D’Anna Thèsis Zanichelli
Torquato Tasso Il padre di famiglia Q
contrario uomo gentile con donna ignobile non ben si posson sotto il giogo del matrimonio accompagnare. Ma quando pure avenga che per qualch’accidente di fortuna l’uomo tolga donna superiore per nobiltà in moglie, dee, non dimenticandosi però d’esser marito, più onorarla che non farebbe una donna d’eguale o di minor condizione, e averla per compagna nell’amore e nella vita, ma per superiore in alcuni atti di publica apparenza, i quali da niuna esistenza sono accompagnati: quali sono quegli onori che per buona creanza si soglion fare altrui; ed ella dee pensare che niuna differenza di nobiltà può esser sì grande che maggior non sia quella che la natura ha posta fra gli uomini e le donne, per le quali naturalmente nascono lor soggette. Ma se l’uomo torrà in moglie donna di condizione inferiore, considerar dee ch’il matrimonio è aguagliator di molte disaguaglianze e ch’egli tolta l’ha non per serva ma per compagna della vita: e tanto sia detto intorno alle condizioni del marito e della moglie.
Or passando all’età, dico ch’il marito dee procurar d’averla anzi giovinetta ch’attempata, non solo perch’in quell’età giovenile la donna è più atta a generare, ma anco perché secondo il testimonio d’Esiodo può meglio ricever e ritener tutte le forme de’ costumi ch’al marito piacerà d’im-primerle. E perciò che la vita della donna è circonscritta ordinariamente entro più breve spazio che non è la vita dell’uomo, e più tosto invecchia la donna che l’uomo, come quella in cui il calor naturale non è proporzionato alla soverchia umidità, dovrebbe sempre l’uomo esceder la donna di tant’anni che ‘l principio della vecchiaia dell’uno con quel dell’altro non venisse insieme ad accozzarsi e che non prima l’uno che l’altro divenisse inabile alla generazione.
Or, s’averrà che ‘l marito con le condizioni già dette tolga la moglie, molto più agevolmente potrà in lei essercitar quella superiorità che dalla natura all’uomo è stata concessa, senza la quale alle volte aviene ch’egli così ritrosa e inobediente la ritrovi ch’ove credeva d’aver tolta compagna che l’aiutasse a far più leggiero quel che di grave porta seco la nostra umanità, si trova d’essersi avenuto ad una perpetua nemica, la qual non altramente sempre a lui ripugna di quel che faccia negli animi nostri la cupidità smoderata alla ragione; percioché tale è la donna in rispetto dell’uomo, quale è la cupidità in rispetto dell’intelletto. E sì come la cupidità, ch’è per sé irragionevole, prestando ubbedienza all’intelletto, s’informa di molte belle e leggiadre virtù, così la donna ch’all’uomo ubbedisca, di quelle virtù s’adorna delle quali, s’ella ribella si dimostrasse, non sarebbe adornata.
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Virtù dunque della donna è il sapere ubbedire all’uomo non in quel modo che ‘l servo al signore e ‘l corpo all’animo ubbedisce, ma civilmente in quel modo che nelle città ben ordinate i cittadini ubbediscono alle leggi e a’ magistrati, o nell’anima nostra, nella quale, così ordinate le potenze come nelle città gli ordini de’ cittadini, la parte affettuosa suole alla ragionevole ubbedire: e in ciò convenevolmente dalla natura è stato adoperato, perciò che, dovendo nella compagnia ch’è fra l’uomo e la donna esser diversi gli uffici e l’operazioni dell’uno da quelli dell’altro, diverse convenivano che fosser le virtù. Virtù propria dell’uomo è la prudenza e la fortezza e la liberalità, della donna la modestia e la pudicizia; con le quali l’uno e l’altro molto ben può far quell’operazioni che son convenienti. Ma benché la pudicizia non sia virtù propria dell’uomo, dee il buon marito offender men che può le leggi maritali, né esser sì incontinente che lontano dalla moglie non possa astenersi da’ piaceri della carne; perciò che, se non violerà egli le leggi maritali, molto confermerà la castità della donna, la qual, per natura libidinosa e inclinata a’ piaceri di Venere non men dell’uomo, solo da vergogna e da amore e da timore suole esser ritenuta a non romper fede al marito: fra’ quali tre affetti anzi di lode che di biasmo è degno il timore, ove gli altri due son lodevolissimi molto. E perciò con molta ragione da Aristotele fu detto che la vergogna, che nell’uomo non merita lode, è laudevol nella donna; e con molta ragion disse la figliuola sua che niun più bel colore orna le guance della donna di quel che da vergogna vi suole esser dipinto: il qual tanto alle donne accresce di vaghezza, quanto lor peraventura ne tolgono que’ colori artificiali de’ quali, quasi maschere o scene, si soglion colorare.
E certo che, sì come giudiciosa donna a niun modo dovrebbe le bellezze naturali con gli artificiali imbellettamenti guastare e ricoprire, così il marito non dovrebbe consentirlo; ma perché l’imperio del marito conviene che sia moderato, in quelle cose massimamente ch’alle donne come cura feminile appertengono, le quali, perché dall’usanza son ricevute, in alcun modo d’impudicizia non possono esser argomento, con niun’altra maniera potrà meglio il marito far che non s’imbelletti che co ‘l mostrarsi schivo de’ belletti e de’ lisci: percioch’essendo tutte le donne vaghe di parer belle e di piacere altrui, e l’oneste donne particolarmente di piacere al marito desiderose, qualora l’onesta moglie s’accorgerà di non piacer così lisciata agli occhi del marito, dal lisciarsi si rimarrà. Molto più facile nondimeno dee essere il marito in concederle ch’ella degli ornamenti e delle vaghezze conveniente a sua pari sia Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 18
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a bastanza fornita, perché, se ben la soverchia pompa par cosa più conveniente a’ teatri e alla scena ch’alla persona d’onesta matrona, nondimeno molto si dee in questa parte attribuire all’usanza, né si dee così acerbamente offender l’animo feminile, che per natura è vago d’ornare il corpo.
E se ben vediamo che la natura negli animali ha voluto che più ador-ni siano i corpi de’ maschi che delle femine, come quella c’ha adornati i cervi di belle e ramose corna e i leoni di superbe come, le quali alle lor femine ha negate, e ha adornata la coda del pavone di molta più vaga varietà di colori che quella delle sue femine, nondimeno vediamo che nella specie dell’uomo ella ha avuto maggior riguardo alla bellezza della femina ch’a quella del maschio, perciò che le carni della donna, sì come son più molli così per l’ordinario sono ancora più vaghe da riguardare, né hanno il volto ingombrato dalla barba, la qual se ben non si disdice nell’uomo, essendo propria di lui, tuttavolta non si può negare ch’i volti de’ giovinetti a’ quali non è ancor venuta la barba, non sian più belli di quelli degli uomini bar-buti; e Amore non barbuto, ma senza barba dalla giudiziosa antichità è stato figurato, e Bacco e Apolline, che fra tutti gli dei furono bellissimi, senza barba furono dipinti, ma con lunghissime chiome: onde i poeti chia-mano Febo con aggiunto quasi perpetuo “non tosato” o “comato”. Ma le chiome, le quali sono grandissimo ornamento della natura, non crescono mai negli uomini tanto, né sono così molli e sottili come nelle donne, le quali così delle lor chiome si rallegrano come gli alberi delle lor fronde, e ragionevolmente nelle morti de’ mariti, quando di tutti gli altri ornamenti sogliono spogliarsi, usano anco in alcune parti d’italia di troncarsi le chiome: la qual usanza fu usanza degli antichi eziandio, come d’Elena si legge appresso Euripide.
Quanto più dunque la natura ha avuto risguardo alla bellezza delle donne, tanto più è convenevole ch’esse l’abbiano in pregio e che con giudi-ziosi ornamenti procurino d’accrescerla: onde, se tu prenderai moglie, quale io desidero che tu la prenda, bella e giovinetta e di condizione eguale alla tua e d’ingegno modesto e mansueto, da buona e pudica madre sotto buona disciplina allevata, quanto ella a te piacerà, tanto dèi tu procurare non sol di piacere a lei, ma di compiacerla. Di che né di vestimenti né degli altri ornamenti men ornata dèi consentir che vada di quel che vadano l’altre sue pari e di quel che porti l’uso della nostra città; né sì ristretta tener la dèi ch’ella non possa talora andare alle feste e agli spettacoli publici, ove nobile Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 19
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e onesta brigata di donne suol ragunarsi, né d’altra parte tanto allentarle il freno della licenza ch’ella in tutte le danze, in tutte le comedie, in tutte le solennità sia fra le prime vedute e vagheggiate. Ma dovrai ad alcune sue oneste voglie, le quali la gioventù così suol seco apportare come la primavera reca i fiori e l’altre vaghezze, non far così severo disdetto ch’ella t’odii o ti tema con quel timore co ‘l quale i padroni da’ servi son temuti; né anco esser così facile a secondarle ch’ella baldanzosa ne divenga e deponga quella vergogna che nelle oneste donne tanto è conveniente, la quale è una specie di timore distinta dal timor servile, che con l’amor così facilmente s’accompagna come il timor servile con l’odio: e di questo timore, che propiamente è vergogna, e della riverenza intese Omero, quando disse: O da me ognor temuto e paventato
Suocero caro.
E non solo dovrà egli procurar di conservare in lei la vergogna in tutti gli atti e in tutte l’operazioni della vita, ma negli abbracciamenti eziandio, perché non viene a gli abbracciamenti il marito in quel modo stesso che viene l’amante: onde non è maraviglia s’a Catelda parvero più saporiti i baci dell’amante che quei del marito fossero paruti, bench’io crederei più tosto che niuna dolcezza maggiore fosse in amore di quella che dall’onestà del matrimonio è moderata, e assomigliarei gli abbracciamenti del marito e della moglie alle cene degli uomini temperanti, i quali non men gustano delle vivande di quel che gli incontinenti soglian gustarne, anzi peraventura tanto più quanto il senso moderato dalla ragione è più dritto giudice degli oggetti. Né voglio in questo proposito tacere che, quando Omero finge che Giunone, togliendo il cinto di Venere, va a ritrovare il marito su ‘l monte Ida e, allettatolo nel suo amore, con lui si corca nell’erba, ricoperta da una nuvola maravigliosa, altro non significa se non ch’ella, vestitasi la persona d’amante e spogliatasi quella di moglie, va a ritrovar Giove; perché le lusin-ghe e i vezzi e i molli susurri ch’ella da Venere aveva presi insieme co ‘l cinto, sono cosa anzi d’amante che da moglie: onde convenevol fu che, vergognandosi ella di se medesima, le fosse concessa una nuvola che la ricoprisse. Ben è vero che, dicendogli Giove che non aveva avuto egual desiderio di lei da quel dì che prima la prese per moglie, par che ci dia a divedere ch’a gli sposi di sostener per alcun breve tempo la persona d’amante non si disdica; la qual nondimeno molto tosto si dee deporre, percioch’è inconvenientissima a coloro che come padre o madre di famiglia voglion Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 20
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con onestà e con amor maritale regger la casa. Né altro mi soviene che dire del vicendevole amore che dee esser tra ‘l marito e la moglie e delle leggi del matrimonio; perciò che il considerare se ‘l marito dee uccider la moglie impudica o ‘n altro modo secondo le leggi punirla, è considerazione che peraventura può più opportunamente in altro proposito esser avu-ta.
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