Ma questo aerostato da diporto non ha niente a che vedere con
l’aeronave austera, costruita secondo i soli principi dell’efficienza. D’altra
parte, Jules Verne non aveva bisogno di attingere da Robida cose che aveva
trovato già in Baudelaire nel 1859, data di apparizione del celebre “L’albatros”.
E questa volta le similitudini non si arrestano al nome, anche se dobbiamo cercarle
sotto le metafore del poema. Perché il grande uccello (meccanico) dei mari è
veramente “simile al principe delle nuvole / Che sfida la tempesta e si fa
gioco dell’arciere”. Nella versione romanzesca, “l’«Albatros» non si curava dei
venti e delle onde, simile al potente uccello di cui portava il nome”. E mentre
l’apparecchio sorvolava l’oasi di Uargla, fu salutato da un centinaio di
fucilate, i cui proiettili ricaddero senza averlo raggiunto. Possiamo
scoprire il ricordo del poema anche in altri “Viaggi straordinari”. Come
esempio vediamo questo passaggio estratto da Sphinx des glaces (1897):
Un giorno mi fu dato di assistere all’involo di un albatros (…) Subito l’uccello
s’innalzò con la sua ampia apertura alare, le zampe ripiegate, la testa
allungata come la serpa di una nave, lanciando il suo grido acuto, e, qualche
istante dopo, ridotto a un punto nero in mezzo agli strati alti, sparì dietro
la cortina brumosa del sud.
Sovente si è negata a
Verne la capacità di sganciarsi dal presente, dal suo presente. Tre soli
racconti sono ambientati nel futuro: Amiens en l’an 2000, La journée d’un
journaliste américain en l’an 2889 e L’Eternel Adam afferma perentoriamente
Marie Hélène Huet. Per avere ragione, avrebbe dovuto precisare: in un futuro
lontano. Perché l’opera verniana racchiude anche testi la cui azione si svolge
solamente qualche anno dopo la loro pubblicazione, come II castello nei
Carpazi, Claudius Bombarnac e L’isola a elica. Due indizi permettono di
includere Robur il conquistatore in questa categoria. Alla fine del
primo capitolo, fra le cime difficilmente accessibili dove si può vedere sventolare
la bandiera di Robur si trova il “parafulmine della Torre in ferro dell’Esposizione
del 1889”. L’azione è ambientata dunque almeno tre anni dopo la pubblicazione
del romanzo. Ancora più significativa da questo punto di vista un’ osservazione
del capitolo XII: L’oscurità era profonda. Non si poté vedere nulla della
ferrovia transahariana, in costruzione secondo il progetto Duponchel, lungo
nastro di ferro che deve congiungere Algeri con Tombuctu passando da Laghouat,
Caldaia e raggiungere in seguito il golfo di Guinea. Ora, è vero che l’ingegnere
francese Adolphe Duponchel aveva pubblicato nel 1878 uno studio intitolato
Le chemin de fer transsaharien: jonction coloniale entre l’Algérie et le
Soudan. Ma è vero anche che, dal 1879, numerose imprese erano state
incaricate di stabilire i possibili tracciati di una simile ferrovia che
avrebbe dovuto essere un considerevole troncone di una gigantesca Transafricana.
Ma la transahariana restò, e rimane ancora, allo stato di progetto!
In ogni modo, il trionfo
del “più pesante dell’aria” si faceva attendere anche nel 1897, quando, il 5
maggio, Jules Verne scriveva a Mario Turiello, giovane corrispondente italiano:
Quanto al problema della navigazione aerea, siamo lontani dall’aver risolto
il problema, anche per Robur il conquistatore, mi può credere. Un abisso divide
la realtà dalla fantasia. Un abisso che sei anni dopo, il 17 dicembre 1903,
i fratelli Wright avrebbero superato con il loro aereo mosso da un motore a
combustione interna e non dall’elettricità, come l’“Albatros”. Può sembrare
curioso che questo avvenimento sia ignorato nel secondo romanzo verniano
consacrato al “più pesante dell’aria”, Padrone del mondo, pubblicato nel
“Magasin d’éducation et de récréation” a partire dal 1° luglio 1904. Ma il testo
attendeva da almeno due anni nel cassetto della scrivania del piccolo ufficio situato
al secondo piano del numero 44 del boulevard de Longueville, a Amiens. Il 14
febbraio 1904 Jules Hetzel, figlio di Pierre Jules, morto nel 1886, ricevette
una lettera nella quale lo scrittore gli comunicava, tra l’altro: “Al posto
dell’invisibile, di cui vi avevo parlato (si tratta del Segreto di Wilhelm
Storitz -I.H.), preferisco inviarvi Maitre après Dieu che mi sembra
dica l’ultima parola sull’automobilismo, così di moda al giorno d’oggi”. E il
manoscritto veniva inoltrato all’editore tre giorni dopo.
Questa curiosa
definizione, “L’ultima parola sull’automobilismo”, compare in una lettera a
Mario Turiello del 17 maggio 1904. Ma l’“Epouvante” è molto di più di un’automobile
perfezionata, essendo in grado di muoversi con la stessa facilità sulla terra,
sopra e sotto l’acqua e nell’aria. (Forse ha ragione Charles Noèl Martin quando
propone che “il termine automobile non deve essere inteso in senso
stretto, ma come «maniera universale di viaggiare». Motivo, questo, perché Sani
Moskowitz ritorni alla carica: “Certainly, when Jules
Verne’s sequel to Robur the Conqueror, titled The Master
of the World, appeared in 1904 Senarens must have found himself
disenchanted; for the third time Verne outrageously lifted one of his ideas,
this time the flying submarine which had first appeared on the cover of
Boys Star Library in 1896, eight years before Verne’s story, illustrating a
scene from Noname’s novel Over the South Pole; or, Jack Wright’s Search for a
Lost Explorer with his Flying Boat. Ma nell’agosto 1894, quindi due anni p…….
dell’apparizione del romanzo di Senarens-Noname, il “predone” smascherato da
Moskowitz scriveva al fratello Paul che pensa va di introdurre un “battello sottomarino
e aereo”, dello anche “nave pesce-uccello”, in Face au Drapeau (1896)!…
L’idea fu abbandonata e ripresa nel 1901/1902, quando Jules Verne scrisse Padrone
del mondo. Quanto al connubio nave-sottomarino-automobile, la possibile
origine dell’idea è indicala nel testo stesso del romanzo, quando l’ispettore
Strock legge, in un articolo sull’“Evening Star”, questo passaggio: “Proprio a
Bridgeport, nel Connecticut, non è stata forse varata pochi anni or sono una
nave, la “Protector”, che può navigare sull’acqua e sott’acqua e anche muoversi
in terra? Costruita da un certo Lake, provvista di due motori, uno elettrico di
75 cavalli mosso da due eliche gemelle, l’altro a benzina, di duecentocinquanta
cavalli, era inoltre munita di ruote in ghisa del diametro di un metro, che le
permettevano di correre sulle strade come nel fondo dei mari”. Anche il primo
sottomarino di Simon Lake, ^’Argonauta”, costruito nel 1896, era munito di ruote.
Anche questa volta non possiamo concedere a Lu Senarens nemmeno la priorità letteraria
reclamata dal suo zelante biografo. Infatti il “Journal des Voyages et des
Aventures de terre et de mer” aveva pubblicato nel 1886 il romanzo di Louis
Jacolliot, Les mangeurs de feu, che presentava ai lettori il
meraviglioso “Remember” e i suoi fratelli minori, “Swan” e “Wasp”, dei quali l’inventore
Jonathan Spiers dice, modestamente: …mi sono limitato a riunire in un solo
apparecchio il sottomarino, la locomotiva e l’automobile aerea a elica.
Inoltre i tre apparecchi erano mossi dall’elettricità immagazzinata in
accumulatori di costruzione particolare.
La metamorfosi dell’”Albatros”
nel “Epouvante” è preparata in qualche modo fin dalla prima fase dell’epopea
del “più pesante dell’aria”. Inseguendo il treno che si dirigeva verso Salt
Lake City, l’aeronave “Svolazzava sopra di esso come un enorme scarabeo, che
poteva diventare un gigantesco uccello da preda”. Il capitolo finale è ricco di
queste inquietanti analogie: …come un avvoltoio che si precipita dalle alte
zone dell’aria, l’aeronave appariva sopra Fairmont Park; Più piccolo del «Go a
Head» era il pesce spada all’inseguimento della balena, che trafigge con il suo
dardo; era la torpediniera che si spinge contro la corazzata, per farla saltare
con un solo colpo. (L’autore creava l’atmosfera necessaria all’attacco
finale, al quale rinunciò dopo l’ingiunzione di Hetzel). In Padrone del
mondo il veicolo tetravalente è paragonato, ancor prima di essere
identificato, a “un gigantesco uccello da preda, un mostro volante”. Nelle
vesti di automobile e di nave inafferrabile, “Era come un fulmine che vi
minacciasse, senza che ne foste avvertiti dalle condizioni atmosferiche.” E
verso la fine il “poderoso e gigantesco uccello” ritorna a essere “un mostro
aereo”. Ma le minacce implicite in questi paragoni restano a livello di
possibilità. Il solo misfatto dovuto al “Epouvante” è una collisione
involontaria con la goletta “Markel” (cosa che ci ricorda la collisione
involontaria del “Nautilus” col piroscafo “Scotia”). Mi sembra difficile,
perciò, considerarlo “infinitamente più aggressivo dell’«Albatros»…” se si
tiene conto che quest’ultimo è utilizzato come una vera e propria macchina da
guerra nell’episodio del salvataggio dei prigionieri condannati a seguire la
sorte dell’ex-re del Dahomey.
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