D’Anna Thèsis Zanichelli
Torquato Tasso Il padre di famiglia Q
Cotesta, diss’io allora, è stata opinion d’alcuni dottori ebrei e cristiani di gran grido, della quale, poi ch’ella non è articol di fede, ciascun può credere a suo modo. E io per me son un di coloro che son di contraria opinione; e mi par più verisimile che, se ‘l mondo ebbe principio, come si dee supporre, l’avesse la primavera: il che così mi sforzerò di provare. Dovete sapere ch’il cielo è ritondo e ha tutte le sue parti sì uniformi che non si può assignare in lui né principio né fine, né destro né sinistro, né sovra né sotto, né inanzi né dietro, che sono le sei posizioni del luogo, se non forse solo in rispetto del moto, percioché destra è quella parte dalla quale ha principio il movimento; ma perch’il movimento del sole va contra il movimento del primo mobile, dubitar si potrebbe se queste sei differenze del luogo si debbano principalmente prendere secondo il moto del primo mobile o secondo il moto del sole: nondimeno, perché tutte le cose di questo nostro mondo alterabile e corruttibile dipendono dal movimento principalmente, il quale è cagione della generazione e della corruzione e padre degli animali, è ragionevole ch’il moto del sole ditermini le differenze del luogo. Secondo il moto del sole dunque il nostro polo è il superiore, il qual secondo il movimento del primo mobile sarebbe l’inferiore; stante questo fondamento, se noi vorremo investigare da quale stagione è ragionevole che
‘l mondo abbia avuto principio, vedremo ch’è molto ragionevole ch’egli l’abbia avuto in quella nella quale il sole, movendosi, non s’allontana da noi, ma a noi s’avvicina e comincia la generazione e non la coruzione: perché secondo l’ordin della natura le cose prima si generano e poi si corrompono. Ma il sole, movendosi dall’Ariete, a noi s’avvicina e alla generazion delle cose dà principio; è ragionevol dunque che, quando il mondo ebbe principio, il sole fosse in Ariete: il che senza alcun dubbio così vedrà essere chi diligentemente considererà le cose che nel Timeo di Platone da Iddio padre son dette agli dei minori. Ben è vero che chi volesse prender le posizion del luogo dal movimento del primo mobile, ne seguirebbe ch’il polo antar-tico fosse il soprano per natura e che ‘l mondo dovesse avere avuto principio in quella stagione nella quale il sole, movendosi, s’avvicina a’ nostri antipodi e comincia la generazione in quelle parti dell’altro mondo che sono opposte a queste: il che chi concedesse, più ragionevol sarebbe ch’il moto avesse avuto principio nell’equinozio autunnale, quando il sole era in Libra. Tutta volta ne seguirebbe anco ch’egli avuto l’avesse nella primavera, perché questo, ch’è autunno a noi, è primavera a coloro in rispetto de’ quali Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 13
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il principio del moto si prenderebbe. Ma la prima opinione, sì come per ragion naturale è più ragionevole, così anco più commodamente dalle per-suasioni può esser accompagnata, perciò ch’il nostro mondo fu degnato della presenza del vero figliuol d’Iddio, il quale elesse di morire in Gierusalemme, che secondo alcuni è nel mezzo del nostro emisperio: oltre di ciò egli volle morir la primavera per riscuotere l’umana generazione in quel tempo ch’egli prima l’aveva creata.
Qui mi taceva io; quando il buon padre di famiglia, mosso da queste mie parole, con maggiore attenzione cominciò a risguardarmi e disse: A maggior ospite ch’io non credeva conosco d’aver dato ricetto, e voi sete uno peraventura del quale alcun grido è arrivato in queste nostre parti, il quale, per alcuno umano errore caduto in infelicità, è altrettanto degno di perdono per la cagione del suo fallire, quanto per altro di lode e di maraviglia. E
io: Quella fama che peraventura non poteva derivar dal mio valore, del quale voi sete troppo cortese lodatore, è derivata dalle mie sciagure; ma, qualunque io mi sia, io mi son uno che parlo anzi per ver dire che per odio o per disprezzo d’altrui o per soverchia animosità d’opinioni. Se voi tal sete, rispose il buon padre di famiglia, poi che non voglio altro per ora investigar de’ vostri particolari, non potrete essere se non convenevol giudice d’un ragionamento che ‘l mio buon padre, carico d’anni e di senno, mi fece alcuni anni innanzi che morisse, rinunziandomi il governo della casa e la cura famigliare.
Mentr’egli così diceva, i servitori levavano i piatti, ch’in parte eran voti, dalla tavola, e la moglie, accompagnata da’ figliuoli, si levò e ritirossi alle sue stanze; i quali poco stante ritornando, dissi io: A me sarà oltre modo grato d’udir ciò ch’in questo proposito da vostro padre vi fu ragionato; ma perché mi sarebbe grave l’ascoltar con disagio degli altri ascoltatori, vi prego che voi commandiate a’ vostri figliuoli che seggano. I quali avendo ubbedito al cortese commandamento del padre, egli così cominciò: In quel tempo che Carlo Quinto depose la monarchia e dall’azioni del mondo alla vita contemplativa, quasi da tempesta in porto, si ritirò, il mio buon padre, ch’era d’età di settanta anni, avendo io passati quelli di trenta, a sé mi chiamò e in questa guisa cominciò a ragionarmi: L’azioni de’ grandissimi re che convertono gli occhi a sé di tutte le genti, se ben per la grandezza loro non pare che possano avere alcuna proporzione con quelle di noi altri uomini privati, nondimeno ci muovono talora con l’auttorità dell’essempio ad imi-Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 14
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tarle in quel modo che noi vediamo che la providenza d’Iddio onnipotente e della natura è imitata non solo dall’uomo, animal ragionevole ch’a gli angioli di dignità s’avicina, ma dalla industria d’alcuni piccioli animaletti eziandio; onde non ti dovrà parer strano se, ora che Carlo Quinto gloriosissimo imperatore ha deposto il peso della monarchia, io penso co ‘l suo essempio di sgravarmi di questo della casa, il quale alla mia privata persona non è men grave di quel che sia l’imperio alla sua eroica. Ma prima ch’io a te dia il governo, il quale più a te ch’a tuo fratello non solo per la maggioranza dell’età si conviene, ma per la maggior inclinazione ancora che dimostri all’agricoltura, cura alla famigliare congiuntissima molto, io voglio così delle cose appertenenti al buon governo ammaestrarti com’io da mio padre fui ammaestrato, il quale, di povero padre nato e di picciolo patrimonio erede, con l’industria e con la parsimonia e con tutte l’arti di lodato padre di famiglia molto l’accrebbe: il qual poi ne le mie mani non è scemato, ma fatto maggiore che da mio padre no ‘l ricevei. Perché, se bene con tanta fatica non ho atteso all’agricoltura con quanta egli diede opera, né con tanta parsimonia son vissuto, nondimeno (siami lecito con te, mio figliuol, di gloriarmi) la cognizion ch’io aveva maggior della natura delle cose e de’ commerci del mondo è stata cagione che con maggiore spesa agevolmente ho fatto quello ch’egli, uomo senza lettere e non esperto del mondo, co ‘l risparmio e con la fatica eziandio della persona difficilmente faceva.
Or cominciando, dico che la cura del padre di famiglia a due cose si stende, alle persone e a le facoltà, e che con le persone tre uffici dee essercitare, di marito, di padre e di signore; e nelle facultà due fini si propone, la conservazione e l’accrescimento: e intorno a ciascuno di questi capi partitamente ragionerò, e prima delle persone che delle facultà, perché la cura delle cose ragionevoli è più nobile che quella delle irragionevoli. Dee dunque il buon padre di famiglia principalmente aver cura della moglie con la qual sostiene persona di marito, che con altro nome forse più efficace è detto consorte, conciò sia cosa ch’il marito e la moglie debbon esser consorti d’una medesima fortuna e tutti i beni e tutti mali della vita debbono fra loro esser communi in quel modo che l’anima accomuna i suoi beni e le sue operazioni co ‘l corpo e che ‘l corpo con l’anima suole accomunarle: e sì come, quando alcuna parte del corpo ci duole, l’animo non può esser lieto e alla mestizia dell’animo suol seguitar l’infermità del corpo, così il marito dee Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 15
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dolersi co’ dolori della moglie e la moglie con quei del marito. E la medesima comunanza dee essere in tutti gli affetti e in tutti gli offici e in tutte l’operazioni: e tanto è simile la congiunzione che ‘l marito ha con la moglie a quella che ‘l corpo ha con l’anima, che non senza ragione così il nome di consorte al marito e alla moglie s’attribuisce, com’a l’anima è stato attribuito; conciosia cosa che, dell’anima ragionando, disse il Petrarca: L’errante mia consorte,
ad imitazion forse di Dante, che nella canzona della nobiltà aveva detto che l’anima si sposava al corpo, benché per alcun altro rispetto ella più tosto al marito ch’alla moglie debba essere assomigliata. E sì come, poi che s’è di-sciolto una volta quel nodo che lega l’anima co ‘l corpo, non pare che l’anima a niun altro corpo possa congiungersi, perché pazza a fatto fu l’opinion di coloro che volevan che l’anima d’uno in altro corpo trapasasse in quella guisa che ‘l peregrino d’uno in altro albergo suol trapassare, così parrebbe convenevole che la donna o l’uomo che per morte sono stati di-sciolti dal primo nodo di matrimonio, non si legassero al secondo; né senza molta lode e molta maraviglia della sua pudicizia sarebbe Didone continovata nel suo proponimento di non volere il secondo marito: la qual così dice: Sed mihi vel tellus optem prius ima dehiscat Vel pater omnipotens adigat me fulmine ad umbras Ante, pudor, quam te violem aut tua iura resolvam.
Ille meos primus qui me sibi iunxit amores Abstulit; ille habeat secum servetque sepulchro.
Nondimeno, perché l’usanza e le leggi in ciò dispensano, può così la donna come l’uomo senza biasmo passare alle seconde nozze, massimamente se vi trapassano per desiderio di successione, desiderio naturalissimo in tutte le ragionevoli creature; ma più felici nondimeno sono coloro i quali da un sol nodo di matrimonio nella vita loro sono stati legati. Quanto maggiore e più stretta dunque è la congiunzione del marito con la moglie, tanto più dee ciascun procurar di far convenevole matrimonio. E la convenevolezza del matrimonio in due cose principalmente si considera, nella condizione e nell’età, percioché, sì come due destrieri o duo buoi di grandezza molto diseguali non possono esser ben congiunti sotto un giogo stesso, così donna d’alto affare con uomo di picciola condizione o per lo Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 16
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