Tuttavolta grand’argomento della viltà che la fortuna servile suol negli animi generare, è l’essempio degli Sciti, i quali, avendo assemblata un’oste contra i servi loro che s’eran ribellati, non potendo altramente debellarli, presero per consiglio di portare in guerra le sferze, le quali rinovellando ne’ servi la memoria delle battiture che sotto il giogo della servitù avevan ricevute, gli posero in fuga.
Ma ritornando a’ servi de’ quali dee esser composta la famiglia, questi non loderei che fossero né d’animo né di corpo atti alla guerra, ma sì bene di complession robusta, atta alle fatiche e a gli essercizî nella casa e nella villa necessarî. Questi in due specie distinguerei, l’una all’altra sottordinata: l’una di soprastanti o di sopraintendenti, o di mastri che vogliam chiamarla; l’altra d’operarî. Nella prima sarà il mastro di casa, a cui dal padrone la cura di tutta la casa è raccomandata, e quel che della stalla ha particolar cura, come nelle case grandi suole avenire, e il fattore, c’ha la sopraintendenza sovra le cose di villa tutte; nell’altra saranno coloro ch’a’ primi ubbediscono.
Ma percioché la nostra fortuna non ha a noi data tanta facoltà che tu possa così distinti e così moltiplicati aver gli uffici della famiglia, basterà che d’uomo ti provegga il quale di mastro di casa e di stalla e di fattore faccia l’ufficio: e commanderai a gli altri tutti ch’a lui ubbediscono, dando il sala-rio a ciascuno maggiore e minore secondo il merito e la fatica loro, e ordi-nando che ‘l cibo sia lor dato sì che più tosto soverchi che manchi. Ma dèi nondimeno nutrir la famiglia di cibi differenti da quelli che verranno su la tua mensa, su la quale non ti sdegnare che vengano ancora le carni più Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 25
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grosse che secondo le stagioni saran comprate per li servitori, acciò ch’essi, vedendo che tu ti degni di gustarne talora, le mangino più volentieri. Fra’
quali quelle reliquie delle carni e delle vivande più nobili che dalla tua mensa saran levate, debbon esser compartite in modo che s’abbia riguardo alla condizione e al merito di ciascuno.
Ma perché la famiglia ben nutrita e ben pagata nell’ozio diverrebbe pestilente e produrrebbe malvagi pensieri e triste operazioni in quel modo che gli stagni e l’acque che non si muovon soglion marcire e generar pesci poco sani, sarà tua cura principale, e anco del tuo mastro di casa, di tener ciascuno essercitato nel suo ufficio e tutti in quelli che sono indivisi, percioché non ogni cosa nella casa necessaria può esser fatta da una persona ch’abbia una cura particolare. Onde, quando lo spenditore avrà compro da mangiare e ‘l cameriero avrà fatto il letto e nettate le vesti e ‘l famiglio di stalla stregghiati i cavalli e ciascun altro avrà fatto quello che di fare è tenu-to, dee il sollecito mastro di casa imporre or a l’uno, or a l’altro alcuna di quelle opere che sono indivise, e sovra tutto aver dee cura che niuna brut-tura si veda nella casa o nel cortile o nelle tavole o nelle casse, ma che le mura, il pavimento, il solaro e tutti gli arnesi e instrumenti della casa sian politi e, per così dire, risplendano a guisa di specchi: perché la politezza non solo è piacevole a risguardare, ma giunge anco nobiltà e dignità alle cose vili e sordide per natura, sì com’all’incontra la lordura le toglie alle nobili e alle degne; oltre ch’altrettanto giova alla sanità la politezza quanto nuoce la sordidezza. E ciascun servitore dee così particolarmente aver cura che gli instrumenti i quali egli adopera nel suo ufficio sian politi, come il soldato l’ha della politezza de l’arme: ché tali sono a ciascuno gli instrumenti ch’egli adopera, quali sono l’arme al soldato; onde, de gli instrumenti del zappatore parlando, il Petrarca disse:
L’avaro zappator l’arme riprende,
ad imitazion di Vergilio, il quale prima aveva chiamate armi quegli instrumenti ch’adoperano i contadini:
Dicendum et quae sint duris agrestibus arma, e arme eziandio gli instrumenti da fare il pane: Tum Cerere corruptam undis cerealiaque arma Expediunt fessi rerum.
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Ma percioch’alle volte aviene ch’alcun sia di soverchio occupato nel suo ufficio e alcun altro avanzi sempre molto più del giorno che dell’opera, dee così l’uno l’altro conservo aiutare come veggiamo che nel corpo, quando l’una gamba è stanca, su l’altra si suol riposare, e come l’una mano affaticata chiama l’altra per aiutatrice delle sue operazioni. E quando amore e cortesia vicendevole a ciò fare non gli inviti, dee il mastro di casa o ‘l padrone stesso commandare al neghitoso e allo scioperato ch’al faticoso e affacendato porga aiuto. Ma sovratutto la carità del padrone e de’ conservi nelle infermità dee dimostrarsi, nelle quali gli infermi in letti più morbidi e agiati debbono esser posti a giacere e di più dilicate vivande esser nutricati; né ‘l padrone dee della sua visita esser loro superbo o discortese, perché, se gli animali bruti si rallegrano delle carezze de’ padroni, come veggiamo ne’
cani, quanto più creder debbiamo che se ne rallegrino gli uomini, animali ragionevoli: onde i buoni servitori, diventando affezionati a’ padroni, non altramente intendono i padroni a cenno e ubbediscono ad un picciol movimento del ciglio o della fronte loro di quel che que’ cani soglion fare, che barboni sono addomandati. Anzi più tosto non come il cane al padrone, ma come la destra si muove ad ubbedire a’ commandamenti dell’animo, il servo ad ubbedire a’ commandamenti del padrone si mostra pronto; conciò sia cosa che, sì come la mano è detta instrumento degli instrumenti, essendo quella che s’adopera in nutrire, in vestire, in pulire tutte l’altre membra, ch’instrumenti pur son detti, così il servo è addomandato instrumento degli instrumenti, percioch’egli adopera tutti gli instrumenti che nella casa sono stati ritrovati affine non sol di vivere, ma di ben vivere: differente dagli altri instrumenti, perch’ove gli altri sono inanimati, il servo è animato. E1 differente dalla mano, perché la mano è congiunta al corpo, ed egli è separato dal signore; è differente ancora dagli artefici, perché gli artefici sono instrumenti di quelle che propriamente si dicon fattura, e ‘l servo è instrumento dell’azione, la qual dalla fattura è distinta.
E1 dunque il servo, se tu vuoi aver di lui perfetta cognizione, instrumento dell’azioni, animato e separato. Ma perché dell’azioni alcune si fermano nella cura famigliare e ne’ bisogni della casa, alcune escono fuori e si distendono a’ negozî civili, tengon talvolta gli agiati gentiluomini, fra’
quali desidero che tu sii, alcun giovane che nelle opportunità cittadinesche possa servirli, a’ quali dando l’ufficio di scrivere e di trattare alcune lor bisogne, sogliono anco dare il nome di cancelliero: ma questi dagli altri Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 27
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sono molto diversi, conciosia cosa che per lo più sono e debbono essere d’ingegno non punto servile o materiale e atto alle azioni e alle contemplazioni, e tra loro e i padroni non è propriamente servitù o signo-ria, ma più tosto quella sorte d’amicizia che da Aristotele è detta in eccelenza; se ben ne’ buoni secoli della romana republica questi ancora erano tolti dal numero degli altri servi. E tale fu Terenzio, scrittore delle comedie, il quale di Lelio e di Scipione fu così famigliare che fu creduto ch’essi nell’opere sue avessero alcuna parte; tale anco fu Tirone, al quale sono scritte molte lettere di Marco Tullio: il quale, eruditissimo grammatico, era diligente osservato-re d’alcune cosette delle quali Cicerone fu più tosto sprezzatore ch’ignoran-te. Ma percioché tutta quella usanza di servitù, come detto abbiamo, è affatto mancata, oggi tra’ padroni e questi sì fatti le leggi dell’amicizia in superiorità debbon essere osservate; e sovra questi particolarmente fu scritto dal signor Giovanni della Casa quel trattato degli uffici minori il qual da te, che molto sei vago di legger l’opere sue, so che molte fiate dee esser letto e riletto: sì ch’altro di loro non dirò di quello ch’ivi n’è scritto. Ma perché della cura della persona a bastanza s’è ragionato, se non forse quanto tu potessi desiderare che così delle fantesche si parlasse come de’ servitori s’è favellato, e perché niuna cosa è stata da me lasciata a dietro, ch’a buon marito o a buon padre o a buon signore appertenga, mi pare che debbiamo venire a quella che fu da noi posta per seconda parte del nostro ragionamento: alla cura, dico, della facoltà, nella quale dell’ufficio della madre di famiglia e delle donne con buon proposito faremo menzione.
La cura delle facoltà, come dicemmo, s’impiega nella conservazione e nell’accrescimento ed è divisa tra ‘l padre e la madre di famiglia, percioché par così proprio del padre di famiglia l’accrescere come della madre il conservare; nondimeno a chi minutamente considera, la cura dell’accrescimento è propria del padre di famiglia e l’altra è commune, che che gli antichi in questo proposito s’abbiano detto. Ma perché niuna cosa può essere accre-sciuta se prima o ‘nsieme non è conservata, dee il padre di famiglia, che la sua facoltà desidera di conservare, saper minutamente la quantità e la qualità dell’entrate sue e anco delle spese ch’egli per sostener onorevolmente la sua famiglia è costretto di fare, e, agguagliando le ragioni delle rendite con quella delle spese, fare in modo che sempre la spesa sia minore e abbia quella proporzion con l’entrata c’ha il quattro con l’otto o almeno co ‘l sei: percioché, s’egli tanto volesse spendere quanto raccoglie dalle sue possessioni, Op. Grande biblioteca della letteratura italiana 28
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non potrebbe poi ristorare i danni che sogliono avenire per caso o per fortuna, se pur avenissero, quali sono gli incendî e le tempeste e l’innondazioni, né supplire a’ bisogni d’alcune spese che non possono esser provedute.
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