E se tu tale la prenderai qual figurata l’abbiamo, non dèi temer che mai ti venga occasione per la quale d’esser da me stato intorno a ciò con-sigliato debba desiderare.

Or passando a’ figliuoli, dee la cura loro così tra il padre e la madre esser compartita ch’alla madre tocchi il nutrirli e al padre l’ammaestrarli: ché non dee la madre, se da infermità non è impedita, negare il latte a’ propi figliuoli, conciò sia cosa che quella prima età, tenera e molle e atta ad infor-marsi di tutte le forme, agevolmente suol ber co ‘l latte alcuna volta i costumi delle nutrici; e s’il nutrimento non potesse molto alterare i corpi e in conseguenza i costumi de’ bambini, non sarebbe alle nutrici interdetto l’uso soverchio del vino; ma essendo le nutrici per l’ordinario vili feminelle, è convenevole che quel primo nudrimento che da lor prendono i bambini non sia così gentile e delicato come quel delle madri sarebbe. Oltreché chi niega il nutrimento par ch’in un certo modo nieghi d’esser madre, percioché la madre si conosce principalmente per lo nutrimento. Ma passata quella prima età che di latte è nudrita e che di cibi più sodi può esser pasciuta, rimangono anco i bambini sotto la custodia delle madri, le quali sogliono esser così tenere de’ figliuoli ch’agevolmente potrebbono in soverchia dilicatura allevarli; onde conviene ch’il padre proveda ch’essi non siano troppo mollemente nudriti: e percioché quella prima età abonda di calor naturale, non è inconveniente l’assuefarli a sopportare il freddo, conciosiacosa che, tanto più restringendosi dentro il caldo naturale e facendo quella ch’antiparistasi è detta da’ filosofi, la complession de’ fanciulli ne diventa gagliarda e robusta. Ed era costume d’alcune antiche nazioni, e de’ Celti particolarmente, come leggiamo appresso Aristotele, di lavare i bambini nel fiume per indurarli contra il freddo: la qual usanza è da Virgilio attribuita a’

Latini, come si legge in que’ versi:

Durum a stirpe genus, natos ad flumina primum Deferimus saevoque gelu duramus et undis: Venatu invigilant pueri silvasque fatigant Flectere ludus equos et spicula tendere cornu.

Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 21

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E bench’io quel costume non vitupero, mi pare nondimeno d’am-monirti che, se piacerà al cielo di darti figliuoli, tu non debba educarli sotto sì molle disciplina che riescan simili a que’ Frigi, de’ quali dal medesimo poeta si fa menzione:

Vobis picta croco et fulgenti murice vestis, Et tunicae manicas et habent redimicula mitrae.

O vere Phrigiae (neque <enim> Phriges), ite per alta Dindima, ubi assuetis biforem dat tibia cantum.

Tympana vos buxusque vocat Berecyntia matris Ideae: sinite arma viris et cedite ferro; simili a’ quali mi pare ch’oggi siano quelli d’alcuna città di Lombardia, percioché, s’alcuno n’esce valoroso, molti ancora tra’ Frigi erano valorosi.

Ma non vorrei anco che sì severamente gli allevassi come i Lacedemoni erano allevati o pur come Achille da Chirone fu nudrito: non vorrei, dico, che sì fattamente gli allevassi, perché quella educazione rende gli uomini fieri, come de’ Lacedemoni fu giudicato; e quando ella pur fusse conveniente a gli eroi, benché tale non fu Achille ne’ costumi ch’alcun eroe se ‘l debba proporre per essempio, la tua privata condizione ricerca che tu pensi d’allevare in modo i tuoi figliuoli ch’essi possan riuscir buon cittadini della tua città e buon servitori del tuo principe, il quale de’ soggetti ne’ negozî, nelle lettere e nella guerra è usato di servirsi: alle quali professioni tutte i tuoi figliuoli riesceranno non inabili, se tu cercherai che divengano di complessione non atletica né feminile, ma virile e robusta, e che s’essercitino negli essercizî del corpo e dello intelletto parimente. Ma percioché tutta questa parte dell’educazion de’ figliuoli è cura in guisa del padre di famiglia ch’ella insieme è del politico, il quale dovrebbe prescrivere a’ padri il modo co ‘l quale dovessero i figliuoli allevare accioché la disciplina della città riuscisse uniforme, voglio questo ragionamento lasciar da parte o almeno da quel della cura famigliare separarlo: e mi basterà solo di consigliarti che tu gli allevi nel timor d’Iddio e nella ubbedienza paterna, egualmente nell’arti lodevoli dell’animo e del corpo essercitati.

Abbiam già parlato, quanto è stato convenevole, di quel che tu dovrai far come marito e come padre: or rimane che vegnamo alla considerazione della terza persona, a quella di padrone, dico, o di signore che vogliam chiamarla, il quale al servo è relativo. E se noi vogliam prestar fede a gli Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 22

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antichi che del governo famigliare hanno scritto, con l’opera, co ‘l cibo e co

‘l castigo il signore dee tener sodisfatti ed essercitati i servitori in ubbedienza; ma perciò ch’anticamente i servi erano schiavi presi nella guerra, i quali furono detti servi a servando perché da morte erano conservati, e oggi sono per lo più uomini liberi, mi pare che tutta questa parte del castigo si debba lasciare a dietro come poco convenevole a’ nostri tempi e alle nostre usanze, se non forse in quelle sole parti ove degli schiavi si servono, e in vece del castigo debba dal padrone essere usata l’ammonizione, la qual tal non dee essere qual dal padre co ‘l figliuolo è usata, ma piena di maggiore austerità e di più severo imperio: e se questa anco non gioverà, dee il padrone dar licenza al servitore inobbediente e inutile e provedersi d’altro che maggiormente gli sodisfaccia.

Una cosa anco dagli antichi è stata lasciata a dietro, la qual con gli schiavi non era convenevole, ma co’ liberi uomini è non sol convenevole ma necessaria: e questa è la mercede; con la mercede dunque, co ‘l cibo, con l’opera e con l’ammonizione il padre di famiglia governerà in modo ch’essi resteranno contenti di lui ed egli dell’opera loro rimarrà sodisfatto.

Ma percioché, se ben le leggi e l’usanze degli uomini sono variabili, come vediamo in questo particolar de’ servi, i quali oggi son per lo più uomini di libertà, le leggi nondimeno e le differenze della natura non si mutano per varietà di tempi e d’usanze, tu hai da sapere che questa differenza di servo e di signore è fondata sovra la natura, percioch’alcuni ci nascono naturalmente a commandare, altri ad ubbedire; e colui che per ubbedire è nato, se ben fosse di schiatta di re, veramente è servo, nondimeno tale non è giudicato percioch’il popolo, che guarda solamente alle cose esteriori, giudica delle condizioni degli uomini non altramente ch’egli faccia nelle tragedie, nelle quali re è chiamato chi, vestito di porpora e risplendente d’oro e di gemme, sostiene la persona d’Agamennone o d’Atreo o d’Eteocle: e s’aviene ch’egli non ben rappresenti la persona della quale s’è vestita, non perciò altro che re è chiamato, ma si dirà ch’il re non bene ha fatta la sua parte.

Similmente chi non ben sostiene la persona di principe o di gentiluomo ch’in questa vita, ch’è quasi teatro del mondo, dalla fortuna l’è stata impo-sta, non sarà però dagli uomini chiamato se non principe o gentiluomo, tuttoch’a Davo o a Siro o a Geta sia somigliante. Ma quando aviene che si ritrovi alcuno non sol di condizione e di fortuna ma d’ingegno e d’animo servile, costui è propissimamente servo, e di lui e de’ simili a lui il buon Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 23

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padre di famiglia, che vuol per servitori persone alle quali egli ragionevolmente possa commandare, compone la sua famiglia, né desidera in loro se non tanto di virtù solamente quanto gli renda capaci ad intendere i suoi commandamenti e a esseguirli; i quali da’ cavalli e dall’altre bestie che la natura ha formate docili e atte ad essere ammaestrate dall’uomo, in tanto son differenti, che, lontani ancora dalla presenza del padrone, ritengono a memoria le cose a lor commandate e possono esseguirle: il che delle bestie non aviene. E1 dunque il servo animal ragionevole per participazione in quel modo che la luna e le stelle per participazion del sole son luminose, o che l’appetito per participazione del lume dell’intelletto ragionevole diventa; percioché, sì come l’appetito ritiene in sé le forme delle virtù che dalla ragione in lui sono state impresse, così il servo ritiene le forme delle virtù impressegli nell’animo dagli ammaestramenti del padrone: e si può di loro e de’ padroni dire alcuna fiata quel che, di sé e di madonna Laura ragionando, disse il Petrarca:

… Sì che son fatto uom ligio

Di lei, ch’alto vestigio

M’impresse al core e fece ‘l suo simile.

E perché non t’inganni l’auttorità d’Esiodo, antichissimo poeta, il quale, annoverando le parti della casa, pose il bue in vece del servo, voglio che tu intenda più propriamente che ‘l modo co ‘l quale sono ammaestrati i servi da quel co ‘l quale sono ammaestrate le bestie è molto differente, conciosia cosa che la docilità delle bestie non è disciplina e non è altro ch’una assuefazione scompagnata da ragione, simile a quella con la qual la man destra adopra meglio la spada che la sinistra, benché non più di ragione abbia in sé che la sinistra. Ma la docilità de’ servi è con ragione, e può divenir disciplina come quella de’ fanciulli eziandio: onde irragionevolmente parlano coloro che spo-gliano i servi dell’uso della ragione, conciosia cosa che lor si conviene non meno ch’a’ fanciulli, anzi più peraventura, e in loro è ricercato tanto di tem-peranza e di fortezza quanto lor basti per non abbandonare l’opere commandate da’ padroni o per ubbriachezza o per altro piacere, o pure i padroni medesimi ne’ pericoli delle brighe civili e negli altri che possono avenire. E però convenevolmente fu detto dal poeta toscano: Ch’innanzi a buon signor fa servo forte.

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E convenevolmente i servi di Milone da Cicerone nella sua difesa furon lodati, e tutti quegli altri de’ quali si leggono in Valerio Massimo alcuni memorabili essempi; benché, s’io volessi addurre tutti gli essempi memorabili de’ servi, mi dimenticherei di quel che pur ora dissi, che servi propriamente son coloro che son nati per ubbidire, i quali agli uffici della cittadi-nanza sono inabili per difetto di virtù, della quale tanto hanno, e non più, quanto gli rende atti ad ubbedire. E se tu hai letto nell’istorie ch’i Romani ebbero una guerra pericolosa assai, la quale addimandaro guerra servile perché da servi fu concitata, e se parimente hai letto ch’a’ nostri tempi gli esserciti de’ Soldani eran formati di schiavi e oggi per lo più quell’osti for-midabili ch’il gran Turco suol ragunare di schiavi son formate, riduci alla memoria la nostra distinzione, la qual da te ogni dubbio discaccerà: e questa è che molti son servi per fortuna, che tali non son per natura, e da questi alcuna maraviglia non è ch’alcuna pericolosa guerra sia concitata.