Le strade erano quasi deserte, eccetto però nel quartiere del Tempio, che essi raggiunsero solo dopo avere attraversato parecchie zone circondate da palizzate. Le donne erano abbastanza numerose, e la cosa è comprensibile se si pensa alla singolare composizione delle famiglie mormoni. Non bisogna credere tuttavia che i Mormoni siano tutti poligami. Si è liberi, ma è bene ricordare che sono particolarmente le cittadine dello Utah a desiderare di essere sposate, perché, secondo la religione del paese, il cielo mormone non ammette come beneficiarie delle sue beatitudini le donne nubili.
Queste povere creature non sembrano né facilitate né felici. Alcune, le più ricche senza dubbio, portavano una giacchetta di seta nera aperta alla vita, sotto un cappuccio o uno scialle molto modesto. Le altre erano vestite semplicemente di tela indiana. Passepartout da parte sua, nella sua qualità di bravo ragazzo, non guardava senza un certo disagio tutte quelle donne mormoni incaricate di fare in molte la felicità di un solo uomo mormone. Nel suo buonsenso, era il marito che egli soprattutto compiangeva. A lui pareva terribile dover guidare tante donne insieme attraverso le vicissitudini della vita, e condurle in tal modo tutte insieme fino al paradiso mormone, con quella prospettiva di ritrovarvele per l’eternità in compagnia del glorioso Smyth, che doveva costituire l’ornamento di quel luogo di delizie. Decisamente non si sentiva questa vocazione e riteneva - ma in questo forse si sbagliava - che le cittadine di Great-Lake-City gettassero sulla sua persona degli sguardi un po’ inquietanti.
Era una vera fortuna che il suo soggiorno nella Città dei Santi non si dovesse protrarre a lungo. Alle quattro meno qualche minuto, i viaggiatori si ritrovavano alla stazione e riprendevano posto nei loro vagoni.
Si sentì un colpo di fischietto; ma proprio nel momento in cui le ruote motrici della locomotiva, slittando sulle rotaie, cominciavano a imprimere al treno un po’ di moto, si sentirono echeggiare delle grida: - Fermi! Fermi!
Non si può fermare un treno in marcia. Il gentiluomo che lanciava quel grido era evidentemente un mormone rimasto attardato. Correva a perdifiato. Fortunatamente per lui la stazione non aveva né porte né barriere. Si lanciò perciò sulla via, saltò sulla piattaforma dell’ultima vettura e si lasciò cadere senza fiato su una panchetta del vagone.
Passepartout, che aveva seguito con trepidazione gli incidenti di questa ginnastica, si avvicinò per osservare questo ritardatario per il quale ebbe un interesse ancora maggiore quando venne a sapere che questo cittadino dell’Utah era scappato in quella maniera precipitosa dopo una scenata in famiglia.
Quando il mormone ebbe ripreso fiato, Passepartout si azzardò a domandargli educatamente quante donne avesse, lui da solo - e dal modo con cui era appena fuggito precipitosamente Passepartout pensava che ne avesse almeno una ventina.
Una, signore! - rispose il mormone levando le braccia al cielo. - Una, e ce n’è abbastanza!
28.
PASSEPARTOUT NON RIESCE A FAR INTENDERE IL LINGUAGGIO DELLA RAGIONE.
Il treno, dopo avere lasciato il Great-Salt-Lake e la stazione di Ogden, si diresse per un’ora verso il nord, fino al fiume Weber e aveva compiuto così novecento miglia da quando era partito da San Francisco. Da quel punto in poi riprese a marciare in direzione est attraverso l’accidentato massiccio dei monti Wahsatch. E’ stato in questa parte di territorio, compreso tra questi monti e le Montagne Rocciose propriamente dette che gli ingegneri ferroviari americani hanno dovuto affrontare le difficoltà più serie. Perciò su questo percorso il contributo del Governo dell’Unione si è elevato a quarantottomila dollari per mille, mentre sul terreno pianeggiante era stato di sedicimila dollari soltanto; gli ingegneri d’altronde, com’è già stato ricordato, non hanno fatto violenza alla natura, hanno giocato con essa, aggirando le difficoltà, e per raggiungere il grande bacino, su tutto il percorso della ferrovia è stato bucato un solo tunnel, lungo millequattrocento piedi.
Era proprio intorno al Lago Salato che il tracciato aveva toccato la sua maggiore altitudine. A partire da questo punto, il suo profilo descriveva una curva molto larga che si abbassava verso la vallata del Bitter Creek per risalire poi al punto di spartiacque tra l’Atlantico e il Pacifico. I ruscelli erano numerosi in questa regione montagnosa. Fu necessario superare con dei ponticelli il Muddy, il Green e altri ruscelli ancora. Passepartout era divenuto più impaziente man mano che ci si avvicinava alla conclusione. Quanto a Fix, egli avrebbe voluto essere addirittura già uscito da questa difficile contrada. Aveva paura dei ritardi, temeva gli incidenti ed era più preoccupato dello stesso Phileas Fogg di rimetter piede sul territorio inglese! Alle dieci della sera, il treno si arrestò alla stazione di Fort Bridger, che lasciò quasi subito per entrare, una ventina di miglia più avanti, nello Stato dello Wyoming, l’antico Dakota, seguendo tutta la vallata del Bitter Creek, da cui scendono in parte le acque che costituiscono il sistema idrografico del Colorado. L’indomani, 7 dicembre, ci fu una fermata di un quarto d’ora alla stazione di Green River. La neve era caduta in abbondanza durante la notte, ma essendo mescolata con la pioggia, si era sciolta in buona parte e non poteva ostacolare la marcia del treno. Tuttavia questo brutto tempo non lasciò senza inquietudine Passepartout, perché l’accumularsi della neve, impantanando le ruote dei vagoni, avrebbe certamente finito col compromettere il viaggio. «Che bizzarra idea ha avuto il mio padrone», si diceva perciò tra sé, «di mettersi in viaggio durante l’inverno! Non poteva attendere la bella stagione per aumentare le sue possibilità?». Ma in quel momento in cui il bravo giovanotto si preoccupava solo dello stato del cielo e dell’abbassamento della temperatura, la signora Auda provava dei timori ben più gravi e che provenivano da tutt’altra causa.
Infatti, alcuni viaggiatori erano scesi dal vagone e passeggiavano sul marciapiede della stazione di Green River in attesa che il treno ripartisse. Ebbene, attraverso i vetri, la giovane donna aveva riconosciuto tra questi viaggiatori il colonnello Stamp W. Proctor, quell’americano che si era comportato con tanta grossolanità con Phileas Fogg durante il “meeting” di San Francisco. La signora Auda, non volendosi far scorgere, si era prontamente tirata indietro. Questa circostanza però aveva profondamente impressionato la giovane. Ella si era attaccata a quell’uomo che, pur con tanta freddezza, ogni giorno le dava dimostrazione della sua più assoluta dedizione. Ella non comprendeva affatto, senza dubbio, tutta la profondità del sentimento che le ispirava il suo salvatore, e a questo sentimento ella attribuiva ancora il nome di riconoscenza, ma, a sua insaputa, vi era già più di questo.
Perciò il suo cuore si sentì stringere, quando ella riconobbe quell’individuo grossolano al quale il signor Fogg avrebbe voluto presto o tardi chiedere conto della sua condotta. Evidentemente era stato unicamente il caso a condurre su quel medesimo treno il colonnello Proctor, ma infine egli vi era e bisognava impedire a qualsiasi costo che Phileas Fogg s’imbattesse nel suo avversario. Appena il treno si fu rimesso in movimento, la signora Auda approfittò di un momento in cui il signor Fogg si era assopito per mettere Fix e Passepartout al corrente della situazione.
Quel Proctor è sul nostro treno? - esclamò Fix. - Ebbene, rassicuratevi, signora; quest’individuo, prima di avere a che fare con il signore... con Mister Fogg, avrà a che fare con me! Mi sembra del resto che in tutto questo incidente sia stato ancora io ad avere subito i più gravi insulti!
E inoltre, - aggiunse Passepartout, - m’incarico volentieri io di lui, per colonnello che egli sia!
Ma signor Fix, - replicò la signora Auda, - Sir Phileas Fogg non lascerà ad alcuno la cura di vendicarlo, vi pare? Egli è gentiluomo, come ha detto, da ritornare apposta in America per rintracciare quel provocatore. Se vede il colonnello qui sul treno, nessuno potrà scongiurare un duello. Ciò che ad ogni costo quindi dobbiamo fare, è di impedire che i due s’incontrino.
Avete ragione, signora Auda. Un duello in questo momento rovinerebbe tutto. Vincitore o vinto, il signor Fogg sarebbe posto in ritardo, e...
E quei suoi cari colleghi del Club avrebbero partita vinta! - terminò Passepartout. - Ah no, miei signori! Io vi dico che fra quattro giorni dobbiamo essere a New York: e ci saremo. Basta che durante questo tempo il signor Fogg non lasci il suo vagone, e si può sperare che il caso non lo metta a faccia a faccia con quel disgraziatissimo Proctor, che il cielo lo confonda! Ora, per impedire l’inconveniente, sapremo ben noi fare tutto il possibile. La conversazione fu interrotta poiché il signor Fogg si era risvegliato. Ma più tardi Passepartout, fattosi seguire da Fix in corridoio, dove nessuno poteva udirli, gli disse a bruciapelo:
Vi battereste davvero per lui?
Farei di tutto per ricondurlo vivo in Inghilterra! - rispose il “detective”, con fermo accento che rivelava una volontà implacabile. Passepartout si sentì un brivido correre per le vene; e fu lì lì per scagliarsi addosso a Fix. Ma seppe trattenersi.
In questo momento, - disse calmo, - ciò che s’impone è di bloccare il signor Fogg nello scompartimento per impedire ogni possibile incontro fra il colonnello e lui. Aiutateci anche voi a trovare un mezzo.
Oh, la cosa non sarà difficile! - disse Fix; - il vostro padrone è di indole poco irrequieta, poco curiosa. Posso dirvi, anzi, che credo di avere un mezzo infallibile per trattenerlo.
E sarebbe?
Ora lo vedrete.
Di lì a poco, rientrato nello scompartimento e sedutosi in faccia al “gentleman”, Fix prese a dire:
Come sono lente, vero, signor Fogg, le ore che si passano in ferrovia?
Infatti - rispose con brevità l’interpellato. - Ma passano anch’esse.
Se non sbaglio - ripigliò Fix, - a bordo dei piroscafi voi avevate l’abitudine di fare la vostra partita a “whist”.
Sì. Ma qui sarebbe impossibile: non ci sono né carte né compagni.
Oh, se è solamente per questo, le carte troveremo certo da comprarle: si vende di tutto sui treni americani. Quanto ai compagni se la signora Auda sapesse...
Certamente, signore! - rispose con vivacità la giovane signora. - Io conosco il “whist”: ciò fa parte dell’educazione inglese.
Benone, allora! - applaudì Fix. - Anch’io ho qualche pretesa a codesto gioco. Perciò si potrebbe giocare in tre, col «morto».
Come vi piace - accondiscese Phileas Fogg, lietissimo di tornare anche in ferrovia, al suo passatempo preferito. Passepartout si precipitò alla ricerca dello “steward” per fare acquisto del materiale occorrente; e tornò di lì a poco con due mazzi di carte, marche, gettoni e una tavoletta coperta di panno. Non ci mancava nulla.
Il gioco cominciò mentre il treno, nella chiara luce del mattino, superava il nevoso Passo Bridger, uno dei punti più alti in cui la ferrovia attraversa la barriera delle Montagne Rocciose. Dopo avere percorso circa duecento miglia, i viaggiatori si trovavano infine su quelle vaste pianure che si estendono fino all’Atlantico e che la natura rendeva tanto propizie all’installazione di una ferrovia.
Sul versante del bacino atlantico si sviluppavano già i primi ruscelli, affluenti o sub-affluenti del North Platte River. Tutto l’orizzonte a nord e ad est era coperto da quell’immensa cortina semi-circolare che costituisce la porzione settentrionale delle Rocky Mountains, dominata dal picco di Laramie. Tra questa curvatura e la ferrovia si estendevano delle vaste pianure abbondantemente innaffiate. Sulla destra della “rail-road” si stagliavano le prime rampe del massiccio montagnoso che si arrotondava a sud fino alle sorgenti del fiume dell’Arkansas, uno dei grandi tributari del Missouri.
A mezzogiorno e mezzo, i viaggiatori intravidero per un istante il Forte Halleck, che controlla questa regione. Ancora poche ore e si sarebbe concluso il passaggio del treno attraverso questa difficile regione. La neve aveva cessato di cadere. Il tempo tendeva al freddo secco. Dei grossi uccelli, spaventati dalla locomotiva, fuggivano precipitosamente. Sulla piana non faceva la sua comparsa alcuna bestia selvatica, orso o lupo che fosse. Era il deserto nella sua immensa nudità.
Dopo un pasto molto confortevole, servito nel vagone stesso, Mister Fogg e i suoi compagni avevano appena ripreso il loro interminabile “whist” quando risuonarono dei violenti colpi di fischietto. Il treno s’arrestò.
Passepartout cacciò subito la testa fuori dello sportello e non vide nulla che motivasse quell’arresto. Non c’era in vista nessuna stazione.
La signora Auda e Fix poterono credere per un istante che Mister Fogg pensasse di scendere sulla strada. Ma il “gentleman” si accontentò di dire al suo domestico:
Scendete a vedere.
Il servo si slanciò fuori del vagone.
Numerosi viaggiatori erano scesi prima di lui, e fra essi il colonnello Stamp W. Proctor.
Il treno era giunto ad un disco girato al rosso: segnale di via chiusa. Conducente e fuochista stavano discutendo con un cantoniere che dalla vicina stazione di Medicine Bow era stato spedito incontro al convoglio. Radunati intorno a quel gruppetto, i viaggiatori interloquivano con vivacità. Uno dei più vivaci, con il suo sonoro timbro di voce e con i suoi gesti imperiosi era proprio il colonnello Proctor.
Passepartout s’avvicinò anch’egli, e udì il conducente che diceva:
Non c’è mezzo di passare. Il ponte di Medicine Bow è in cattive condizioni e non sopporterebbe il peso del treno. Il ponte di cui si trattava era un ponte sospeso, gettato sopra le rapide del fiume Medicine, a un miglio dal luogo dove il convoglio era stato fermato. Al dire del cantoniere, quel ponte minacciava rovina: parecchi cavi erano spezzati. Impossibile rischiare il passaggio. Il cantoniere perciò non esagerava affatto affermando che non si poteva passare. E d’altronde, se si tiene conto della spensieratezza degli Americani, si può dire che quando essi decidono di essere prudenti, sarebbe davvero una pazzia non fare altrettanto. Passepartout, non osando portare una simile notizia al suo padrone, ascoltava a denti stretti, immobile come una statua.
Il colonnello Proctor, ad un certo punto, gridò:
Oh, non staremo qui a piantar radici sulla neve, immagino!
Si calmi, colonnello - rispose il povero conducente. - E’ stato telegrafato alla stazione di Omaha per chiedere un treno. Ma non è possibile che giunga a Medicine Bow prima di sei ore.
Sei ore!! - proruppe Passepartout.
Sicuro giovanotto. Del resto tanto tempo ci sarà necessario per portarci a piedi a quella stazione.
A piedi! - esclamarono tutti i viaggiatori.
Ma a che distanza è, dunque, questa stazione? - domandò uno di essi al conducente.
A dodici miglia, dall’altra parte del fiume.
Dodici miglia nella neve! - si lamentò Stamp W. Proctor.
Il colonnello lanciò una sfilata d’imprecazioni, pigliandosela con la Compagnia, col conducente, col fuochista e con la Sovrintendenza dell’Unione al funzionamento delle linee ferroviarie. Passepartout non era lungi dal fare altrettanto. «Ecco questa volta un ostacolo naturale davanti a cui anche le banconote del mio padrone valgono quanto carta straccia», rifletteva amaramente in cuor suo.
Il disappunto del resto era generale fra tutti i passeggeri i quali, a prescindere dal ritardo, si vedevano costretti a compiere a piedi una marcia di quasi quindici miglia attraverso la pianura coperta di neve. Un inferno di grida e di proteste si levava alle stelle: uno schiamazzo assordante che avrebbe certo attirato l’attenzione di Phileas Fogg, se egli non fosse stato assorbito nel suo “whist”. Tuttavia Passepartout aveva ormai l’obbligo d’informare il padrone. E a testa bassa si dirigeva a compiere il proprio dovere, quando il fuochista, un vero «yankee» di nome Forster, dalla massiccia figura di atleta, disse con voce che dominò il clamore generale:
Signori, ci sarebbe forse il mezzo di passare.
Sul ponte?! - chiese una voce.
Sul ponte.
Con il nostro treno? - domandò il colonnello.
Con il nostro treno.
Passepartout si era fermato e divorava con gli occhi il fuochista, pendendo letteralmente dal suo labbro.
Ma il ponte minaccia rovina! - riprese il conducente.
Non importa - replicò Forster. - Io dico che, lanciando il treno al massimo di velocità, si avrebbero delle probabilità di passare.
Diavolo!! - fece Passepartout.
Tuttavia un certo numero di viaggiatori erano rimasti immediatamente conquistati dall’idea. Essa piaceva particolarmente al colonnello Proctor. Quel cervello infuocato trovava la cosa perfettamente realizzabile. Ricordò persino che gli ingegneri avevano prospettato l’idea di fare valicare dei fiumi «senza ponte» lanciando dei treni rigidi a tutta velocità eccetera. E così, tutto sommato, tutti coloro che si erano interessati della questione abbracciarono il parere del fuochista.
Abbiamo cinquanta probabilità su cento di passare! - diceva.
Sessanta! - affermava un altro. - Ottanta!... novanta su cento!
Passepartout era sbalordito. Quantunque si sentisse disposto a tentare di tutto pur di passare il Medicine, quel mezzo gli pareva un po’ troppo... americano.
«Sì», pensava. «Ma ci sarebbe un’altra cosa molto più semplice da fare. E questa gente non se la sogna neppure».
Signore, - disse a uno dei viaggiatori, - il mezzo proposto dal fuochista mi sembra un po’ troppo azzardato. Si potrebbe invece...
Ottanta probabilità! - ripeté il viaggiatore, voltandogli le spalle.
So bene, ma... - osò ancora Passepartout, e si rivolse a un altro “gentleman”. - Non pare a lei che una semplice riflessione...
Non venga a parlarmi di riflessione, è inutile! Dal momento che il fuochista ha detto che si passerà, si passerà.
Non ne dubito. Si passerà ma sarebbe forse più prudente...
Che prudente d’Egitto! - scattò Proctor, il quale aveva colto a caso le parole del francese. - A grande velocità, vi si dice: lo capite?! A grande velocità!
So, capisco... - fece ancora Passepartout a cui nessuno lasciava finire la sua frase. - Eppure sarebbe, non dico più prudente, se il termine non vi piace, ma per lo meno più naturale...
Vada a contarla ad altri, col suo naturale! - gli si gridava da tutte le parti.
Il poverino non sapeva più da chi farsi ascoltare.
Avete forse paura? - gli domandò il colonnello Proctor.
Passepartout ritrovò tutti i suoi spiriti.
Io, paura?! Ebbene: farò vedere a questi signori se un francese non sa essere tanto americano quanto costoro!
In vettura! in vettura!! - gridava il conducente.
Sì, in vettura! - fece eco Passepartout. - E subito! Ma crederò sempre che sarebbe stato assai più naturale farci prima passare a piedi su questo ponte noi viaggiatori, e il treno dopo. Ma nessuno udì tale saggia riflessione: e nessuno del resto avrebbe voluto riconoscere la logicità.
I viaggiatori erano tutti ai propri posti. Passepartout, senza aver detto nulla di quanto era accaduto, sedeva vicino a Fix nel vagone, dove la silenziosa partita di “whist” continuava. La locomotiva fischiò. Il conducente fece dare macchina indietro e per circa un miglio il convoglio rinculò, come un saltatore che si prepara a prendere la rincorsa.
Poi, ad un secondo fischio, il treno tornò a fare marcia avanti, accelerando sempre di più. In breve la velocità divenne spaventosa. Non si udiva più che il sibilo potente del vapore. Gli stantuffi battevano venti colpi al secondo; gli assali delle ruote fumavano nelle scatole del grasso. Si sentiva, per così dire, che tutto il treno, correndo a cento miglia all’ora, non pesava più sulle rotaie: la velocità annullava la gravità.
E si passò! Fu come un lampo. Non si vide nulla del ponte. Il convoglio saltò, si può proprio dirlo, da una sponda all’altra, e il conducente non riuscì a fermare la sua macchina furibonda che cinque miglia al di là della stazione.
Ma appena il treno ebbe varcato il baratro, il ponte, definitivamente rovinato, si inabissò nelle rapide del Medicine Bow.
29.
SI FA IL RACCONTO DI INCIDENTI CHE POSSONO CAPITARE SOLO SULLE FERROVIE DELL’UNIONE.
Quella stessa sera, il treno proseguì la sua corsa senza ostacoli:
superò il Forte Sauders, valicò il Passo di Cheyenne e arrivò al Passo di Evans. A questo punto, la ferrovia raggiungeva il punto più alto del percorso, ossia ottomilanovantuno piedi al di sopra dell’Oceano. I viaggiatori ormai dovevano solo scendere fino all’Atlantico su quelle pianure sconfinate, livellate dalla natura. Là si trovava sul “grand trunk” la deviazione di Denver City, la città principale del Colorado. Questo territorio è ricco di miniere d’oro e di argento, e sono più di cinquantamila gli abitanti che vi hanno fissato la loro dimora.
A quel punto, in tre giorni e tre notti dalla partenza da San Francisco erano state percorse milletrecentottantadue miglia. Secondo ogni previsione, quattro giorni e quattro notti sarebbero dovuti bastare per raggiungere New York. Phileas Fogg si manteneva perciò nei margini regolamentari.
Nel corso della notte ci si lasciò a sinistra il campo Walbah. Il Lodge Pole Creek correva parallelamente alla linea, seguendo la frontiera rettilinea comune agli Stati dello Wyoming e del Colorado. Alle undici, si entrava nel Nebraska, si passava presso Sedwick e si perveniva a Julesburgh, sul ramo meridionale del Platte River. Era stato in questa località che si era svolta il 23 ottobre 1867, l’inaugurazione della Union Pacific Road, il cui ingegnere in capo era stato il generale J.M. Dodge. Là si erano arrestate le due potenti locomotive che rimorchiavano i nove vagoni di invitati, nel novero dei quali figurava il vice presidente Thomas C. Durant; là echeggiarono le acclamazioni; là i Sioux e i Pawnies avevano dato lo spettacolo di una guerricciola indiana; là erano stati lanciati i fuochi d’artificio, là infine era stato pubblicato, ad opera di una stamperia portatile, il primo numero del giornale “Railway Pioneer”. Venne celebrata così l’inaugurazione di quella grande ferrovia, strumento di progresso e di civilizzazione, lanciata attraverso il deserto e destinata a collegare tra loro città e cittadine che non esistevano ancora. Il fischietto della locomotiva, più potente della lira del mitico re di Tebe Anfione, le avrebbe ben presto suscitate dal suolo americano. Alle otto del mattino veniva oltrepassato Forte Mac-Pherson. Trecentocinquantasette miglia separano questo punto da Omaha. La ferrovia seguiva, seguendone la riva sinistra, le capricciose sinuosità del ramo meridionale del Platte River.
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