Alcuni uomini mancavano all’appello: e fra essi il coraggioso francese alla cui devozione tutta quella  gente doveva la salvezza.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

30.

PHILEAS FOGG FA MOLTO SEMPLICEMENTE IL SUO DOVERE.

Compreso Passepartout erano scomparsi in tutto tre viaggiatori, di cui non  si  sapeva  se  fossero  stati  uccisi  nella lotta o portati via prigionieri dai Sioux.

I feriti costituivano un numero considerevole,  ma nessuno era colpito mortalmente. Tra quelli che versavano in più gravi condizioni c’era il colonnello   Proctor,   il  quale,   dopo  avere  combattuto  a  lungo valorosamente aveva ricevuto una palla nell’addome.  Venne trasportato nella  sala d’aspetto della stazioncina,  insieme ad altri viaggiatori le cui condizioni esigevano un immediato intervento medico.  Il signor Fogg stava a braccia conserte in un angolo della  sala,  tra la signora Auda e Fix i quali,  come lui,  avevano avuto la fortuna di uscire pressoché incolumi dallo scontro.  Ma calde lacrime  scendevano dagli   occhi   della   bella  e  giovane  signora:  Passepartout  era irreperibile.

Si scorgeva poco lontano il convoglio vuoto  abbandonato  sui  binari, con le tracce visibili della lotta.  Tutto intorno, sulla coltre della campagna nevosa e fin dove l’occhio poteva giungere apparivano  lunghe strisce  rossastre.  Gli  ultimi indiani fuggitivi stavano scomparendo verso sud, dalle parti del Republican River.  Ad un certo momento la signora Auda alzò lo sguardo in volto a Phileas Fogg, il quale continuava a tacere,  immobile,  pensieroso come chi ha una grave decisione da prendere.

Il   “gentleman”  comprese  quello  sguardo.   Se  il  suo  servo  era prigioniero, non doveva egli rischiare tutto per cercare di strapparlo agli Indiani?

Io lo ritroverò, vivo o morto!  - proferì Phileas Fogg,  fissando la giovane compagna.  Questa gli afferrò le mani.

Ah, signore!... - mormorò.

E  non  seppe  dire altro.  Ma i suoi begli occhi inumiditi di lacrime esprimevano tutta la commozione e l’ammirazione che essa provava.

Se non indugeremo nemmeno un istante,  -  proseguì  il  “gentleman”,

forse lo salveremo.

Con  questa  risoluzione  egli poteva decretare la propria rovina.  Un solo giorno di ritardo gli faceva perdere la partenza del piroscafo da New York e  non  era  più  possibile  vincere  la  scommessa.  Ma  che importava  ciò?  Una  voce  parlava  chiara nella coscienza di Phileas Fogg: «E’ il tuo dovere!».

Il capitano comandante della guarnigione di Kearney si trovava tuttora sul posto.  I suoi soldati - circa un centinaio - si erano disposti di vigilanza alla stazione per il caso che i Sioux avessero inscenato una finta fuga e potessero tentare un attacco proditorio.  Phileas Fogg si presentò al graduato.

Capitano, - disse, - tre viaggiatori sono scomparsi.

Morti?

Morti,  o  prigionieri:  ecco  una  tragica incertezza che urge far cessare. E’ vostra intenzione inseguire i Sioux?

Faccenda seria, signore! - rispose il capitano alquanto perplesso. - Gli Indiani possono fuggire anche fino al di là  dell’Arkansas!...  Io non debbo abbandonare il posto che mi è affidato.

Ma si tratta della vita di tre uomini!

Capisco.  Tuttavia,  posso  io  rischiare  la vita di cinquanta per salvarne tre?

Non so se lo potete, capitano. So che lo dovete.

Il graduato, come se lo avessero staffilato in volto, scattò:

Signore, qui nessuno ha da venire a insegnarmi qual è il mio dovere!

Sia - disse calmo Phileas Fogg. - Andrò solo.

Fix,  che non aveva perduto una sola parola del  colloquio,  non  poté fare a meno di precipitarsi emozionatissimo davanti al signor Fogg.

Voi,  signore?! - esclamò. - Mettervi da solo all’inseguimento degli Indiani? Ma è una cosa temeraria, insensata, pazzesca!

Vorreste che lasciassi  morire  quel  giovane  a  cui  quanti  siamo dobbiamo tutti la vita? Certo che ci andrò.

Ebbene, non ci andrete solo!

Phileas  Fogg si volse sorpreso a guardare il capitano,  il quale così aveva parlato e che, commosso suo malgrado, proseguì:

Voi siete un intrepido e un generoso.  Scusatemi per il  diniego  di poc’anzi. Metto trenta uomini a vostra disposizione.

E subito, rivolgendosi ai soldati, il graduato comandò:

Trenta uomini di buona volontà si facciano avanti!

Tutta  la  compagnia  si  offerse in massa.  Non restò che l’imbarazzo della scelta. La piccola pattuglia fu senz’altro composta: e a capo ne fu messo un vecchio sergente.

Grazie, capitano! - disse il signor Fogg.

Fix in quel momento tornò a farsi avanti.

Mi permettete d’accompagnarvi? - domandò al “gentleman”.

Siete libero di fare come  credete,  signore.  Tuttavia  se  vorrete rendermi  un servizio,  rimarrete presso la signora Auda.  Nel caso mi accadesse una sciagura...

Un pallore  improvviso  coprì  il  volto  del  “detective”.  Separarsi dall’uomo  a  cui era riuscito a tenere dietro attraverso più di mezza circonferenza terrestre? Lasciare che si avventurasse solo nel deserto della prateria!?

Fix guardò con attenzione il “gentleman”. E,  quantunque ostinatamente fermo nelle proprie convinzioni,  finì per abbassare gli occhi davanti a quello sguardo calmo e franco.

Rimarrò - disse.

Di lì a pochi minuti Phileas Fogg,  dopo avere stretto  la  mano  alla signora Auda e averle consegnato il suo prezioso sacco da viaggio,  si allontanava a cavallo con il sergente e la piccola truppa.

Prima di partire aveva detto ai soldati:

Ragazzi, ci sono mille sterline per voi se salviamo i prigionieri!

Era in quel momento mezzogiorno e qualche minuto.  La signora Auda s’era ritirata in una camera della stazione  e  mentre attendeva tutta sola il ritorno di Phileas Fogg non poteva fare a meno di pensare a quell’uomo,  alla sua semplice e magnifica generosità,  a quel tranquillo coraggio.  Il signor Fogg aveva  sacrificato  l’intera sua  fortuna  e  adesso metteva in gioco persino la sua vita,  e tutto questo  senza  esitare,  semplicemente  per  dovere,  senza  vanterie.  Phileas Fogg era veramente un eroe ai suoi occhi.  Non  la  pensava  così  l’ispettore  Fix  che  non  poteva controllare l’agitazione quasi collerica che lo dominava.  Con passo febbrile egli continuava ad andare su e giù davanti alla stazioncina. Se poc’anzi si era lasciato soggiogare dallo sguardo del signor Fogg,  ora ridiveniva quello del passato. La sua indole riprendeva il sopravvento.  Partito il “gentleman”,  a Fix era  subito  apparsa  imperdonabile  la stoltezza di averlo lasciato allontanare.  E l’accanito poliziotto ora si accusava,  s’incriminava,  faceva contro se stesso la parte che  il direttore  della  Polizia  di  Londra  soleva  fare quando strapazzava qualche agente resosi responsabile del reato d’ingenuità.  «Sono stato uno sciocco!» - si ripeteva mille volte Fix. «Il servo gli avrà detto chi sono.  E ora il furfante si è eclissato!  Non ritornerà più di certo, e chi lo ripesca è bravo!... Ma come ho potuto lasciarmi incantare così: io,  Fix,  che ho in tasca il suo mandato di cattura?!  Decisamente, sono una gran bestia!».

Le ore trascorrevano con una esasperante lentezza  per  lo  sfortunato “detective” il quale non sapeva proprio quale risoluzione prendere.  A volte  gli  veniva  voglia  di  dire  tutto  alla  signora  Auda;   ma comprendeva come sarebbe stato accolto dalla giovane signora. Mettersi piuttosto  a  vagare per l’interminabile prateria alla caccia di Fogg?  Per  un  istante  gli  parve  che  forse   sarebbe   stato   possibile rintracciarlo:  le  orme  della  pattuglia  erano  ancora impresse sul terreno nevoso.

Ma di lì a poco,  sotto un nuovo strato  di  neve  accumulatasi,  ogni impronta  era  stata cancellata.  Allora lo scoraggiamento assalì Fix.  Egli  provò  una  irresistibile  voglia   d’abbandonare   per   sempre quell’impresa così feconda di fiaschi.

E  l’occasione  di  levare le tende dalla stazioncina di Kearney,  ben presto gli si presentò.

Verso le due del pomeriggio,  mentre la neve seguitava a cadere fitta, si  udì  un  fischio  prolungato  che  veniva da est.  Un’enorme ombra preceduta da una luce  rossastra  avanzava  adagio,  ingrandita  dalla nebbia che le dava un aspetto fantastico.  Eppure  non  s’aspettava  nessun  treno che dovesse giungere da quella parte.  I soccorsi,  chiesti per  telegrafo  ad  Omaha,  non  potevano arrivare  così  presto,  e  il  diretto  da  Omaha a San Francisco non sarebbe passato che il giorno dopo.

Presto il mistero ebbe la sua spiegazione.  La locomotiva che avanzava a piccolo vapore,  sbuffando e  fischiando, era  quella che,  dopo essere stata disgiunta dal resto del convoglio, aveva continuato la sua strada portando il fuochista e il  macchinista svenuti. Essi avevano ripreso i sensi quando già la macchina, percorse alcune  miglia,  aveva  cominciato  a  rallentare  per  la mancanza di combustibile e stava per fermarsi in piena prateria.  Vistosi in  quel deserto,  con la sola locomotiva,  il macchinista aveva capito press’a poco quel che doveva essere accaduto.  In che modo la  macchina  fosse stata sganciata dal resto del convoglio,  il brav’uomo non avrebbe mai potuto indovinarlo,  ma per lui restava  fuori  dubbio  che  il  treno doveva essere rimasto indietro, in balia dei Sioux.  Il macchinista non esitò un attimo su ciò che avrebbe dovuto fare.  Se continuava la strada in  direzione  di  Omaha  si  sarebbe  dimostrato prudente;  il  dovere  viceversa  gli imponeva di ritornare là dove il treno con i viaggiatori si trovava certo in grave pericolo.  Palate di carbone  furono  gettate  nel  fornello  della  macchina.  Il fuoco si ravvivò;  la pressione del vapore tornò a salire.  Verso le  due  dopo mezzogiorno la locomotiva giungeva a Kearney.  Con immensa soddisfazione dei viaggiatori,  la macchina si pose subito in testa al treno: entro breve tempo si  sarebbe  ripreso  il  viaggio tanto tragicamente interrotto.

La signora Auda s’era avvicinata al conducente.

Partite? - chiese preoccupatissima.

All’istante, signora.

Ma... quei prigionieri? Quei nostri sventurati compagni?...

Io non posso interrompere il mio servizio - rispose il macchinista.

Abbiamo già tre ore di ritardo.

E quando passerà un altro treno proveniente da San Francisco?

Domani sera, signora.

La signora Auda sospirò:

Domani sera!... Sarà troppo tardi... Non potreste proprio aspettare?

Mi spiace: vi ho spiegato che  è  impossibile.  Signora,  se  volete partire, affrettatevi a salire anche voi.

Non partirò - rispose la giovane indiana.

Il “detective” aveva assistito a quel dialogo.  Pochi  minuti  prima,  quando  ogni  mezzo  di  locomozione gli faceva difetto,  egli era deciso a lasciare Kearney;  ed ora che il treno  si trovava    pronto a partire,  e che a lui,  Fix,  non restava se non occupare il proprio posto nello scompartimento, una inspiegabile forza lo incatenava al suolo.  Quella banchina della stazione  gli  scottava sotto i piedi;  eppure egli non riusciva a staccarsene.  Lo spirito di lotta ad oltranza si riaccendeva in lui; la collera dell’insuccesso lo soffocava.  Fix voleva restare  sulla  breccia,  compiere  la  propria missione fino all’estremo.

Intanto i feriti - fra i quali il colonnello Proctor,  il cui stato si manteneva assai grave - erano stati trasportati nei vagoni. Si sentiva il ronzio della caldaia surriscaldata e il sibilo del  vapore  che  si sprigionava dalle valvole.

La  locomotiva  fischiò.  Il  treno  si  mise  in  marcia  e scomparve rapidamente fra il turbinio bianco della neve.  Fix era rimasto.

La neve cadde meno abbondante durante la notte: una  notte  immensa  e buia che avvolgeva di silenzio la pianura. Non un grido d’uccello, non una pesta di belva.

La pattuglia partita alla ricerca degli scomparsi non tornava.  La signora Auda, con la mente piena di presentimenti sinistri e con il cuore  in  angoscia,   errò  sul  limitare  della  prateria,  tendendo l’orecchio,  cercando di spingere lo sguardo il più lontano  possibile fra  la  nebbia  ed il nevischio.  Tremante,  intirizzita,  ogni tanto tornava nella sala d’aspetto della stazioncina  dove  era  accesa  una discreta stufa e dove Fix,  seduto su una panca,  stava immobile senza chiudere occhio.

Nel cuore della notte un uomo avvolto in un tabarro  impellicciato  si era avvicinato al “detective” e gli aveva detto qualcosa a mezza voce.  Fix lo aveva rimandato, rispondendogli con un cenno di diniego.  All’alba  il  disco  scialbo  del  sole  si alzò sopra un orizzonte di nebbia.  Tuttavia verso il sud c’era un po’ di schiarita,  e si poteva distinguere  a  qualche  miglio  di  distanza.  Dovunque  appariva  un assoluto deserto.

Il capitano della  guarnigione  si  mostrava  impensierito,  inquieto.  Capiva  che ormai bisognava prendere una decisione: spedire un secondo distaccamento in soccorso del primo. Ma il vecchio soldato esitava.  «Sacrificare nuovi uomini,  con così scarsa probabilità di salvare gli altri che forse a quest’ora saranno già rimasti uccisi?...».  L’esitazione  del capitano non durò tuttavia a lungo.  Improvvisamente egli si scosse come da un incubo e chiamò con un gesto  uno  dei  suoi subalterni.

Bisogna  spingere una ricognizione verso sud - disse brevemente.  - Venti uomini ai miei ordini. Si parte subito.  Echeggiarono secchi in quell’istante alcuni spari.

Un segnale?!

Il capitano e il subalterno si precipitarono fuori.  A un mezzo miglio si distingueva un drappello  che  avanzava  di  buon passo.

I nostri che tornano!

L’annuncio  mise l’esultanza nel cuore della signora Auda e di Fix;  e ognuno corse incontro ai sopraggiungenti.  Phileas Fogg veniva in testa al drappello.  Vicino a lui erano il  suo domestico e i due altri viaggiatori strappati alle mani dei Sioux.  C’era  stato  un combattimento,  dieci miglia a sud di Kearney.  Pochi minuti prima dell’arrivo della pattuglia,  Passepartout e i  suoi  due compagni di sventura stavano già lottando contro gli Indiani che se li erano  trascinati  come  preda.  Il  francese ne aveva accoppati due a furia di pugni: a quel punto,  il suo padrone e i soldati erano giunti in soccorso.

Alla  stazioncina  di Kearney,  salvatori e salvati furono accolti con grida di giubilo.  La signora Auda serrò la mano del “gentleman” nella propria senza poter dire parola.

Phileas Fogg distribuì ai soldati il premio che aveva promesso, mentre Passepartout,  commosso,  guardava  sorridendo  e pensava in cuor suo:

«Bisogna confessare che costo un po’ caruccio al mio padrone!».

In disparte, Fix osservava anch’egli la scena, muto, quasi accigliato.  Sarebbe stato difficile analizzare le impressioni  che  lottavano  nel suo animo.

Intanto  Passepartout  si  era  dato  subito  a  cercare  il  treno in stazione: aveva creduto di trovarlo lì pronto sui binari.

Il treno? Il treno?! - andava gridando.

Partito - rispose Fix.

Il treno successivo quando passa? - domandò Phileas Fogg.

Non prima di stasera.

Ah! - L’impassibile “gentleman” non aggiunse altro.  passo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

31.

L’ISPETTORE FIX PRENDE MOLTO SUL SERIO GLI INTERESSI DI PHILEAS FOGG.

Phileas Fogg si trovava ormai in ritardo di venti ore.  Passepartout, causa involontaria di quell’imbroglio, era letteralmente disperato.

Ho rovinato il mio padrone! - gemeva torcendosi le mani.

In  quel  momento  il  “detective”  si  avvicinò  al  signor  Fogg,  e fissandolo bene in faccia gli disse:

Avete fretta proprio sul serio, signore?

Proprio sul serio - rispose Phileas Fogg.

Insisto:  avete  realmente  interesse  di giungere a New York prima delle nove di sera,  per essere in tempo alla partenza  del  piroscafo che va a Liverpool?

Sì, un interesse massimo.

Allora:  se  il vostro viaggio non fosse stato interrotto da questo attacco degli Indiani, sareste giunto a New York l’11 mattina vero?

Sì, con dodici ore d’anticipo sul piroscafo.

Avete perciò venti ore di ritardo. Fra venti e dodici, la differenza è otto. Sono otto ore da riguadagnare. Volete tentare di farlo?

A piedi? - domandò Phileas Fogg.

No.  In slitta a vela.  Un  tale  mi  ha  offerto  questo  mezzo  di trasporto.  Posso  indicarvi  l’uomo:  eccolo    che passeggia sulla banchina.

Si trattava dell’individuo che durante la notte si  era  avvicinato  a dire  qualcosa  all’orecchio  di  Fix  di  cui  questi aveva rifiutato l’offerta.  Phileas Fogg non rispose al “detective”.  Ma poco dopo  si avvicinò all’uomo intabarrato,  il quale continuava ad andare su e giù davanti alla stazione.  I due barattarono poche  parole.  Poi  Phileas Fogg seguì lo sconosciuto.

Insieme  raggiunsero  una capanna costruita ai piedi di Forte Kearney.  Colà l’americano,  che aveva nome  Mudge,  mostrò  al  “gentleman”  un curioso  veicolo.   Era  una  slitta  vera  e  propria,  in  grado  di trasportare cinque o sei persone,  ma attrezzata di albero e  di  vele come un “cutter” da corsa.  L’albero si rizzava, diciamo così, a prua, ed era sostenuto da solide sartie metalliche;  portava una larga randa e  tendeva uno straglio,  pure di acciaio,  che serviva a manovrare la vela di fiocco. A poppa c’era il timone.

D’inverno sulle praterie d’America,  quando i treni  restano  bloccati dalla neve,  queste slitte a vela si rendono utilissime permettendo di tragittare da una stazione all’altra assai rapidamente.  Con il  vento in poppa scivolano sulla piana gelata alla velocità d’un diretto: vere imbarcazioni   di   terra   che   hanno  anche  il  vantaggio  di  non capovolgersi, tanto sono ben equilibrate.

Vi piace la mia slitta? - chiese Mudge al “gentleman”.

Si potrebbe concludere senz’altro il  noleggio,  se  mi  date  buona speranza che si arrivi ad Omaha in meno di cinque ore.

Posso  darvene  assicurazione:  se  il vento si mantiene dall’ovest gagliardo come soffia ora.  Il  tempo  è  buono  e  la  neve  è  dura.  Viaggeremo magnificamente.

Phileas Fogg rifletté un attimo.

«Ad Omaha»,  pensava, «sono frequenti i treni e numerosissime le linee d’allacciamento con Chicago e con New York.  Non è improbabile che  il ritardo possa venire praticamente annullato». E concluse ad alta voce:

Tentiamo l’avventura!

Non  volendo  esporre  la  signora  Auda  ai  disagi d’un viaggio allo scoperto,  col gran freddo che faceva e che sarebbe stato reso  ancora più  insopportabile  dalla velocità della corsa,  Phileas Fogg propose alla sua gentile  compagna  di  rimanere  a  Kearney  in  custodia  di Passepartout. Questi si sarebbe preso la responsabilità di condurla in Europa per una via più comoda e con mezzi più sicuri.  Ma  la  signora  Auda  rifiutò  di  separarsi  dal signor Fogg.  Ne fu felicissimo Passepartout,  il quale per nulla al mondo avrebbe  voluto lasciare  il  suo  padrone,  dal  momento  che  Fix  era  ancora  lì a tallonarlo.

Ciò che intanto pensava il  “detective”  in  quella  circostanza,  era alquanto  diverso  dalle  sue  opinioni  d’un  tempo.  Il  ritorno del “gentleman” aveva portato come una scossa alla feroce  ostinazione  di Fix  nel volerlo reputare un mariuolo di prima forza.  Qualche strappo cominciava a manifestarsi nella rigida intransigenza  del  poliziotto.  Tuttavia,  sempre deciso ad esaurire sino in fondo il proprio compito, egli si mostrava il più impaziente di tutti a sollecitare  il  ritorno in Inghilterra.

Alle  otto  il  veicolo di Mudge fu pronto a partire.  I passeggeri si rannicchiarono nel fondo della slitta avvolgendosi  nelle  pellicce  e nelle  coperte da viaggio.  Le due larghe vele furono alzate e presero il vento,  che vi  soffiò  gagliardo.  Sul  terreno  coperto  di  neve indurita,  l’agile  equipaggio  volò  alla velocità di quaranta miglia all’ora.

Da Kearney ad  Omaha,  -  aveva  spiegato  Mudge  al  momento  della partenza,  - ci sono a volo d’ape, come dicono gli Americani, duecento miglia al più.  Se  il  vento  si  mantiene  e  se  non  sopravvengono incidenti, a un’ora dopo mezzodì potremmo essere a destinazione.  Poi  Mudge  non  aprì  più bocca: il vento della corsa lo impediva.  I viaggiatori si tenevano  stretti  l’uno  all’altro.  Nessuno  fiatava; ascoltavano  la musica lamentosa delle sartie metalliche che vibravano come corde di uno strumento gigantesco toccate dall’arco.  Quando il vento giungeva radente,  pareva che la slitta si  sollevasse addirittura  da  terra per la forza delle sue larghe vele.  Mudge,  al timone,  con abili colpi di barra rettificava le guizzate che  il  suo leggero  veicolo era costretto a subire.  Il taciturno americano aveva tutto l’interesse di giungere ad Omaha nel limite di tempo  convenuto, giacché il signor Fogg,  fedele al proprio sistema, lo aveva allettato con un vistoso premio.

La prateria era piatta come un mare.  E la slitta la tagliava in linea retta,  accorciando  enormemente  il  percorso della ferrovia,  che si svolgeva seguendo in ampio semicerchio la  sponda  destra  del  Platte River: dovendo servire questo territorio la ferrovia risaliva infatti, da  sud-ovest  a  nord-ovest,  passando  per  Grand Island,  Columbus, importante città del Nebraska, Schuyler, Fremont, poi Omaha.  Mudge non poteva temere di venir fermato da quel gomito che  il  fiume fa  a  circa venti miglia da Omaha,  dal momento che la superficie del River era gelata.  Il bravo pilota si sentiva perciò tranquillo:  ogni cosa  lo assecondava,  specie il vento che soffiava con estrema forza, tanto  da  curvare  l’albero.   Non   c’erano   tuttavia   da   temere inconvenienti  da  questo  lato:  le  sartie  metalliche  di  sostegno facevano egregiamente il loro dovere.