Le strade erano quasi deserte, eccetto però nel quartiere  del  Tempio,  che  essi  raggiunsero  solo  dopo  avere attraversato  parecchie  zone circondate da palizzate.  Le donne erano abbastanza numerose,  e la cosa  è  comprensibile  se  si  pensa  alla singolare  composizione  delle  famiglie mormoni.  Non bisogna credere tuttavia che i Mormoni siano tutti poligami.  Si è liberi,  ma è  bene ricordare   che   sono  particolarmente  le  cittadine  dello  Utah  a desiderare di essere sposate, perché,  secondo la religione del paese, il  cielo  mormone non ammette come beneficiarie delle sue beatitudini le donne nubili.

Queste povere creature non sembrano né facilitate né  felici.  Alcune, le  più  ricche  senza  dubbio,  portavano una giacchetta di seta nera aperta alla vita,  sotto un cappuccio o uno scialle molto modesto.  Le altre erano vestite semplicemente di tela indiana.  Passepartout  da  parte sua,  nella sua qualità di bravo ragazzo,  non guardava senza un certo disagio tutte quelle donne mormoni  incaricate di  fare  in  molte  la  felicità  di  un  solo uomo mormone.  Nel suo buonsenso,  era il marito che  egli  soprattutto  compiangeva.  A  lui pareva  terribile  dover  guidare  tante  donne  insieme attraverso le vicissitudini della vita, e condurle in tal modo tutte insieme fino al paradiso  mormone,   con  quella  prospettiva  di   ritrovarvele   per l’eternità  in  compagnia  del  glorioso Smyth,  che doveva costituire l’ornamento di quel luogo  di  delizie.  Decisamente  non  si  sentiva questa vocazione e riteneva - ma in questo forse si sbagliava - che le cittadine  di  Great-Lake-City  gettassero  sulla  sua  persona  degli sguardi un po’ inquietanti.

Era una vera fortuna che il suo soggiorno nella Città dei Santi non si dovesse protrarre  a  lungo.  Alle  quattro  meno  qualche  minuto,  i viaggiatori si ritrovavano alla stazione e riprendevano posto nei loro vagoni.

Si  sentì  un  colpo  di fischietto;  ma proprio nel momento in cui le ruote motrici della locomotiva, slittando sulle rotaie, cominciavano a imprimere al treno un po’  di  moto,  si  sentirono  echeggiare  delle grida: - Fermi! Fermi!

Non si può fermare un treno in marcia. Il gentiluomo che lanciava quel grido  era  evidentemente  un  mormone  rimasto  attardato.  Correva a perdifiato.  Fortunatamente per lui la stazione non aveva né porte  né barriere.   Si  lanciò  perciò  sulla  via,  saltò  sulla  piattaforma dell’ultima vettura e si lasciò cadere senza fiato  su  una  panchetta del vagone.

Passepartout,  che  aveva  seguito  con  trepidazione gli incidenti di questa ginnastica,  si avvicinò per osservare questo ritardatario  per il  quale  ebbe un interesse ancora maggiore quando venne a sapere che questo cittadino dell’Utah era scappato in quella maniera  precipitosa dopo una scenata in famiglia.

Quando  il  mormone  ebbe  ripreso  fiato,  Passepartout  si azzardò a domandargli educatamente quante donne avesse, lui da solo - e dal modo con cui era appena fuggito precipitosamente Passepartout  pensava  che ne avesse almeno una ventina.

Una,  signore!  - rispose il mormone levando le braccia al cielo.  - Una, e ce n’è abbastanza!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

28.

PASSEPARTOUT NON RIESCE A FAR INTENDERE IL LINGUAGGIO DELLA RAGIONE.

Il treno,  dopo avere lasciato il Great-Salt-Lake  e  la  stazione  di Ogden,  si  diresse  per  un’ora verso il nord,  fino al fiume Weber e aveva compiuto così novecento miglia da  quando  era  partito  da  San Francisco.  Da  quel  punto in poi riprese a marciare in direzione est attraverso l’accidentato massiccio dei monti  Wahsatch.  E’  stato  in questa  parte  di territorio,  compreso tra questi monti e le Montagne Rocciose propriamente dette che  gli  ingegneri  ferroviari  americani hanno  dovuto  affrontare  le  difficoltà più serie.  Perciò su questo percorso  il  contributo  del  Governo  dell’Unione  si  è  elevato  a quarantottomila dollari per mille, mentre sul terreno pianeggiante era stato di sedicimila dollari soltanto;  gli ingegneri d’altronde, com’è già stato ricordato,  non hanno  fatto  violenza  alla  natura,  hanno giocato con essa, aggirando le difficoltà, e per raggiungere il grande bacino,  su  tutto  il  percorso della ferrovia è stato bucato un solo tunnel, lungo millequattrocento piedi.

Era proprio intorno al Lago Salato che il tracciato aveva  toccato  la sua  maggiore  altitudine.  A partire da questo punto,  il suo profilo descriveva una curva molto larga che si abbassava verso la vallata del Bitter Creek per risalire poi al punto di spartiacque tra  l’Atlantico e il Pacifico. I ruscelli erano numerosi in questa regione montagnosa.  Fu  necessario superare con dei ponticelli il Muddy,  il Green e altri ruscelli ancora. Passepartout era divenuto più impaziente man mano che ci si avvicinava alla conclusione.  Quanto a Fix,  egli avrebbe voluto essere  addirittura  già  uscito  da questa difficile contrada.  Aveva paura dei ritardi,  temeva gli incidenti ed era più preoccupato  dello stesso Phileas Fogg di rimetter piede sul territorio inglese!  Alle  dieci  della  sera,  il  treno  si arrestò alla stazione di Fort Bridger,  che lasciò quasi subito per entrare,  una ventina di  miglia più avanti, nello Stato dello Wyoming, l’antico Dakota, seguendo tutta la  vallata  del  Bitter Creek,  da cui scendono in parte le acque che costituiscono il sistema idrografico del Colorado.  L’indomani,  7 dicembre,  ci fu una fermata di un  quarto  d’ora  alla stazione  di Green River.  La neve era caduta in abbondanza durante la notte,  ma essendo mescolata con la pioggia,  si era sciolta in  buona parte  e  non  poteva ostacolare la marcia del treno.  Tuttavia questo brutto  tempo  non  lasciò  senza  inquietudine  Passepartout,  perché l’accumularsi  della neve,  impantanando le ruote dei vagoni,  avrebbe certamente finito col compromettere il viaggio.  «Che bizzarra idea ha avuto il mio padrone»,  si diceva perciò tra sé, «di  mettersi  in  viaggio durante l’inverno!  Non poteva attendere la bella stagione per aumentare le sue possibilità?».  Ma in quel momento in cui il  bravo  giovanotto  si  preoccupava  solo dello  stato  del  cielo  e  dell’abbassamento  della temperatura,  la signora Auda provava dei timori ben più gravi  e  che  provenivano  da tutt’altra causa.

Infatti, alcuni viaggiatori erano scesi dal vagone e passeggiavano sul marciapiede  della  stazione  di  Green  River  in attesa che il treno ripartisse.  Ebbene,  attraverso  i  vetri,  la  giovane  donna  aveva riconosciuto  tra  questi viaggiatori il colonnello Stamp W.  Proctor, quell’americano che si  era  comportato  con  tanta  grossolanità  con Phileas  Fogg durante il “meeting” di San Francisco.  La signora Auda, non volendosi far scorgere, si era prontamente tirata indietro.  Questa circostanza però aveva profondamente impressionato la  giovane.  Ella si era attaccata a quell’uomo che,  pur con tanta freddezza, ogni giorno le dava dimostrazione della sua più  assoluta  dedizione.  Ella non  comprendeva  affatto,  senza  dubbio,  tutta  la  profondità  del sentimento che le ispirava il suo salvatore,  e  a  questo  sentimento ella attribuiva ancora il nome di riconoscenza, ma, a sua insaputa, vi era già più di questo.

Perciò  il  suo  cuore  si  sentì  stringere,  quando  ella  riconobbe quell’individuo grossolano al quale  il  signor  Fogg  avrebbe  voluto presto  o  tardi chiedere conto della sua condotta.  Evidentemente era stato unicamente  il  caso  a  condurre  su  quel  medesimo  treno  il colonnello  Proctor,  ma  infine  egli  vi  era e bisognava impedire a qualsiasi costo che Phileas Fogg s’imbattesse nel suo avversario.  Appena il treno si fu rimesso in movimento, la signora Auda approfittò di un momento in cui il signor Fogg si era assopito per mettere Fix  e Passepartout al corrente della situazione.

Quel  Proctor  è  sul  nostro  treno?  -  esclamò  Fix.  -  Ebbene, rassicuratevi, signora; quest’individuo, prima di avere a che fare con il signore... con Mister Fogg,  avrà a che fare con me!  Mi sembra del resto  che  in  tutto  questo  incidente  sia stato ancora io ad avere subito i più gravi insulti!

E inoltre,  - aggiunse Passepartout,  - m’incarico volentieri io  di lui, per colonnello che egli sia!

Ma  signor Fix,  - replicò la signora Auda,  - Sir Phileas Fogg non lascerà ad alcuno la cura di vendicarlo,  vi pare?  Egli è gentiluomo, come  ha detto,  da ritornare apposta in America per rintracciare quel provocatore.  Se vede il  colonnello  qui  sul  treno,  nessuno  potrà scongiurare un duello.  Ciò che ad ogni costo quindi dobbiamo fare,  è di impedire che i due s’incontrino.

Avete ragione, signora Auda. Un duello in questo momento rovinerebbe tutto.  Vincitore o vinto,  il signor Fogg sarebbe posto  in  ritardo, e...

E  quei  suoi  cari  colleghi  del Club avrebbero partita vinta!  - terminò Passepartout.  - Ah no,  miei signori!  Io  vi  dico  che  fra quattro  giorni  dobbiamo  essere  a New York: e ci saremo.  Basta che durante questo tempo il signor Fogg non lasci il suo vagone,  e si può sperare  che  il  caso  non  lo  metta  a  faccia  a  faccia  con quel disgraziatissimo Proctor, che il cielo lo confonda! Ora,  per impedire l’inconveniente, sapremo ben noi fare tutto il possibile.  La   conversazione   fu  interrotta  poiché  il  signor  Fogg  si  era risvegliato.  Ma più tardi Passepartout,  fattosi seguire  da  Fix  in corridoio, dove nessuno poteva udirli, gli disse a bruciapelo:

Vi battereste davvero per lui?

Farei  di  tutto  per ricondurlo vivo in Inghilterra!  - rispose il “detective”, con fermo accento che rivelava una volontà implacabile.  Passepartout si sentì un brivido correre per le vene;  e fu lì lì  per scagliarsi addosso a Fix. Ma seppe trattenersi.

In questo momento,  - disse calmo,  - ciò che s’impone è di bloccare il signor  Fogg  nello  scompartimento  per  impedire  ogni  possibile incontro  fra  il  colonnello e lui.  Aiutateci anche voi a trovare un mezzo.

Oh, la cosa non sarà difficile!  - disse Fix;  - il vostro padrone è di indole poco irrequieta,  poco curiosa. Posso dirvi, anzi, che credo di avere un mezzo infallibile per trattenerlo.

E sarebbe?

Ora lo vedrete.

Di lì a poco,  rientrato nello scompartimento e sedutosi in faccia  al “gentleman”, Fix prese a dire:

Come  sono  lente,  vero,  signor  Fogg,  le  ore che si passano in ferrovia?

Infatti  -  rispose  con  brevità  l’interpellato.   -  Ma  passano anch’esse.

Se non sbaglio - ripigliò Fix,  - a bordo dei piroscafi voi avevate l’abitudine di fare la vostra partita a “whist”.

Sì. Ma qui sarebbe impossibile: non ci sono né carte né compagni.

Oh,  se  è  solamente  per  questo,  le  carte  troveremo  certo  da comprarle:  si vende di tutto sui treni americani.  Quanto ai compagni se la signora Auda sapesse...

Certamente, signore! - rispose con vivacità la giovane signora. - Io conosco il “whist”: ciò fa parte dell’educazione inglese.

Benone,  allora!  - applaudì Fix.  - Anch’io ho  qualche  pretesa  a codesto gioco. Perciò si potrebbe giocare in tre, col «morto».

Come  vi  piace - accondiscese Phileas Fogg,  lietissimo di tornare anche in ferrovia, al suo passatempo preferito.  Passepartout si  precipitò  alla  ricerca  dello  “steward”  per  fare acquisto del materiale occorrente;  e tornò di lì a poco con due mazzi di carte,  marche,  gettoni e una tavoletta coperta di panno.  Non  ci mancava nulla.

Il  gioco  cominciò  mentre  il treno,  nella chiara luce del mattino, superava il nevoso Passo Bridger,  uno dei punti più alti  in  cui  la ferrovia attraversa la barriera delle Montagne Rocciose.  Dopo avere percorso circa duecento miglia,  i viaggiatori si trovavano infine su quelle vaste pianure che si estendono fino  all’Atlantico  e che   la  natura  rendeva  tanto  propizie  all’installazione  di  una ferrovia.

Sul  versante  del  bacino  atlantico  si  sviluppavano  già  i  primi ruscelli,  affluenti  o  sub-affluenti  del North Platte River.  Tutto l’orizzonte a nord e ad est era coperto da quell’immensa cortina semi-circolare che  costituisce  la  porzione  settentrionale  delle  Rocky Mountains,  dominata  dal picco di Laramie.  Tra questa curvatura e la ferrovia  si   estendevano   delle   vaste   pianure   abbondantemente innaffiate.  Sulla  destra  della  “rail-road” si stagliavano le prime rampe del massiccio montagnoso che si  arrotondava  a  sud  fino  alle sorgenti  del  fiume  dell’Arkansas,  uno  dei  grandi  tributari  del Missouri.

A mezzogiorno e mezzo,  i viaggiatori intravidero per  un  istante  il Forte  Halleck,  che  controlla questa regione.  Ancora poche ore e si sarebbe concluso il passaggio del treno  attraverso  questa  difficile regione.  La neve aveva cessato di cadere.  Il tempo tendeva al freddo secco.  Dei grossi uccelli,  spaventati  dalla  locomotiva,  fuggivano precipitosamente. Sulla piana non faceva la sua comparsa alcuna bestia selvatica,  orso  o  lupo che fosse.  Era il deserto nella sua immensa nudità.

Dopo un pasto molto confortevole,  servito nel vagone  stesso,  Mister Fogg  e  i  suoi compagni avevano appena ripreso il loro interminabile “whist” quando risuonarono dei violenti colpi di fischietto.  Il treno s’arrestò.

Passepartout  cacciò  subito la testa fuori dello sportello e non vide nulla  che  motivasse  quell’arresto.   Non  c’era  in  vista  nessuna stazione.

La  signora Auda e Fix poterono credere per un istante che Mister Fogg pensasse di scendere sulla strada.  Ma il “gentleman” si accontentò di dire al suo domestico:

Scendete a vedere.

Il servo si slanciò fuori del vagone.

Numerosi  viaggiatori  erano  scesi  prima  di  lui,  e  fra  essi  il colonnello Stamp W. Proctor.

Il treno era giunto ad un  disco  girato  al  rosso:  segnale  di  via chiusa.  Conducente  e  fuochista stavano discutendo con un cantoniere che dalla vicina stazione di Medicine Bow era stato  spedito  incontro al  convoglio.  Radunati  intorno  a  quel  gruppetto,  i  viaggiatori interloquivano con vivacità.  Uno dei più vivaci,  con il  suo  sonoro timbro  di voce e con i suoi gesti imperiosi era proprio il colonnello Proctor.

Passepartout s’avvicinò anch’egli, e udì il conducente che diceva:

Non c’è mezzo di passare.  Il ponte di Medicine  Bow  è  in  cattive condizioni e non sopporterebbe il peso del treno.  Il  ponte  di  cui si trattava era un ponte sospeso,  gettato sopra le rapide del fiume Medicine, a un miglio dal luogo dove il convoglio era stato fermato.  Al dire del cantoniere,  quel ponte minacciava rovina: parecchi cavi erano spezzati. Impossibile rischiare il passaggio.  Il  cantoniere  perciò  non  esagerava  affatto  affermando che non si poteva passare.  E d’altronde,  se si tiene conto della spensieratezza degli  Americani,  si  può  dire  che  quando  essi decidono di essere prudenti, sarebbe davvero una pazzia non fare altrettanto.  Passepartout,  non osando portare una simile notizia al  suo  padrone, ascoltava a denti stretti, immobile come una statua.

Il colonnello Proctor, ad un certo punto, gridò:

Oh, non staremo qui a piantar radici sulla neve, immagino!

Si  calmi,  colonnello  - rispose il povero conducente.  - E’ stato telegrafato alla stazione di Omaha per chiedere un  treno.  Ma  non  è possibile che giunga a Medicine Bow prima di sei ore.

Sei ore!! - proruppe Passepartout.

Sicuro  giovanotto.  Del  resto  tanto tempo ci sarà necessario per portarci a piedi a quella stazione.

A piedi! - esclamarono tutti i viaggiatori.

Ma a che distanza è, dunque, questa stazione?  - domandò uno di essi al conducente.

A dodici miglia, dall’altra parte del fiume.

Dodici miglia nella neve! - si lamentò Stamp W. Proctor.

Il colonnello lanciò una sfilata d’imprecazioni,  pigliandosela con la Compagnia,  col conducente,  col fuochista  e  con  la  Sovrintendenza dell’Unione al funzionamento delle linee ferroviarie.  Passepartout non era lungi dal fare altrettanto.  «Ecco  questa  volta  un  ostacolo  naturale  davanti  a  cui anche le banconote del mio padrone valgono quanto carta  straccia»,  rifletteva amaramente in cuor suo.

Il disappunto del resto era generale fra tutti i passeggeri i quali, a prescindere dal ritardo,  si vedevano costretti a compiere a piedi una marcia di quasi quindici miglia attraverso la pianura coperta di neve.  Un inferno  di  grida  e  di  proteste  si  levava  alle  stelle:  uno schiamazzo  assordante  che  avrebbe  certo  attirato  l’attenzione di Phileas Fogg, se egli non fosse stato assorbito nel suo “whist”.  Tuttavia Passepartout aveva ormai l’obbligo d’informare il padrone.  E a  testa  bassa  si  dirigeva a compiere il proprio dovere,  quando il fuochista, un vero «yankee» di nome Forster, dalla massiccia figura di atleta, disse con voce che dominò il clamore generale:

Signori, ci sarebbe forse il mezzo di passare.

Sul ponte?! - chiese una voce.

Sul ponte.

Con il nostro treno? - domandò il colonnello.

Con il nostro treno.

Passepartout si era fermato e divorava con  gli  occhi  il  fuochista, pendendo letteralmente dal suo labbro.

Ma il ponte minaccia rovina! - riprese il conducente.

Non importa - replicò Forster.  - Io dico che, lanciando il treno al massimo di velocità, si avrebbero delle probabilità di passare.

Diavolo!! - fece Passepartout.

Tuttavia un certo numero di viaggiatori erano  rimasti  immediatamente conquistati  dall’idea.  Essa  piaceva  particolarmente  al colonnello Proctor.   Quel  cervello  infuocato  trovava  la  cosa  perfettamente realizzabile.  Ricordò  persino  che gli ingegneri avevano prospettato l’idea di fare valicare dei fiumi «senza ponte»  lanciando  dei  treni rigidi a tutta velocità eccetera.  E così, tutto sommato, tutti coloro che si erano interessati della questione abbracciarono il  parere  del fuochista.

Abbiamo cinquanta probabilità su cento di passare! - diceva.

Sessanta! - affermava un altro. - Ottanta!... novanta su cento!

Passepartout era sbalordito. Quantunque si sentisse disposto a tentare di  tutto  pur  di  passare il Medicine,  quel mezzo gli pareva un po’ troppo... americano.

«Sì»,  pensava.  «Ma ci sarebbe un’altra cosa molto  più  semplice  da fare. E questa gente non se la sogna neppure».

Signore,  -  disse  a uno dei viaggiatori,  - il mezzo proposto dal fuochista mi sembra un po’ troppo azzardato. Si potrebbe invece...

Ottanta probabilità! - ripeté il viaggiatore, voltandogli le spalle.

So bene,  ma...  - osò ancora Passepartout,  e si rivolse a un altro “gentleman”. - Non pare a lei che una semplice riflessione...

Non venga a parlarmi di riflessione,  è inutile!  Dal momento che il fuochista ha detto che si passerà, si passerà.

Non ne dubito. Si passerà ma sarebbe forse più prudente...

Che prudente d’Egitto! - scattò Proctor, il quale aveva colto a caso le parole del francese. - A grande velocità, vi si dice: lo capite?! A grande velocità!

So,  capisco...  - fece ancora Passepartout a cui  nessuno  lasciava finire la sua frase.  - Eppure sarebbe,  non dico più prudente,  se il termine non vi piace, ma per lo meno più naturale...

Vada a contarla ad altri,  col suo naturale!  - gli  si  gridava  da tutte le parti.

Il poverino non sapeva più da chi farsi ascoltare.

Avete forse paura? - gli domandò il colonnello Proctor.

Passepartout ritrovò tutti i suoi spiriti.

Io,  paura?! Ebbene: farò vedere a questi signori se un francese non sa essere tanto americano quanto costoro!

In vettura! in vettura!! - gridava il conducente.

Sì,  in vettura!  - fece eco Passepartout.  - E subito!  Ma  crederò sempre  che  sarebbe  stato  assai  più naturale farci prima passare a piedi su questo ponte noi viaggiatori, e il treno dopo.  Ma nessuno udì tale saggia riflessione: e nessuno  del  resto  avrebbe voluto riconoscere la logicità.

I  viaggiatori erano tutti ai propri posti.  Passepartout,  senza aver detto nulla di quanto era accaduto,  sedeva vicino a Fix  nel  vagone, dove la silenziosa partita di “whist” continuava.  La locomotiva fischiò. Il conducente fece dare macchina indietro e per circa un miglio il convoglio rinculò, come un saltatore che si prepara a prendere la rincorsa.

Poi,  ad  un  secondo  fischio,  il  treno tornò a fare marcia avanti, accelerando sempre di più. In breve la velocità divenne spaventosa.  Non si udiva più che il  sibilo  potente  del  vapore.  Gli  stantuffi battevano  venti  colpi  al  secondo;  gli assali delle ruote fumavano nelle scatole del grasso.  Si sentiva,  per così dire,  che  tutto  il treno,  correndo a cento miglia all’ora,  non pesava più sulle rotaie: la velocità annullava la gravità.

E si passò!  Fu come un  lampo.  Non  si  vide  nulla  del  ponte.  Il convoglio saltò,  si può proprio dirlo,  da una sponda all’altra, e il conducente non riuscì a fermare la sua macchina furibonda  che  cinque miglia al di là della stazione.

Ma appena il treno ebbe varcato il baratro,  il ponte, definitivamente rovinato, si inabissò nelle rapide del Medicine Bow.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

29.

SI FA IL  RACCONTO  DI  INCIDENTI  CHE  POSSONO  CAPITARE  SOLO  SULLE FERROVIE DELL’UNIONE.

Quella  stessa  sera,  il  treno proseguì la sua corsa senza ostacoli:

superò il Forte Sauders, valicò il Passo di Cheyenne e arrivò al Passo di Evans.  A questo punto,  la ferrovia raggiungeva il punto più  alto del percorso, ossia ottomilanovantuno piedi al di sopra dell’Oceano. I viaggiatori  ormai dovevano solo scendere fino all’Atlantico su quelle pianure sconfinate, livellate dalla natura.  Là si trovava sul “grand trunk” la deviazione di Denver City, la città principale del Colorado.  Questo territorio è ricco di miniere d’oro e di  argento,  e  sono  più  di cinquantamila gli abitanti che vi hanno fissato la loro dimora.

A quel punto,  in tre  giorni  e  tre  notti  dalla  partenza  da  San Francisco erano state percorse milletrecentottantadue miglia.  Secondo ogni previsione,  quattro giorni  e  quattro  notti  sarebbero  dovuti bastare per raggiungere New York. Phileas Fogg si manteneva perciò nei margini regolamentari.

Nel  corso  della  notte  ci si lasciò a sinistra il campo Walbah.  Il Lodge Pole  Creek  correva  parallelamente  alla  linea,  seguendo  la frontiera  rettilinea  comune agli Stati dello Wyoming e del Colorado.  Alle undici,  si entrava nel Nebraska,  si passava presso Sedwick e si perveniva a Julesburgh, sul ramo meridionale del Platte River.  Era  stato  in  questa  località che si era svolta il 23 ottobre 1867, l’inaugurazione della Union Pacific Road, il cui ingegnere in capo era stato il generale J.M.  Dodge.  Là si erano arrestate le  due  potenti locomotive che rimorchiavano i nove vagoni di invitati, nel novero dei quali figurava il vice presidente Thomas C. Durant; là echeggiarono le acclamazioni; là i Sioux e i Pawnies avevano dato lo spettacolo di una guerricciola indiana; là erano stati lanciati i fuochi d’artificio, là infine era stato pubblicato,  ad opera di una stamperia portatile,  il primo numero del giornale  “Railway  Pioneer”.  Venne  celebrata  così l’inaugurazione di quella grande ferrovia, strumento di progresso e di civilizzazione, lanciata attraverso il deserto e destinata a collegare tra  loro  città e cittadine che non esistevano ancora.  Il fischietto della locomotiva,  più potente  della  lira  del  mitico  re  di  Tebe Anfione, le avrebbe ben presto suscitate dal suolo americano.  Alle   otto   del   mattino  veniva  oltrepassato  Forte  Mac-Pherson.  Trecentocinquantasette miglia  separano  questo  punto  da  Omaha.  La ferrovia  seguiva,   seguendone  la  riva  sinistra,   le  capricciose sinuosità del ramo meridionale del Platte River.