- La data esatta risale al 1742. - Così dicendo il dottor Mortimer cavò dalla tasca della giacca l’oggetto in questione. - Questo documento di famiglia fu affidato in mie mani da Sir Charles Baskerville, la cui morte tragica e improvvisa di circa tre mesi fa ha suscitato profondissima emozione nel Devonshire. Dirò che oltre a essere il suo medico di casa ero anche un suo caro amico. Sir Charles era un uomo volitivo, astuto, pratico, come me del tutto privo di immaginazione. Eppure egli aveva preso molto sul serio questo documento e nel suo animo era preparato alla fine a cui poi effettivamente andò incontro .

Holmes allungò la mano e prese il manoscritto che stese poi sulle ginocchia.

- Noti, Watson, l’uso alternato delle s lunghe e di quelle brevi; è uno dei vari indizi che mi hanno consentito di fissare la data.

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Sporgendomi al di sopra della sua spalla esaminai la carta gialliccia e lo scritto sbiadito. In cima, il documento recava l’intestazione: “Castello di Baskerville” e sotto, in grandi cifre arabescate, la data “1742”.

- Sembra un rendiconto, o qualcosa del genere.

- Infatti; è la narrazione di un’antica leggenda che si tramanda dal tempo dei tempi nella famiglia dei Baskerville.

- Ma se ho ben capito, lei intende consultarmi intorno a qualcosa di piú moderno e di piú pratico !

- E come no? Si tratta di un argomento modernissimo, praticissimo, estremamente pressante, e che deve essere risolto nelle ventiquattr’ore. Ma il manoscritto è breve e intimamente connesso con la questione che ci riguarda. Se mi consente glielo leggerò io stesso.

Holmes si spinse all’indietro sulla sedia, unì insieme le punte delle dita e chiuse gli occhi con aria rassegnata. Il dottor Mortimer volse il manoscritto alla luce e prese a leggere con voce acuta, gracchiante, lo strano antiquato racconto che segue:

Intorno alle origini del Mastino dei Baskerville molte leggende sono state narrate: discendendo io tuttavia in linea diretta da Hugo Baskerville, e poiché il fatto mi è stato raccontato da mio padre, il quale a sua volta lo apprese dal suo, io l’ho trascritto con la piena certezza che esso accadde esattamente come qui è detto, e vorrei che voi credeste, figli miei, che quella stessa Giustizia che punisce il male possa anche perdonarlo con gran benevolenza, e che non esista anatema per quanto terribile che la preghiera e il pentimento non possano cancellare. Apprendete dunque da questo racconto a non temere le conseguenze del passato, ma piuttosto a essere circospetti per il futuro, affinché le malvagie passioni per le quali la nostra famiglia ha così dolorosamente sofferto non debbano scatenarsi nuovamente per vostra colpa.

Sappiate dunque che all’epoca della Grande Ribellione (di cui raccomando caldamente alla vostra attenzione la cronaca del dottor Lord Clarendon) questo Maniero dei Baskerville era in mano a Hugo dello stesso nome, e non si può negare che costui fosse un uomo violentissimo, empio, ateo. Ciò forse in verità gli sarebbe stato perdonato dai suoi vicini, dato che in queste contrade non fiorirono mai santi, ma vi era in lui un’indole così stranamente crudele e perversa, che essa faceva del suo nome sinonimo di orrore in tutta la regione occidentale. Accadde che questo Hugo si accendesse d’amore (se in verità una così cupa passione può essere chiamata con così luminoso appellativo) per la figlia di un proprietario terriero che possedeva alcuni appezzamenti di terreno in prossimità della tenuta dei Baskerville. Ma la giovane, di natura pudica e virtuosa, lo evitava sempre per timore della sua cattiva reputazione. Fu così che nel giorno di San Michele di un certo anno, questo Hugo, insieme a cinque o sei suoi bravacci, irruppe nella fattoria e rapì la fanciulla, mentre il padre e i fratelli erano fuori casa, come egli ben sapeva. Come l’ebbero condotta al Maniero, la ragazza fu rinchiusa in una stanza dei piani superiori, mentre Hugo e i suoi amici si abbandonavano a una lunghissima baldoria notturna. Ora la povera giovane, imprigionata in quella stanza eccelsa, si sentiva rabbrividire di raccapriccio ai canti e alle urla e alle spaventose bestemmie che giungevano sino a lei dal piano terreno: poiché si narra che le parole usate da Hugo Baskerville quando era ubriaco erano tali che avrebbero potuto incenerire l’uomo che le proferiva. Infine, in preda alla paura, la fanciulla fece cosa che avrebbe intimorito il piú coraggioso o il più agile degli uomini, poiché, con 1’aiuto di un ramo d’edera che copriva (e tuttora copre) il muro meridionale, si calò a terra da sotto alle gronde, correndo quindi verso casa lungo la brughiera, sebbene tra il Maniero e la fattoria d i suo padre vi fosse una distanza di tre leghe Ora accadde che qualche tempo dopo Hugo lasciò i suoi ospiti per portar da bere e da mangiare -

e forse cose peggiori - alla sua prigioniera, e trovò così la gabbia vuota e l’uccellino fuggito. Parve allora che un demone s’impossessasse di lui, poiché si precipitò giú, nel salone da pranzo, balzò sulla grande tavola, facendo volare tutt’attorno a sé caraffe e taglieri, e proclamò ad alta voce dinanzi all’intera compagnia che avrebbe ceduto quella notte stessa il proprio corpo e l’anima insieme alle Potenze del Male purché fosse riuscito a ghermire la sgualdrinella. E mentre i gozzoviglianti arretravano inorriditi da tanto furore, uno piú malvagio, o forse piú ubriaco degli altri, gridò forte che le sguinzagliassero dietro i mastini. Al che Hugo uscì correndo dalla casa, urlando ai suoi scudieri di sellare la sua giumenta e di liberare la muta e, dando ai segugi una sciarpa della fanciulla affinché la annusassero, li aizzò a inseguire la fuggitiva, e via se ne andò urlando attraverso la brughiera, sotto la luce della luna.

I bravacci stettero per qualche po’ come attoniti e incapaci di comprendere ciò che si era svolto così velocemente, ma ben presto le loro menti ottenebrate si schiarirono e intuirono la natura del misfatto che stava per compiersi sopra la landa.