Alle nove si giungeva all’importante città di North Platte, costruita tra questi due grandi corsi d’acqua, che si ricongiungono nei suoi paraggi, per formare poi una sola arteria, affluente notevole, le cui acque si confondono con quelle del Missouri, un po’ al di sopra di Omaha. Veniva superato così il centounesimo meridiano.
Il signor Fogg e i suoi compagni di viaggio avevano ripreso il gioco. Nessuno di loro si lamentava della lunghezza del viaggio, neppure il «morto». Fix aveva cominciato col guadagnare qualche ghinea che era in procinto di perdere di nuovo, ma non si mostrava meno appassionato del signor Fogg. Nel corso di quella mattinata, la fortuna favoriva in maniera singolare questo “gentleman”. Atouts e «onori» piovevano con abbondanza nelle sue mani. Ad un certo punto, dopo avere combinato un audace colpo, si preparava a giocare picche, quando, dietro la poltroncina, risuonò una voce che diceva:
Io giocherei piuttosto quadri...
Phileas Fogg, la signora Auda, Fix, alzarono ad un tempo la testa.
Il colonnello Proctor era vicino a loro.
Stamp W. Proctor e Phileas Fogg si riconobbero a prima vista. Questi, che era stato interrotto nel punto in cui si preparava a giocare una carta di picche, sospese un attimo la mossa, per fissare negli occhi il suo avversario.
Ah, ah! - proseguì Proctor, canzonatorio. - Siete voi, signor «Inglese», che volete giocare picche.
E che lo gioco - rispose freddamente Phileas Fogg, gettando un dieci di quel colore.
Proctor fece il gesto di afferrare la carta.
A me piace invece che giochiate quadri! - replicò con più marcata insolenza. - Voi non capite nulla di questo gioco.
Forse sarò più abile di qualcun altro.
Phileas Fogg si era alzato e continuava a fissare il colonnello.
Assumendo un atteggiamento di sfida, il rozzo personaggio ribatté:
Dipende soltanto da voi provarvici, figlio di John Bull!
La signora Auda era diventata pallida. Afferrò il braccio di Phileas Fogg, il quale la respinse dolcemente.
Scattando ad un tempo, Fix e Passepartout si erano interposti fra il “gentleman” e l’americano. Questi si trovò faccia a faccia con il “detective”.
Voi signore, dimenticate che i conti avete da regolarli con me! - proferì Fix, energico. - Sono io quegli che voi avete non solo ingiuriato ma percosso!
Signor Fix, - disse Phileas Fogg, - scusate, ma la faccenda riguarda me solo. Pretendendo che io dovessi giocare quadri, il colonnello mi ha fatto una nuova ingiuria. E me ne darà soddisfazione.
Quando vorrete e dove vorrete - rispose Stamp W. Proctor con voce ferma. - Vi lascio il vantaggio di scegliere l’arma con cui preferite battervi.
La signora Auda fece ogni sforzo per trattenere il signor Fogg, mentre Fix cercava di tornare a interporsi fra il “gentleman” e l’americano. Più impetuoso di tutti, Passepartout si scagliò addirittura su quest’ultimo, lo ghermì alla vita, e voleva gettarlo dallo sportello. Phileas Fogg lo fermò con un gesto e uno sguardo imperioso. Poi, seguito da Proctor, uscì sul passatoio.
Signore, - disse il “gentleman” al suo avversario appena si trovarono soli, - io ho molta fretta di giungere in Europa. Un ritardo qualunque pregiudicherebbe i miei interessi.
E che me ne importa? - rispose il colonnello, provocante.
Phileas Fogg non perdette la calma.
Signore, - ripigliò, - dopo il nostro incontro a San Francisco, avevo stabilito di venire a ritrovarvi in America non appena avessi sbrigato gli affari che mi richiamano nel continente europeo.
Davvero?!
Volete darmi perciò appuntamento fra sei mesi?
Perché non fra sei anni?
Io dico fra sei mesi - sottolineò calmo il signor Fogg. - E sarò puntuale all’appuntamento, ve l’assicuro. Proctor rise sguaiatamente.
Scappatoie, signore mio! O ci battiamo subito, o mai più.
Sia per subito - rispose il “gentleman”. - Andate a New York?
No.
A Chicago?
No.
A Omaha?
Poco ha da importarvi dove vado. Conoscete la città di Plum Creek?
Non la conosco.
E’ la prossima stazione. Il treno vi giungerà fra un’ora e vi si fermerà circa dieci minuti. In dieci minuti si possono scambiare alcuni colpi di pistola.
Va bene - concluse Phileas Fogg. - Mi fermerò a Plum Creek.
Io credo anzi che ci rimarrete - aggiunse l’americano con un’insolenza inaudita.
Chi sa, signore!
Phileas Fogg senza alterarsi, dopo questa risposta lasciò Proctor e rientrò nel suo vagone freddo come al solito. Il “gentleman” incominciò col rassicurare la signora Auda.
I fanfaroni non sono mai da temersi - disse. - State più che tranquilla, signora.
Pregò poi Fix di fargli da «padrino» nel duello che doveva aver luogo. Fix non poté rifiutarsi. Infine, Phileas Fogg riprese la partita interrotta, giocando picche con perfetta calma. Alle undici il fischio della locomotiva annunciò l’avvicinarsi della stazioncina di Plum Creek. Il signor Fogg si alzò e seguito da Fix si diresse al passatoio. Passepartout veniva dietro portando due grosse pistole.
Pallida come una morta, la signora Auda era rimasta al proprio posto nel vagone.
La porta dell’altro vagone si spalancò nel momento in cui Phileas Fogg metteva piede sul passatoio. Proctor comparve seguito anch’egli da un testimone, uno «yankee» della sua tempra. Gli avversari, senza scambiare nemmeno uno sguardo, si avvicinarono a tempo allo sportello per scendere dal convoglio che stava fermandosi, entrando in stazione. Ma un ferroviere dal berretto gallonato, sopraggiungendo alle loro spalle in quell’istante, gridò:
Non si scende, signori!
E perché? - chiese vivacemente il colonnello Proctor.
Abbiamo venti minuti di ritardo, e il treno si ferma a Plum Creek solo qualche secondo.
Ma io devo battermi con questo signore!
Me ne dispiace moltissimo per voi - rispose il capotreno. - Si riparte immediatamente. Sentite il segnale? La campana della stazione suonava infatti. E il convoglio si mise subito in marcia.
Phileas Fogg e Proctor si fissavano in faccia senza muoversi. Il capotreno li guardava a sua volta.
Sono veramente desolato, signori! - disse egli infine. - In qualunque altra circostanza vi avrei favorito volentieri; ma questa volta è stato proprio impossibile. Del resto, giacché non avete potuto battervi a Plum Creek, che cosa vi impedisce di battervi strada facendo?
Ciò non garberà forse al signore! - disse il colonnello con tono beffardo.
Mi garba invece moltissimo - rispose Phileas Fogg senza scomporsi.
Passepartout trasecolato pensava in cuor suo: «Eh via! Simili cose si vedono solo in America! Questo capotreno dev’essere davvero un gentiluomo del fior fiore».
I due avversari e i loro «padrini» si erano mossi intanto dietro al ferroviere dal berretto gallonato. Passepartout senza fiatare li seguì. Passando da un vagone all’altro giunsero alla carrozza di coda del convoglio, occupata da una diecina di persone. Il capotreno chiese a quei passeggeri se volessero per pochi minuti compiacersi di lasciare libero il campo a due “gentlemen” i quali avevano una questione d’onore da sbrigare.
Figurarsi! Benvolentieri! - risposero tutti all’unanimità.
Avevano capito al volo la faccenda, vedendo i due pistoloni portati da Passepartout e si ritirarono in fretta sui passatoi, più lontano che poterono.
Il vagone, lungo una decina di metri, pareva fatto apposta per la circostanza. I duellanti avevano agio di avanzare uno incontro all’altro tra le due file dei sedili, e pistolettarsi a gusto loro. Non vi fu mai duello più facile da regolare. Il signor Fogg e il colonnello Proctor, muniti ciascuno di due pistole a sei colpi, entrarono nel vagone. I testimoni, rimasti fuori, ve li rinchiusero. Al primo fischio della locomotiva i duellanti dovevano cominciare il fuoco. E dopo un intervallo di due minuti i «padrini» sarebbero entrati a ritirare... ciò che fosse rimasto dei due avversari.
Nulla di più semplice, quindi. Era anzi talmente semplice che Fix e Passepartout sentivano il cuore battere da schiantarsi. Immobili, impietriti, trattenendo il respiro, essi aspettavano il fischio convenuto, allorché si udirono urla selvagge e un crepitar di detonazioni che le accompagnavano.
Ma non provenivano dal vagone riservato ai duellanti. Quelle detonazioni e quelle urla echeggiavano lungo il treno, e dall’interno di questo rispondevano grida di spavento. Il colonnello Proctor e il signor Fogg, con le pistole in pugno, uscirono a precipizio dal vagone, dopo averne forzata la porta, e si slanciarono verso la testa del convoglio, da dove il crepitare della fucileria giungeva più incalzante.
Avevano intuito in un lampo la realtà: il convoglio doveva essere stato assalito dai Sioux!
Era infatti ciò che stava succedendo. In piena prateria, una banda d’alcune centinaia di quegli Indiani razziatori, usi a bloccare e a saccheggiare convogli, avevano dato la scalata ai vagoni come farebbe un “clown” con un cavallo al galoppo.
I Sioux urlanti, armati di fucili, si erano precipitati dapprima sulla locomotiva. Il macchinista ed il fuochista erano stati pressoché accoppati a colpi di mazza. Un indiano, con l’intenzione di bloccare il convoglio, aveva afferrato le leve del comando. Ma non conoscendo le manovre, invece d’abbassare il manubrio del regolatore aveva aperto le valvole: e il treno correva ora lanciato ad una velocità spaventevole.
Intanto l’orda dei Sioux si era rovesciata sulle carrozze gremite di passeggeri. Agili come scimmie, gli Indiani correvano carponi sulle imperiali, scardinavano gli sportelli, lottavano a corpo a corpo con i viaggiatori. Molti di questi erano armati, e rispondevano con colpi di pistola alla fucileria dei banditi.
Una diecina di Sioux, simili a diavoli scatenati, riusciti a forzare il bagagliaio, l’invasero e lo saccheggiarono gettando tutti i colli sulla strada.
Grida e spari incalzavano senza tregua. I passeggeri, e con essi il capotreno, erano riusciti a radunarsi dentro alcuni vagoni; e si difendevano animosamente dallo spaventoso assedio, come da dentro a fortini che la fuga del treno trascinava all’impressionante velocità di oltre cento miglia all’ora.
Fin dal principio dell’attacco, la signora Auda si era comportata coraggiosamente. Con la pistola in pugno la giovane indiana si era difesa sparando attraverso i cristalli infranti, e aveva validamente conteso ai selvaggi quella breccia.
Una ventina di Sioux, colpiti a morte dagli assediati, erano caduti sul terreno; molti, scivolando feriti dall’alto dei passatoi, erano precipitati sui binari e finiti travolti sotto le ruote del convoglio. All’interno di questo la scena non si presentava meno tragica. Più d’un viaggiatore giaceva riverso sui sedili, ferito dalle palle o dalle mazze dei Sioux. Si vedevano volti sbiancati e grondanti sangue. La lotta durava già da più d’un quarto d’ora; e da una parte l’accanimento degli Indiani, dall’altra la stanchezza che cominciava a farsi sentire tra gli assediati, lasciavano prevedere che la cosa si metteva male per questi ultimi.
Il capotreno, il quale, a fianco del signor Fogg, si batteva accanitamente, teneva pure d’occhio il paese attraverso cui correva il convoglio furibondo.
La stazione di Forte Kearney dovrebbe essere a due miglia da qui - disse ad un certo punto, parlando a mezza voce al “gentleman”. - Al Forte c’è una guarnigione americana. Se il treno si ferma in quei pressi, siamo salvi. Ma se l’oltrepassa, i Sioux resteranno padroni del convoglio.
Phileas Fogg aveva ascoltato senza batter ciglio. Un lampo gli brillò nello sguardo. E il “gentleman” stava per rispondere al capotreno, quando questi, impallidendo, si accasciò colpito dalla fucilata di un indiano.
Siamo persi... se il treno non si ferma... almeno entro cinque minuti!... - balbettò ancora il ferito a Phileas Fogg, che si era curvato a soccorrerlo aiutato da Passepartout.
Si fermerà! - disse con forza il “gentleman”, serrando la mano del coraggioso compagno di lotta.
Si alzò di scatto e fece per slanciarsi fuori del treno. Ma un braccio vigoroso lo trattenne.
Rimanete, signor Fogg. E’ affare mio!
Passepartout senza dare tempo al suo padrone di fermarlo, aveva spalancato lo sportello e si era cacciato sotto il vagone. Nessuno degli Indiani lo aveva visto.
Intorno le fucilate crepitavano.
Passepartout dovette mettere a frutto tutta la sua agilità e la sua flessibilità di ginnasta.
Avanzò sotto i vagoni, aggrappandosi alle traverse, aiutandosi con le leve dei freni e con le stanghe delle impannate, inerpicandosi da una carrozza all’altra con una destrezza meravigliosa. Giunse così in testa al treno.
Giunto a quel punto, sostenendosi con una mano tra il bagagliaio e il “tender”, con l’altra staccò le catene di sicurezza. Ma finché era in atto la forza di trazione, non si sarebbe sganciata la barra che congiungeva la locomotiva al resto del convoglio. Un’improvvisa scossa che il treno subì in quella pazzesca corsa incontrollata fece avvicinare il “tender” al bagagliaio e la connessura della barra, già forzata, si spezzò. La locomotiva proseguì da sola la furibonda fuga. Trascinato dallo slancio, il resto del convoglio camminò ancora per alcuni minuti. Nell’interno dei vagoni intanto c’era chi pensava a manovrare immediatamente i freni. E il treno andò a poco a poco arrestandosi, a qualche centinaio di metri ormai dalla stazione di Kearney. La guarnigione del Forte, attirata dagli spari, accorse. E, giungendo inattesa, mutò la situazione Prima che il treno fosse completamente fermo sui binari, la banda degli Indiani aveva intanto già preso il largo. In silenziosi gruppi, trasportando pietosamente i feriti, i viaggiatori scesero dai vagoni e a piedi raggiunsero la stazioncina. Là, sul piazzale, si contarono. Alcuni uomini mancavano all’appello: e fra essi il coraggioso francese alla cui devozione tutta quella gente doveva la salvezza.
30.
PHILEAS FOGG FA MOLTO SEMPLICEMENTE IL SUO DOVERE.
Compreso Passepartout erano scomparsi in tutto tre viaggiatori, di cui non si sapeva se fossero stati uccisi nella lotta o portati via prigionieri dai Sioux.
I feriti costituivano un numero considerevole, ma nessuno era colpito mortalmente. Tra quelli che versavano in più gravi condizioni c’era il colonnello Proctor, il quale, dopo avere combattuto a lungo valorosamente aveva ricevuto una palla nell’addome. Venne trasportato nella sala d’aspetto della stazioncina, insieme ad altri viaggiatori le cui condizioni esigevano un immediato intervento medico. Il signor Fogg stava a braccia conserte in un angolo della sala, tra la signora Auda e Fix i quali, come lui, avevano avuto la fortuna di uscire pressoché incolumi dallo scontro. Ma calde lacrime scendevano dagli occhi della bella e giovane signora: Passepartout era irreperibile.
Si scorgeva poco lontano il convoglio vuoto abbandonato sui binari, con le tracce visibili della lotta. Tutto intorno, sulla coltre della campagna nevosa e fin dove l’occhio poteva giungere apparivano lunghe strisce rossastre. Gli ultimi indiani fuggitivi stavano scomparendo verso sud, dalle parti del Republican River. Ad un certo momento la signora Auda alzò lo sguardo in volto a Phileas Fogg, il quale continuava a tacere, immobile, pensieroso come chi ha una grave decisione da prendere.
Il “gentleman” comprese quello sguardo. Se il suo servo era prigioniero, non doveva egli rischiare tutto per cercare di strapparlo agli Indiani?
Io lo ritroverò, vivo o morto! - proferì Phileas Fogg, fissando la giovane compagna. Questa gli afferrò le mani.
Ah, signore!... - mormorò.
E non seppe dire altro. Ma i suoi begli occhi inumiditi di lacrime esprimevano tutta la commozione e l’ammirazione che essa provava.
Se non indugeremo nemmeno un istante, - proseguì il “gentleman”,
forse lo salveremo.
Con questa risoluzione egli poteva decretare la propria rovina. Un solo giorno di ritardo gli faceva perdere la partenza del piroscafo da New York e non era più possibile vincere la scommessa. Ma che importava ciò? Una voce parlava chiara nella coscienza di Phileas Fogg: «E’ il tuo dovere!».
Il capitano comandante della guarnigione di Kearney si trovava tuttora sul posto. I suoi soldati - circa un centinaio - si erano disposti di vigilanza alla stazione per il caso che i Sioux avessero inscenato una finta fuga e potessero tentare un attacco proditorio. Phileas Fogg si presentò al graduato.
Capitano, - disse, - tre viaggiatori sono scomparsi.
Morti?
Morti, o prigionieri: ecco una tragica incertezza che urge far cessare. E’ vostra intenzione inseguire i Sioux?
Faccenda seria, signore! - rispose il capitano alquanto perplesso. - Gli Indiani possono fuggire anche fino al di là dell’Arkansas!... Io non debbo abbandonare il posto che mi è affidato.
Ma si tratta della vita di tre uomini!
Capisco. Tuttavia, posso io rischiare la vita di cinquanta per salvarne tre?
Non so se lo potete, capitano. So che lo dovete.
Il graduato, come se lo avessero staffilato in volto, scattò:
Signore, qui nessuno ha da venire a insegnarmi qual è il mio dovere!
Sia - disse calmo Phileas Fogg. - Andrò solo.
Fix, che non aveva perduto una sola parola del colloquio, non poté fare a meno di precipitarsi emozionatissimo davanti al signor Fogg.
Voi, signore?! - esclamò. - Mettervi da solo all’inseguimento degli Indiani? Ma è una cosa temeraria, insensata, pazzesca!
Vorreste che lasciassi morire quel giovane a cui quanti siamo dobbiamo tutti la vita? Certo che ci andrò.
Ebbene, non ci andrete solo!
Phileas Fogg si volse sorpreso a guardare il capitano, il quale così aveva parlato e che, commosso suo malgrado, proseguì:
Voi siete un intrepido e un generoso. Scusatemi per il diniego di poc’anzi. Metto trenta uomini a vostra disposizione.
E subito, rivolgendosi ai soldati, il graduato comandò:
Trenta uomini di buona volontà si facciano avanti!
Tutta la compagnia si offerse in massa. Non restò che l’imbarazzo della scelta. La piccola pattuglia fu senz’altro composta: e a capo ne fu messo un vecchio sergente.
Grazie, capitano! - disse il signor Fogg.
Fix in quel momento tornò a farsi avanti.
Mi permettete d’accompagnarvi? - domandò al “gentleman”.
Siete libero di fare come credete, signore. Tuttavia se vorrete rendermi un servizio, rimarrete presso la signora Auda. Nel caso mi accadesse una sciagura...
Un pallore improvviso coprì il volto del “detective”. Separarsi dall’uomo a cui era riuscito a tenere dietro attraverso più di mezza circonferenza terrestre? Lasciare che si avventurasse solo nel deserto della prateria!?
Fix guardò con attenzione il “gentleman”. E, quantunque ostinatamente fermo nelle proprie convinzioni, finì per abbassare gli occhi davanti a quello sguardo calmo e franco.
Rimarrò - disse.
Di lì a pochi minuti Phileas Fogg, dopo avere stretto la mano alla signora Auda e averle consegnato il suo prezioso sacco da viaggio, si allontanava a cavallo con il sergente e la piccola truppa.
Prima di partire aveva detto ai soldati:
Ragazzi, ci sono mille sterline per voi se salviamo i prigionieri!
Era in quel momento mezzogiorno e qualche minuto. La signora Auda s’era ritirata in una camera della stazione e mentre attendeva tutta sola il ritorno di Phileas Fogg non poteva fare a meno di pensare a quell’uomo, alla sua semplice e magnifica generosità, a quel tranquillo coraggio. Il signor Fogg aveva sacrificato l’intera sua fortuna e adesso metteva in gioco persino la sua vita, e tutto questo senza esitare, semplicemente per dovere, senza vanterie. Phileas Fogg era veramente un eroe ai suoi occhi. Non la pensava così l’ispettore Fix che non poteva controllare l’agitazione quasi collerica che lo dominava. Con passo febbrile egli continuava ad andare su e giù davanti alla stazioncina. Se poc’anzi si era lasciato soggiogare dallo sguardo del signor Fogg, ora ridiveniva quello del passato.
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