Il Messaggiero
Torquato Tasso
Il Messaggiero
Op. Grande biblioteca della letteratura italiana ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Edizioni di riferimento
elettroniche
Liz, Letteratura Italiana Zanichelli
a stampa
Torquato Tasso, Dialoghi, a cura di E. Raimondi, Firenze, Sansoni, 1958
Design
Graphiti, Firenze
Impaginazione
Thèsis, Firenze-Milano
Torquato Tasso Il Messaggiero
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Al serenissimo signor Vincenzo Gonzaga, principe di Mantova e di
Monferrato.
Tanto Vostra Altezza è ricca d’ogni ornamento, quanto io povero d’ogni protezione: onde nel dedicarle questo dialogo non faccio a lei alcuno onore, ma da lei ricerco alcun favore. Egli è scritto secondo la dottrina de’
Platonici, la quale in molte cose è diversa da la verità cristiana: laonde non devrebbe alcuno maravigliarsi ch’io abbia posti vari mezzi fra gli uomini e Dio, come posero non sol molti filosofi, ma San Bernardo medesimo, che chiamò gli angeli mediatori, benché santo Agostino dica ch’uno sia il mediatore; né ch’io in qualche parte non riprenda i giudìci de l’astrologia, i quali sono da lui in tutto riprovati e condannati; o ch’io ne la creazione de l’uomo abbia voluto seguir l’opinione di Platone, ripresa da santo Ambrosio, avegnaché, non volendo trattarne come teologo, non istimava sconvenevole lo scriverne platonicamente, e tutti gli altri modi mi parevano più contrari a la vera teologia. Ma perché tutti i filosofi debbono ricercar la verità, quantunque non per la medesima strada, io, per questa ricercandone, da quella che è somma verità ho cercato di non molto allontanarmi. Vostra Altezza dunque il legga come opera d’uomo che scrive come filosofo e crede come cristiano, e come tale vorrei che fosse veduto da gli altri; ma se niun il leggesse, ella mi sarebbe in vece di molti: né io desidero che si divolghi per le mani de gli uomini se non perch’egli, a chiunque il leggerà, sia un testimonio de l’affezione ch’io le porto, e del desiderio c’ho di servirla; laonde, quando a Vostra Altezza non piacesse di farmi grazia di conservarlo, amo meglio di vederlo morto sotto il suo nome che sotto l’altrui vivere lungamente con isperanza d’eternità. Consideri nondimeno Vostra Altezza s’a la sua grandezza si conviene di lasciar perire ingiustamente o almeno rigoro-samente chi sotto l’ombra del suo favore s’è riparato, e s’assicuri che ne la vita de la presente operetta conservarà viva perpetuamente la mia devozio-ne. E senza più le bacio umilissimamente la mano.
Di Vostra Altezza serenissima
devotissimo servitore
TORQUATO TASSO.
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ACTA G. D’Anna Thèsis Zanichelli
Torquato Tasso Il Messaggiero
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Il Messaggiero
Era già l’ora che la vicinanza del sole comincia a rischiarare l’orizonte, quando a me, che ne le delicate piume giaceva co’ sensi non fortemente legati dal sonno, ma così leggiermente che il mio stato era mezzo fra la vigilia e la quiete, si fece a l’orecchio quel gentile spirto che suole favellarmi ne le mie imaginazioni, e mi chiamò per quel nome che è comune a tutti quelli i quali son nati ne la mia stirpe. Io, udendo quella voce così piana e così soave, risposi incontinente: Mi pare di conoscere la tua voce a la sua soavità, percioché non suona come l’altre favelle mortali, ma in modo così dolce ch’io argomenterei che tu fossi spirito di paradiso che, pietoso de’
miei affanni, discendessi dal cielo; se tu non mi paressi più presto a la consolazione ch’a l’aiuto, ove gli angioli, per quello ch’io ne creda, non soglion recar men di soccorso che di conforto. Ma se angelo non sei, né anima felice, che puoi essere? Demone o anima infelice non istimo che tu sii, né so se i notturni fantasmi siano alcuna cosa oltre queste; ché forse crederei la tua voce essere d’alcun di quelli de’ quali disse il nostro poeta: Mai notturno fantasma D’error non fu sì pien com’ei ver noi.
A queste parole lo spirito l’alzò in guisa che non m’era paruto mai di udirlo sì forte favellare; ma benché egli ragionasse come sdegnoso, lo sdegno nondimeno era mescolato con la soavità de la sua voce, e i suoi detti furon tali: Ingrato, dunque potesti mai credere ch’io fossi fantasma pien d’errore? Allora io, mezzo fra vergognoso e dolente: Deh, dissi, non t’offen-da ciascuna mia parola; e se non vuoi concedere a la mia ignoranza il poter dubitare, concedi almeno al mio affanno di poter lamentarmi, e siami lecito di dir a te ciò ch’a la madre dea, che sotto mentite forme gli appariva, disse Enea, perseguitato da l’ira di Giunone: Quid natum toties crudelis tu quoque falsis Ludis imaginibus? Cur dextrae iungere dextram Non datur ac veras audire et reddere voces?
Benché tanto sei tu più di lei crudele, quanto ella pure in alcun modo sotto alcun corpo gli s’appresentava a gli occhi; ma te non vidi io giamai, e solo odo la voce tua, la quale è pur argomento che tu abbi corpo, percioché la voce formar non si può senza lingua e senza palato. E se l’hai, perché no ‘l dimostri? Forse sei più dolce ad udire che bello a riguardare, e forse (vedi come sempre torno ne le solite dubitazioni) questo mio è sogno, e tu altro Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 4
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non sei che fattura de la mia imaginazione, e sogni sono stati tutti i ragionamenti che teco ho fatti per l’adietro: conciosia cosa che, mentre il corpo dorme, l’anima non suole star oziosa, ma, non potendo essercitarsi a gli obietti esteriori, si volge a quelle imagini de le cose sensibili de le quali ella ha fatta conserva ne la memoria, e di loro compone varie forme in modo che non è cosa fuor di noi che dentro simile al vero non possa figurare; e molte volte accoppia quelle che non si possono accoppiar per natura: laonde io dubito tuttavia di sognare e di sillogizzar sognando, e che questa mia non sia veduta o udita, ma d’udire e di vedere imaginazione.
A queste parole parve che sorridesse lo spirito e sorridendo rispondes-se: Il tuo vaneggiare, nato per soverchio d’affanno, rivolge in riso ogni mio disdegno, e aspetto omai che tu dica che io sia non quel fantasma che descris-se il tuo poeta, ma simile a quello che incantò la buona femina dicendoli:
“Fantasma, fantasma, che di notte vai, a coda ritta te ne venisti e a coda ritta te n’andrai”. Il qual però non prima si partì che le vivande ascose nel giardino avesse mangiate. Nondimeno, perché io in guisa mi rido di te che n’ho insieme compassione, rimoverò da te que’ dubbi che mi sarà conceduto di rimovere; e perché tutta la vostra cognizione è o di senso o d’intelletto, io e co ‘l senso e con la ragione son per manifestarti tanto oltre di me quanto per aventura non credesti giamai di poter sapere. E cominciando, dico che, se tu dormessi, non potresti né vedere né udire, percioché il sonno è legamento di ciascun senso; ma tu vedi: e per chiarirti meglio di ciò, volgi gli occhi al balcone, e vedrai che per le sue fissure già entra il nuovo sole sì puro e sì chiaro ch’è indizio di felice giornata. Odi parimente la mia voce così distinta che non hai di che dubitare: e accioché il tatto, ch’è certissimo oltre tutti i sensi, maggiormente ne la credenza del vero ti confermi, prendi la mia destra, ch’io la ti porgo a baciare, e la ti do per pegno di fede.
Qui tacque lo spirito, e sentii che co ‘l fine de le parole mi porse la mano, e io la presi in quel modo ch’è uso de’ Tedeschi di toccar la destra de’
principi quando s’inchinano per far lor riverenza. Ma non cessando però in me tutti i miei dubbi, così replicai: Ben so io che ‘l sonno sopisce tutti i sentimenti esteriori, ma so anche ch’egli non solo non impedisce la imaginazione, ma forza e aiuto le ministra: laonde, quanto ella sarà più forte, tanto io meno potrò accorgermi di dormire; ma per aventura m’avederò poi d’aver dormito. Oltre acciò, s’a quella visione solamente debbiam credere, la qual in guisa sia vera che non possa esser falsa, come posso prestar Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 5
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credenza a questa mia, la qual può esser fallace? E s’ella è sì fatta, non può esser compresa e conosciuta; e indarno ricorro al testimonio de’ sensi ne’
quali, se desti fossero, non sarebbe il giudicio de la verità, quanto meno or che sono sopiti.
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