perdonatemi! Una rassomiglianza deplorevole...  Il ladro è stato arrestato da tre giorni...  Voi siete libero!

Ah, sono libero!

Sir Phileas Fogg non disse altro. Fece due passi verso il “detective”, lo guardò bene in faccia.  Poi, compiendo l’unica mossa rapida che mai avesse fatto e mai dovesse  fare  in  vita  sua,  trasse  indietro  le braccia  e  con la precisione d’un automa assestò uno dopo l’altro due formidabili pugni all’infelice poliziotto.

Ben fissati!  - esclamò Passepartout,  che  si  permetteva  così  un atroce  gioco di parole ben degno di un francese e aggiunse: Perdiana!  Ecco quel che si può chiamare un bell’uno-due della boxe inglese!  Fix,  gettato a terra,  non pronunciò nemmeno una parola.  Aveva avuto quel che si meritava.

Lasciando  il “detective” a scrollarsi di dosso la polvere,  il signor Fogg,  la signora Auda e Passepartout  si  precipitarono  fuori  della Dogana  e,   imbucatisi  in  una  carrozza,  raggiunsero  la  stazione centrale. Erano le due e quaranta minuti.  Il diretto per Londra era partito da trentacinque minuti. Phileas Fogg ordinò allora un treno speciale.

C’erano  parecchie  locomotive  di  grande  velocità  in  manovra   in stazione, con le caldaie surriscaldate. Tuttavia, date le esigenze del movimento,  il  treno speciale non poté lasciare Liverpool prima delle tre.

Al momento della partenza Phileas Fogg aveva detto alcune paroline  al macchinista, di un certo premio da guadagnare: ma bisognava percorrere in cinque ore e mezzo, anziché in sei, la distanza Liverpool Londra.  Cosa  fattibilissima,  quando tutta la linea potesse trovarsi sgombra.

Ciò peraltro difficilmente si verifica. Ci furono dei forzati ritardi.  E allorché il “gentleman”  metteva  finalmente  piede  sulla  banchina della  stazione  di  Londra,  le lancette del grande orologio sotto la pensilina segnavano esattamente le nove meno dieci minuti.  Phileas Fogg, dopo aver compiuto l’avventurosissimo viaggio intorno al mondo, giungeva con cinque minuti di ritardo.  Aveva perduto la scommessa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

35.

PASSEPARTOUT NON SI FA RIPETERE DUE VOLTE  L’ORDINE  DATOGLI  DAL  SUO PADRONE.

L’indomani gli abitanti di Saville Row si sarebbero mostrati increduli se  qualcuno  avesse  detto  loro  che  il  signor Fogg era tornato al proprio domicilio.  Porte e finestre della casa contraddistinta con il numero   7  continuavano  a  rimanere  ermeticamente  chiuse;   nessun cambiamento era avvenuto al di fuori,  da far pensare che la casa  non fosse più disabitata.

Infatti  proprio questo era stato l’ordine dato da Phileas Fogg al suo servo al momento di fare ingresso nel loro alloggio subito dopo  avere lasciato la stazione e avere pensato all’acquisto di alcune provviste.  Sir  Phileas Fogg aveva ricevuto con l’impassibilità consueta il colpo finale datogli dalla mala sorte.  Ma certo riconosceva lucidamente  di essere  un  uomo  liquidato  in quanto a finanze: e tutto per colpa di quel balordo ispettore di polizia.  Dopo  avere  camminato  con  passo sicuro  per  così lunga strada,  dopo avere affrontato mille pericoli, abbattuto mille ostacoli, trovando anche il tempo di concludere un po’ di bene cammin facendo, dover naufragare proprio ora che era giunto in porto, e per una causa perversa,  imprevedibile,  contro la quale egli era totalmente disarmato!

Triste cosa davvero. Della somma considerevole con cui era partito non gli rimaneva che un residuo insignificante. Tutte le sue finanze ormai si  riducevano  alle  ventimila  sterline  depositate  ancora presso i Fratelli Baring.  Ma quelle le doveva ai suoi colleghi  del  Club!  E’ vero  che,  quand’anche  avesse  vinto la scommessa,  dopo tante spese fatte non si sarebbe trovato ricco,  - e del resto egli non aveva  mai pensato  ad arricchirsi: aveva scommesso per punto d’onore - ma è vero pure che la scommessa perduta lo riduceva alla rovina.  Il “gentleman” concluse il proprio bilancio prendendo mentalmente  una decisione. Sapeva qual era l’unica cosa che gli rimaneva da fare.  Nella  casa  di  Saville  Row intanto c’erano a quell’ora due anime in pena.  La signora Auda,  alla quale era  stato  subito  riservata  una stanza della casa di Saville Row,  poteva dirsi addirittura disperata: dalle ultime parole pronunciate da Phileas Fogg prima di ritirarsi  le era  parso  di capire che egli meditasse qualche progetto funesto.  E’ noto infatti a quali  deplorevoli  eccessi  giungano  talvolta  quegli inglesi dall’idea fissa affetti da mono-mania. E la stessa impressione aveva avuto pure Passepartout il quale,  senza darlo a vedere,  teneva d’occhio il suo padrone.

Il bravo giovanotto,  al primo arrivare,  non  aveva  tralasciato  con tutto ciò di salire come un fulmine nella propria camera a spegnere il becco  a  gas che vi ardeva da ottanta giorni.  Ed aveva trovato nella cassetta delle lettere una fattura della Compagnia del Gas, ammontante ad una cifra spettacolosa.

Era tempo che mettessi fine a questo consumo  di  cui  sarò  l’unico pagatore responsabile!...  - sospirò il poverino lasciandosi cadere su una sedia, con la chilometrica nota fra le mani.  Venne la notte. La signora Auda si era coricata;  ma non poté prendere un  istante di riposo.  Anche nella camera del signor Fogg la luce era stata spenta e tutto era silenzio.  Chi  sa  però  se  il  “gentleman” dormiva?

Davanti  alla  porta  di  quella  camera,  accucciato  come  un  cane, Passepartout vegliò fino all’alba,  a orecchio teso sempre in ascolto.  L’indomani di buon’ora il signor Fogg chiamò il servo e gli raccomandò in  termini  molto asciutti di occuparsi della colazione della signora Auda.

Per me, - soggiunse,  - soltanto una tazza di tè e una fetta di pane tostato.  Riferirete alla signora Auda che la prego di scusarmi se non sarò presente né a pranzo né a cena,  dovendo rimanere occupatissimo a riassestare i miei affari. Verso sera soltanto le chiederò il permesso d’intrattenerla per pochi minuti: ho da parlarle.  Passepartout, conoscendo a puntino il famoso programma della giornata, non  avrebbe  avuto  che  da  andarsene  immediatamente  a mettersi in funzione.  E invece non si muoveva di lì;  continuava a fissare il suo padrone  con uno sguardo strano da cui traspariva tanta angoscia.  Sì!  Se egli avesse avvisato Mister Fogg,  se gli avesse svelato i progetti dell’agente  Fix,  il  signor  Fogg  non  si  sarebbe  tirato appresso l’agente Fix fino a Liverpool,  e allora...  Finalmente non seppe  più contenersi, e gettandosi ai piedi del “gentleman” scoppiò a piangere.

Padrone mio, signor Fogg, maleditemi! E’ stato per mia colpa che...

Io   non  accuso  nessuno  -  rispose  Phileas  Fogg  con  accento perfettamente sereno. - Andate.

Passepartout un po’ meno oppresso,  lasciò la camera del padrone e  si recò a fare la sua ambasciata alla signora Auda.

Signora,  - aggiunse, - io non posso nulla dal canto mio, nulla! Non ho alcuna influenza sul mio padrone. Voi forse...

Quale influenza potrei  io  mai  avere?  -  rispose  tristemente  la giovane indiana.  - Il signor Fogg non ne subisce alcuna. Non ha forse mai nemmeno capito quanto sia profonda la mia  riconoscenza  verso  di lui.  Non ha letto nel mio cuore.  Amico mio, a voi mi raccomando: non bisogna lasciarlo  solo  un  istante!  Voi  dite  che  ha  manifestato l’intenzione di parlarmi stasera?

Sì, signora.

Aspettiamo - sospirò la giovane donna.

E rimase pensierosa.

La  cosa più singolare che avvenne quel giorno fu che Phileas Fogg per la prima volta in vita sua, pur essendo presente a Londra, non uscì di casa per recarsi al Club allo scoccare delle undici e mezzo.  E perché del  resto  avrebbe  dovuto  andarvi?  I  suoi  colleghi  certo non lo aspettavano più.  Se allo scader del 21 dicembre alle ore 8,45 Phileas Fogg non si era mostrato nel salone del Club della Riforma, per lui la scommessa  era  perduta.  Non  gli  restava  nemmeno  la  necessità di presentarsi ai banchieri Fratelli Baring  per  ritirare  le  ventimila sterline:  i  suoi avversari stessi vi avrebbero provveduto essendo in possesso dell’assegno regolarmente firmato.  Phileas Fogg non aveva quindi ragione di uscire.  E non  uscì.  Rimase chiuso in camera tutto il giorno a mettere in ordine i suoi affari.  E Passepartout per tutto il giorno non tralasciò di salire e scendere le scale, tornando ogni momento presso quell’uscio.  Origliava,  guardava dal  buco della serratura,  sentendosi più che scusato in coscienza di non  commettere  con   ciò   un’indiscrezione,   date   le   terribili circostanze:  c’era  da temere da un momento all’altro una catastrofe.  Talvolta Passepartout si metteva a pensare a  Fix,  ma  nel  frattempo c’era  stato  un  cambiamento  nella sua valutazione.  Aveva smesso di volerne all’ispettore di polizia.  Fix si era sbagliato come tutti nei riguardi  di Phileas Fogg,  e pedinandolo e poi arrestandolo non aveva fatto che il suo dovere,  mentre  invece  lui...  Questo  pensiero  lo prostrava ed egli si considerava l’ultimo dei miserabili.  Questi  amari  pensieri  opprimevano  il  povero  servo  e lo facevano sentire talmente infelice che a volte non era più capace  di  rimanere solo.  Allora  bussava  alla  porta  della  camera della signora Auda; entrava da lei e si sedeva in un angolo, senza aprire bocca, guardando la giovane indiana sempre pensierosa.

Verso le sette e mezzo di sera Phileas Fogg  fece  chiedere  alla  sua gentile ospite se poteva riceverlo.

Pochi  minuti  dopo il “gentleman” era in presenza della signora Auda.  Il signor Fogg  prese  una  sedia  e  sedette  accanto  al  caminetto, dirimpetto  alla giovane donna.  Il volto di lui non rifletteva alcuna emozione.  Il signor Fogg ritornato dal lungo viaggio era il  medesimo che era partito. Aveva la stessa calma e impassibilità.

Signora,  - disse il “gentleman”,  dopo un breve silenzio, guardando in volto la signora Auda e  alzandosi,  -  mi  perdonerete  di  avervi condotta in Europa?

Io, signor Fogg?...

C’era  un  indicibile  accento nelle parole della giovane indiana,  ed ella comprimeva a fatica i battiti del cuore.

Vogliate permettermi di finire - riprese il “gentleman”. Allorché io ebbi il pensiero di trarvi lontana da quella terra pericolosa per voi, ero ricco e contavo di porre una parte della  mia  sostanza  a  vostra disposizione.  La vostra esistenza sarebbe stata felice e libera.  Ora io sono rovinato...

Lo so, signor Fogg - lo interruppe la giovane indiana con un sorriso infinitamente triste.  - Perciò sono io che vi chiedo a mia volta:  mi perdonerete di avervi seguito e,  chi sa?,  di avere forse, causandovi ritardo, contribuito alla vostra rovina?

Signora, voi non potevate assolutamente rimanere in India! La vostra salvezza non era assicurata se non in un luogo dove quei fanatici  non potessero mai più riprendervi.

Così,  signor  Fogg,  non  contento di avermi strappata a una morte orribile,  voi vi credevate  anche  obbligato  ad  assicurare  la  mia posizione in Europa?

Certo,  signora - rispose il “gentleman”, inchinandosi lievemente. - Ma gli avvenimenti si sono volti contro di me. Tuttavia,  del poco che mi rimane vi chiedo ancora di poter disporre a vostro favore.

Ma voi, signor Fogg, come farete?

Io,  signora, - rispose freddamente il “gentleman”, - non ho bisogno di nulla.

Come? Ma avete riflettuto alla sorte che vi aspetta?

Vi assicuro che ho fatto le mie riflessioni.

Auda tacque un istante, pensosa. Poi vivacemente soggiunse:

E’ vero che in ogni modo la miseria non potrebbe mai colpire un uomo come voi. I vostri amici...

Io non ho amici, signora.

I vostri parenti...

Non ho più parenti.

Vi compiango allora,  signor Fogg.  Oh,  la solitudine è davvero una triste cosa!...  Ma,  nemmeno un cuore amico avete,  in cui deporre le vostre pene? Si dice che in due anche la miseria sia sopportabile.

Lo dicono, signora.

La signora  Auda  si  era  alzata.  Porse  la  bella  bianca  mano  al “gentleman”.

Signor Fogg, - disse, - volete accettare al tempo stesso una parente ed un’amica? Volete accettarmi per moglie?  Un riflesso insolito splendeva ora negli occhi di Phileas Fogg;  c’era come un tremito nelle sue labbra mentre la signora Auda  lo  guardava.  La  sincerità,  la fermezza soave e forte di quel bello sguardo di una nobile creatura che osa tutto per salvare colui a cui deve  tutto,  lo sorprese dapprima, quindi lo penetrò.

Phileas  Fogg  chiuse un istante gli occhi come per evitare che quello sguardo avanzasse di più  nel  suo  cuore.  Quando  li  riaprì,  disse semplicemente:

Io vi amo.  Sì,  in verità, per quanto c’è di più sacro al mondo, io vi amo!  E sono il più felice degli uomini di poter congiungere il mio destino con il vostro.

Ah! - esclamò la signora Auda portandosi la mano al cuore.

Passepartout fu chiamato. Venne subito. Phileas Fogg teneva ancora fra le sue la mano della signora Auda.

Passepartout  capì.  E  la sua larga onesta faccia brillò come il sole allo zenit delle regioni tropicali.

Il signor Fogg gli chiese se non fosse  troppo  tardi  per  andare  ad avvertire  il  reverendo  Samuel Wilson,  della parrocchia di Mary-le-Bone.

Mai troppo tardi!  - esclamò il francese,  con un sorriso che valeva un perù.  Erano le otto e cinque minuti.

La  cerimonia  sarà  domani,   lunedì!  -  disse  Passepartout  con solennità.

Per domani lunedì? - chiese compitamente Phileas Fogg,  guardando la sua giovane fidanzata.

Per domani lunedì - confermò la signora Auda.

Passepartout uscì a gambe levate.

 

 

 

 

36.

PHILEAS FOGG VIENE NUOVAMENTE ACCREDITATO SUL MERCATO.

E’ tempo di dire quale mutamento fosse avvenuto nell’opinione pubblica di  Londra  allorché  circolò la notizia che il vero ladro della Banca d’Inghilterra -  un  certo  James  Strand  -  era  stato  arrestato  a Edimburgo il 17 dicembre.

Alla  vigilia  di  questa  data,  Phileas Fogg era ancora per tutti il delinquente che la polizia braccava intorno al globo.  Adesso  tornava ad  essere  il  più  onorabile  dei  “gentleman”,  occupato a compiere matematicamente il suo eccentrico giro del mondo in ottanta giorni.  Tutti i quotidiani ne parlavano. Tutti gli scommettitori pro e contro, che da tempo avevano abbandonato la  speculazione,  risuscitarono.  Le scommesse,  anzi,  si  centuplicavano.  Il nome di Phileas Fogg veniva nuovamente accreditato sul mercato. I cinque colleghi del “gentleman”, al Club della Riforma,  passarono quei tre giorni dal 17 al 21 in vero orgasmo.

Dove sarà Phileas Fogg a quest’ora?

Non ha mai più dato notizie di sé!  E gli ottanta giorni stanno per spirare.

Che sia morto in viaggio?...

Non pensiamoci neppure! Avrà piuttosto rinunciato all’impresa.

E se invece stesse continuando matematicamente il suo itinerario?...

Non è ancora escluso che il 21,  alle 8,45  di  sera,  ce  lo  vediamo comparire, come il dio della puntualità, sulla soglia del salone!  Questa  era la ridda delle idee che i banchieri John Sullivan e Samuel Fallentin,  l’ingegnere Andrew  Stuart,  Walter  Ralph  amministratore della Banca d’Inghilterra e il birraio Thomas Flanagan agitavano senza tregua nelle loro menti e nelle loro discussioni.  Intanto  si  erano  lanciati  dispacci  in America e in Asia per avere notizie di Phileas Fogg.  Si mandò mattina e sera ad osservare la casa di Saville Row.  Nulla!  La polizia stessa non sapeva più che ne fosse stato del “detective” Fix,  disgraziatamente gettatosi sopra una falsa pista.

Nella  Borsa  di  Londra,  a  conclusione  di  tutto  questo  fermento d’attesa, le famose «azioni» intitolate a Phileas Fogg erano tornate a circolare. E la loro quotazione saliva alle stelle.  Naturalissimo quindi che la sera del  21  dicembre  una  folla  enorme affluisse in Pall-Mall e nelle strade adiacenti al Club della Riforma.  Ci  volle  la presenza d’una pattuglia di polizia per mantenere un po’ d’ordine in quella calca.

Nel salone del Club,  sprofondati entro le poltrone distribuite qua  e là in ordine sparso,  Sullivan,  Fallentin,  Ralph,  Stuart e Flanagan aspettavano,  gli occhi fissi sul quadrante del decorativo orologio  a pendolo le cui lancette segnavano allora le 8 e 25 minuti.

Signori:  altri  venti  minuti,  e  il  termine convenuto fra noi e Phileas Fogg sarà  spirato!  -  disse  a  quel  punto  Andrew  Stuart, alzandosi.

Una evidente emozione lo dominava.

A  che  ora è giunto l’ultimo treno da Liverpool?  - domandò Thomas Flanagan.

Alle 7 e 23 - rispose Walter Ralph.  - E  il  treno  successivo  non arriva che a mezzanotte e 10.

Ebbene,  signori:  se  Fogg  tosse  giunto  col treno delle 7 e 23, sarebbe già qui. Possiamo considerare la scommessa come guadagnata!  L’emozione tremava sempre più viva nella voce  di  Andrew  Stuart,  il quale aveva proferito solennemente queste parole.

Aspettiamo;  non pronunciamoci ancora - rispose Samuel Fallentin.  - Voi sapete meglio di me che il  nostro  collega  è  un  eccentrico  di prim’ordine: il campione della puntualità,  non arrivando né un minuto prima né un minuto dopo.  Come ho già detto  un’altra  volta,  non  mi meraviglierei di vedercelo capitare davanti all’ultimo istante.

E io,  invece, - ribatté Stuart al colmo del nervosismo, quand’anche lo vedessi, non ci crederei!

Infatti,  - venne di rinforzo Thomas Flanagan,  -  il  progetto  del signor Fogg era insensato.  Per campione d’esattezza che egli sia, non avrà mai potuto impedire dei ritardi che  in  qualunque  viaggio  sono inevitabili!  E  anche  il  ritardo  di  un  paio  di giorni bastava a compromettere la sua impresa.

Ci fu un attimo di silenzio. Poi riparlò Sullivan.

Le cose devono senz’altro andare male al nostro collega.  Io mi baso sul  fatto  che  non ne abbiamo ricevuto la minima notizia: e sì che i fili telegrafici non mancavano sulla sua strada!

Phileas Fogg ha perso, signori!  Vi ripeto che ha perso cento volte!

incalzò  l’arrabbiato Andrew Stuart.  - Voi sapete benissimo che il «China»,  il solo piroscafo che egli avrebbe potuto  prendere  da  New York a Liverpool per essere qui in tempo utile, è giunto ieri. Ebbene, eccovi  la  lista dei passeggeri,  pubblicata sulla “Shipping Gazette” (la Gazzetta Navale).  Il nome di Phileas Fogg non  vi  figura.  Siete convinti?...  Ammettendo  tutte  le  più  favorevoli  combinazioni,  a quest’ora il nostro amico è appena in America. Ritengo che avrà almeno venti giorni di ritardo sulla data convenuta,  e  altrettanto  avverrà anche per le cinquemila sterline di Lord Albermale.

Walter Ralph terminò la frase del collega:

E’ evidente,  e noi domani non avremo che da presentare ai banchieri Fratelli Baring l’assegno del signor Phileas Fogg.  In quell’istante l’orologio del salone segnava le 8 e 40.

Ancora cinque minuti - disse Andrew Stuart.

I gentlemen si guardavano.  Ognuno cercava per quanto possibile di non lasciar  trasparire  troppo  i  battiti  del proprio cuore.  Erano dei giocatori,  ma la posta del gioco  era  davvero  molto  alta!  Ma  non volevano darlo a vedere.  Per darsi un contegno, su proposta di Samuel Fallentin presero posto con affettata  indifferenza  a  un  tavolo  da gioco.

Non  cederei la mia parte di quattromila sterline sulla scommessa - disse Andrew Stuart,  sedendosi,  - a chi me  ne  offrisse  in  questo momento 3999!

Erano le 8 e 42.

I  giocatori  presero  le  carte.  Ma  involontariamente  i loro occhi correvano al quadrante del pendolo.  Per quanto grande fosse ormai per quei  cinque gentiluomini la sicurezza di vincere,  mai minuti parvero ad essi più lunghi!

Le 8 e 43 - annunciò Flanagan,  tagliando il  mazzo  che  Ralph  gli presentava.

Poi tacquero tutti.