie, accrescendone tuttavia la profondità.  Il  Lago Salato,  lungo circa settanta miglia e largo trentacinque,  è situato a tremilaottocento piedi al di sopra  del  livello  del  mare.  Molto  diversamente  dal  lago  Asphaltite,  la cui depressione misura milleduecento piedi al di sotto, la sua salsedine è considerevole e le sue acque mantengono in soluzione il quarto del loro peso  di  materia solida.  Il  loro  peso specifico è di 1170,  mentre quello dell’acqua distillata è di 1000. I pesci perciò non ci possono vivere. Quelli che vi vengono gettati dal Giordano, dal Weber e da altri corsi d’acqua vi muoiono molto presto;  non è vero però che le  sue  acque  siano  così dense da poter sostenere un uomo.

Intorno  al  lago,  la  campagna  è  mirabilmente coltivata,  poiché i Mormoni se ne intendono di lavori agricoli: ci sono  dei  “ranchos”  e dei “corrals” per gli animali domestici,  dei campi di grano, di mais, di sorgo (o saggina),  praterie lussureggianti,  da ogni parte vi sono siepi  di rosai selvatici,  dei cespugli di acacia e di euforbia: tale sarebbe stato il panorama sei mesi più tardi,  ma in quel  momento  il suolo era sparito sotto una sottile coperta di neve che lo impolverava leggermente.

Alle  due,  i viaggiatori scendevano alla stazione di Ogden.  Il treno sarebbe ripartito solo alle sei e perciò il signor  Fogg,  la  signora Auda e i loro due compagni avevano il tempo per recarsi alla Città dei Santi mediante la breve diramazione che partiva appunto da Ogden.  Due ore  sarebbero   state   sufficienti   per   visitare   quella   città caratteristicamente americana e, in quanto tale, costruita sul modello di  tutte  le città dell’Unione,  vaste scacchiere dalle lunghe fredde linee che provocano «la lugubre tristezza  degli  angoli  retti»,  per dirla  con Victor Hugo.  Il fondatore della Città dei Santi non poteva sfuggire  a  quel  bisogno  di  simmetria  che  contraddistingue   gli Anglosassoni.  In  questo singolare paese,  in cui gli uomini non sono certamente all’altezza delle  istituzioni,  tutto  si  fa  «ad  angoli retti»: le città, le case e anche le stupidaggini.  Alle  tre,  i  viaggiatori  passeggiavano dunque nelle vie della città costruita tra la riva del Giordano e le prime  ondulazioni  dei  monti Wahsatch.  Non notarono alcuna chiesa o quasi, ma osservarono come dei monumenti la casa del profeta, la Cort-house e l’arsenale; poi,  delle case   costruite   in  laterizio  bluastro  con  verande  e  gallerie, circondate da giardini e attorniate da acacie,  palmizi e carrubi.  La città  era  cinta  da  un muro di argilla e pietre edificato nel 1853.  Nella via principale,  in  cui  si  teneva  il  mercato,  erano  stati costruiti  alcuni  alberghi  ornati da padiglioni,  e tra gli altri la Salt-Lake-House.

Il signor Fogg e i suoi compagni non ebbero l’impressione che la città fosse densamente popolata.