Ma non poterono percepire altro rumore che l’interminabile e
inesplicabile frrr, che sembrava avvolgerli in un’atmosfera fremente.
Tuttavia si raggiunse
questo risultato: Phil Evans, procedendo con calma, riuscì ad allentare la
corda che gli stringeva i polsi. Poi, a poco a poco, il nodo si allargò, le
dita vi passarono una dopo l’altra, le mani ripresero la loro abituale
mobilità.
Un vigoroso
stropicciamento ristabilì la circolazione, arrestata dai lacci. Un istante
dopo, Phil Evans aveva tolta la benda che gli copriva gli occhi, strappato il
bavaglio dalla bocca e tagliato le corde con la fine lama del suo bowie-knife.
Un americano che non porti sempre in tasca il suo bowie-knife non sarebbe più
un americano.
Così Phil Evans ottenne
solo di poter muoversi e parlare, ma niente altro. I suoi occhi non poterono
esercitarsi utilmente, almeno in quel momento. Oscurità completa nella cella.
Appena un filo di luce filtrava da una specie di feritoia, aperta nella parete
a sei o sette piedi di altezza.
Come ci si può
immaginare, malgrado i dissapori, Phil Evans non tardò un istante a liberare il
suo rivale. Alcuni colpi di bowie-knife bastarono a tagliare i nodi che gli
stringevano mani e piedi. Uncle Prudent, mezzo idrofobo, si raddrizzò sulle
ginocchia, strappò benda e bavaglio, e con voce strozzata:
— Grazie! — disse.
— Nessun ringraziamento,
— rispose l’altro.
— Phil Evans?
— Uncle Prudent?…
— Qui, non più
presidente o segretario del Weldon-Institute; non più avversari.
— Avete ragione —
rispose Phil Evans. — Ci sono solo due uomini che devono vendicarsi di un
terzo, il cui attentato esige un esemplare castigo. E questo terzo…
— È Robur!…
— È Robur!
Ecco un punto su cui i
due ex rivali furono completamente d’accordo. A tale proposito, non c’era da
temere alcuna disputa.
— E il vostro domestico?
— osservò Phil Evans, mostrando Frycollin, che soffiava come una foca; —
bisogna scioglierlo.
— Non ancora, — rispose
Uncle Prudent. — Ci seccherebbe con le sue geremiadi, e noi abbiamo ben altro
da fare.
— Che cosa dunque, Uncle
Prudent?
— Salvarci, se è
possibile.
— Ed anche se è
impossibile.
— Avete ragione, Phil
Evans, anche se è impossibile.
Non passò nemmeno il
dubbio per la mente del presidente e del suo collega che questo rapimento non
fosse da attribuire al misterioso Robur. Infatti, dei semplici ed onesti ladri,
dopo averli spogliati di orologi, gioielli, portafogli, portamonete, li
avrebbero gettati in fondo al fiume Schuylkill, con una brava coltellata nella
gola, ma non avrebbero pensato a chiuderli nel fondo di… di che? Grave
problema, certamente, che conveniva risolvere, prima di iniziare i preparativi
di una evasione con qualche probabilità di successo.
— Phil Evans, — riprese
Uncle Prudent, — appena usciti da quella seduta, invece di scambiarci delle
amenità su cui non è il caso di ritornare, avremmo fatto meglio ad essere meno
distratti. Se fossimo rimasti nelle vie di Filadelfia, nulla di tutto questo ci
sarebbe accaduto. Evidentemente Robur aveva immaginato ciò che sarebbe accaduto
nel club; prevedeva le collere che il suo atteggiamento provocante doveva
produrre e aveva collocato alla porta alcuni dei suoi banditi per dargli man
forte. Quando abbiamo lasciato Walnut-Street, quegli sbirri ci hanno spiato,
seguito e, quando ci hanno visti addentrarci imprudentemente nei viali del
Fairmont-Park, hanno avuto partita vinta.
— D’accordo, — rispose
Phil Evans. — Sì! abbiamo avuto un gran torto di non ritornare direttamente a
casa.
— Si ha sempre torto di
non aver avuto ragione, — rispose Uncle Prudent.
In quel momento un lungo
sospiro sfuggì dall’angolo più oscuro della cella.
— Cosa c’è? — chiese
Phil Evans.
— Nulla!… Frycollin che
sogna. E Uncle Prudent riprese:
— Dal momento in cui
fummo presi a pochi passi dalla radura, a quello in cui ci gettarono in questo
buco, non trascorsero più di due minuti. È dunque provato che questi malviventi
non ci hanno trasportato oltre il Fairmont-Park…
— E se lo avessero
fatto, noi ci saremmo accorti di un movimento di traslazione.
— È vero, — rispose
Uncle Prudent. — Dunque non c’è da temere che siamo chiusi nel compartimento di
un veicolo, forse uno di quei lunghi carri da praterie, o qualche carrozzone da
saltimbanco…
— Evidentemente! Se
fosse un battello ormeggiato alla riva dello Schuylkill, ciò si capirebbe da
particolari oscillazioni che la corrente imprimerebbe da un bordo all’altro.
— D’accordo, sempre d’accordo,
— rispose Uncle Prudent, — ed io penso che, poiché noi siamo ancora nella
radura, questo, o mai più, è il momento di fuggire, pronti a ritrovare più
tardi questo Robur…
— E fargli pagare caro
questo attentato alla libertà di due cittadini degli Stati Uniti d’America!
— Caro… assai caro!
— Ma chi è quest’uomo?…
Da dove viene?… È un inglese, un tedesco, un francese?…
— È un miserabile, e
basta, — rispose Uncle Prudent. — Ed ora all’opera!
Le mani tese, le dita
aperte, entrambi tastarono le pareti della cella, per trovarvi una giuntura o
una fessura. Nulla. Nulla nemmeno alla porta. Essa era ermeticamente chiusa, e
sarebbe stato impossibile farne saltare la serratura. Bisognava dunque aprire
un foro, e fuggire da esso. Rimaneva l’interrogativo se i bowie-knife avrebbero
potuto intaccare la parete, se le loro lame non si sarebbero smussate o
spezzate in questo lavoro.
— Ma da dove proviene
questo fremito che non cessa un istante? — chiese Phil Evans, alquanto sorpreso
da quel frrrr continuo.
— Il vento sicuramente —
rispose Uncle Prudent.
— Il vento?… Sino a
mezzanotte, mi pare che la serata sia stata assolutamente calma…
— È vero, Phil Evans. Ma
se non è il vento, che cosa volete che sia? Phil Evans, estratta la miglior
lama del suo coltello, tentò di scalfire la parete accanto alla porta. Forse
bastava praticare un foro, per aprirla dal di fuori se essa era chiusa da un
paletto, o se la chiave era nella serratura. Pochi minuti di lavoro ebbero il
solo risultato di intaccare le lame del bowie-knife, di spuntarle, di
trasformarle in seghe a mille denti.
— Non attacca, Phil
Evans?
— No.
— Ma che la parete sia
metallica?
— No, Uncle Prudent.
Quando si batte contro queste pareti, esse non danno alcun suono metallico.
— Che sia legno di
ferro?
— No, né ferro né legno.
— E allora?
— Impossibile dirlo; ma
ad ogni modo è una materia che l’acciaio non può intaccare.
Uncle Prudent, preso da
un violento accesso di collera, imprecò, batté col piede il sonoro impiantito,
mentre le sue mani cercavano di strangolare un Robur immaginario.
— Calma, Uncle Prudent,
— gli disse Phil Evans. — Tentate voi pure.
Uncle Prudent provò, ma
il suo bowie-knife da tasca non riuscì nemmeno ad intaccare una parete, che le
sue migliori lame non riuscivano neppure a rigare, come se fosse stata di
cristallo.
Dunque, ogni progetto di
fuga diveniva impossibile, pur ammesso che si potesse fuggire una volta aperta
la porta.
Ci si dovette,
momentaneamente, rassegnare; cosa che non è molto nel temperamento yankee, e
attendere tutto dal caso, cosa che pur ripugna a spiriti eminentemente pratici.
Ma questo non avvenne senza grosse ingiurie, parole grosse, violente invettive
all’indirizzo di questo Robur, che non doveva essere uomo da turbarsene, per
poco che nella vita consueta si mostrasse il personaggio che era stato al
Weldon-Institute.
Intanto Frycollin
cominciava a dare qualche segno non equivocabile di malessere. Sia che provasse
dei crampi allo stomaco o dei crampi alle membra, si dimenava in modo assai penoso.
Uncle Prudent mise fine
a questa ginnastica, tagliando le corde che stringevano il negro.
Forse egli ebbe motivo
di pentirsene.
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