Ma ciò che parve ancora più straordinario in tutto questo fu il
fatto che svedesi e norvegesi avessero potuto mettersi d’accordo su un
argomento qualunque.
Della pretesa scoperta
si rise in tutti gli osservatori dell’America del Sud, in Brasile, in Perù come
a La Plata, in quelli dell’Australia, a Sidney, ad Adelaide e a Melbourne. E le
risate australiane sono fra le più comunicative.
A farla breve: un solo direttore
di stazione meteorologica accettò positivamente quella questione nonostante
tutti i sarcasmi che la sua soluzione poteva far nascere. Un cinese, il direttore
dell’osservatorio di Zi-Ka-Wey, che sorge in mezzo a una vasta pianura, a meno
di dieci leghe dal mare, e che abbraccia un orizzonte immenso e limpidissimo.
— Potrebbe darsi, — egli
disse — che l’oggetto di cui si parla sia semplicemente un aeromobile, una
macchina volante!
Che scherzo!
Intanto, se le
controversie erano state molto vive nel Vecchio Mondo, figuriamoci quello che
dovettero essere in quella parte del Nuovo, di cui gli Stati Uniti occupano il
più esteso territorio.
Uno yankee, lo sappiamo,
non la fa tanto lunga. Va per le spicce e, generalmente, dritto allo scopo. Gli
osservatori della Federazione americana non esitarono a dirsi il fatto loro. Se
non si gettarono addosso i propri obiettivi, fu perché sarebbe stato necessario
sostituirli nel momento in cui ne avevano maggior bisogno.
In quella questione
tanto controversa, gli osservatori di Washington, nel distretto di Columbia e
quello di Cambridge nello Stato di Duna, tennero testa all’osservatorio di
Darmouth-College nel Connecticut, e a quello d’Aun-Arbor nel Michigan. L’argomento
della loro disputa non era tanto la natura del corpo osservato, quanto l’istante
preciso dell’osservazione; tutti infatti pretendevano di averlo veduto nella
stessa notte, alla stessa ora, allo stesso minuto, allo stesso secondo, sebbene
la traiettoria del misterioso corpo si elevasse di poco sopra l’orizzonte. Ora,
dal Connecticut al Michigan, dalla Duna alla Columbia la distanza è sufficiente
perché una simile osservazione, fatta nello stesso momento, possa essere
considerata come impossibile. Dudley, ad Albany, nello Stato di New York, e
West-Point, dell’Accademia Militare, diedero torto ai colleghi con una nota che
stabiliva in cifre l’ascensione in linea retta e la declinazione del corpo
avvistato.
Si riconobbe in seguito
che quegli osservatori avevano sbagliato corpo, che quello da loro studiato era
un bolide che si era limitato ad attraversare lo strato medio dell’atmosfera.
Dunque quel bolide non poteva essere l’oggetto in questione. Del resto come
avrebbe potuto suonare la tromba?
Quanto alla tromba,
invano si cercò di relegare la sua fragorosa fanfara fra le illusioni
acustiche. Ma le orecchie non si sbagliavano più degli occhi. Si aveva di certo
visto, si aveva di certo sentito.
Nella notte dal 12 al 13
maggio, notte assai scura, gli osservatori dello Yale-College, nella Scuola
scientifica di Sheffield, avevano potuto trascrivere alcune battute di una
frase musicale, in re maggiore, a quattro tempi, che riproducevano, nota per
nota, ritmo per ritmo, il ritornello del Canto della Partenza.
— Bene! — gridarono i
burloni; — è un’orchestra francese che suona nell’atmosfera!
Ma scherzare non è
rispondere. È quanto fece rilevare l’osservatorio di Boston, fondato dell’Atlantic
Iron Works Society, il cui parere nelle questioni d’astronomia e di
meteorologia cominciava a dettar legge nel mondo scientifico.
Intervenne allora l’osservatorio
di Cincinnati, creato nel 1870 sul monte Lookout, grazie alla generosità del
signor Kilgoor e conosciutissimo per le sue misurazioni micrometriche delle stelle
doppie. Il suo direttore dichiarò con la maggiore buona fede, che c’era
certamente qualche cosa, che un oggetto mobile si mostrava in tempi piuttosto
ravvicinati e in punti diversi dell’atmosfera, ma che era impossibile pronunciarsi
sulla natura di tale oggetto, sulle sue dimensioni, sulla sua rapidità, sulla
sua traiettoria.
Fu allora che un
giornale, di grandissima diffusione, il «New York Herald», ricevette da un
abbonato la seguente comunicazione anonima:
«Non è possibile aver
dimenticato la rivalità che seminò l’odio alcuni anni fa fra i due eredi della
Begum di Ragginahra, il dottore francese Sarrasin nella sua città di
Franceville, e l’ingegnere tedesco Herr Schultze nella sua città di Stahlstadt,
località entrambe situate nella parte sud dell’Oregon, negli Stati Uniti.
«E non si può aver
dimenticato che, allo scopo di rovinare Franceville, Herr Schultze lanciò un
formidabile congegno che doveva cadere sulla città francese ed annientarla in
un sol colpo.
«Ancor meno si può aver
scordato che quel congegno, la cui rapidità iniziale all’uscita dalla bocca del
cannone-gigante era stata mal calcolata, fu spinto verso gli strati superiori
dell’atmosfera con una rapidità superiore a sedici volte quella dei proiettili
ordinari, ossia centocinquanta leghe all’ora, che esso non è più ricaduto sulla
terra, e, passato allo stato di bolide, rotea e deve eternamente roteare
attorno al globo.
«Ora, il corpo di cui si
parlò non potrebbe essere quello la cui esistenza non può essere negata?».
Davvero ingegnoso l’abbonato
del «New York Herald». E la tromba?… Non c’era nessuna tromba nel proiettile di
Herr Schultze!
Dunque, tutte quelle
spiegazioni non spiegavano niente, e tutti gli osservatori osservavano male.
Rimaneva sempre l’ipotesi avanzata dal direttore di Zi-Ka-Wey. Ma l’opinione di
un cinese!
E non si creda che il
pubblico del Vecchio e del Nuovo Mondo cominciasse a sentirsi annoiato. No! Le
discussioni continuarono con grande impegno senza che si riuscisse a mettersi d’accordo.
Tuttavia, ci fu un momento di tregua. Trascorsero alcuni giorni senza che l’oggetto,
bolide o meno, fosse segnalato, senza che nessun suono di tromba si facesse
udire attraverso l’etere. Il corpo era dunque caduto in un punto del globo, dov’era
difficile scoprire le sue tracce — in mare, per esempio? Giaceva ormai negli
abissi dell’Atlantico, del Pacifico, dell’Oceano Indiano? Che cosa si poteva
dire?
Ma allora, fra il 2 e il
9 giugno, si presentò una serie di fatti nuovi, la cui spiegazione sarebbe
stata impossibile ammettendo semplicemente l’esistenza di un fenomeno cosmico.
Nello spazio di otto
giorni, gli amburghesi, in cima alla torre San Michele; i turchi, sul più alto
minareto di Santa Sofia; gli abitanti di Rouen, alla sommità della guglia
metallica della loro cattedrale; gli strasburghesi, sopra il Munster; gli
americani, sulla testa della statua della Libertà, all’imboccatura dell’Hudson,
e in cima al monumento a Washington a Boston; i cinesi, in vetta al tempio dedicato
ai Cinquecento Geni, a Canton; gli indù, al sedicesimo piano della piramide del
tempio di Tanjur; i sampietrini, sopra la croce della basilica di San Pietro;
gli inglesi, sopra la croce di San Paolo a Londra; gli egiziani, al vertice
della Grande Piramide di Gizeh; i parigini, sul parafulmine della Torre in
ferro dell’Esposizione del 1889 e alta trecento metri, poterono vedere una bandiera
sventolare su ognuno di quei punti tanto difficilmente accessibili.
E questa bandiera era un
drappo nero cosparso di stelle con un sole d’oro nel centro.
CAPITOLO SECONDO
Nel quale i membri del
Weldon-Institute discutono
senza riuscire ad
accordarsi
— E il primo che dirà il
contrario…
— Davvero!… Ma se sarà
necessario lo si dirà…
— E a dispetto delle
vostre minacce!…
— Misurate le vostre
parole, Bat Fyn!
— E voi le vostre, Uncle
Prudent.
— Io sostengo che l’elica
non va messa dietro!
— Anche noi!… Anche
noi!… — risposero cinquanta voci, confuse in un solo grido.
— No!… Deve collocarsi
davanti! — esclamò Phil Evans.
— Davanti! — risposero
altre cinquanta voci con un vigore non meno notevole.
— Non saremo mai della
vostra opinione!
— Mai! Mai!
— Allora perché
litigare?
— Non si litiga!.., Si
discute!
Non lo si sarebbe detto
ascoltando le repliche accese, le minacce, le grida che riempivano la sala
delle sedute da un quarto d’ora buono.
Quella sala era la più
vasta del Weldon-Institute — club famoso in tutto il mondo — in Walnut-Street,
a Filadelfia, Pennsylvania, negli Stati Uniti.
Bisogna sapere che, il
giorno precedente, in quella città a proposito dell’elezione di un lampionaio c’erano
state delle manifestazioni pubbliche, scontri violenti, qua e là si era anche venuti
alle mani. Da questo era derivata un’agitazione che non si era ancora placata e
dalla quale proveniva forse quell’eccitazione di cui i membri del club avevano
allora dato prova. Eppure quella era una semplice riunione di «pallonisti», che
discutevano la questione ancora palpitante, soprattutto a quel tempo, di come
dirigere i palloni aerostatici.
Tutto ciò avveniva in
una città degli Stati Uniti, il cui rapido sviluppo era stato superiore anche a
quello di New York, di Chicago, di Cincinnati, di San Francisco, — una città
che non è un porto, e nemmeno un centro minerario carbonifero o petrolifero,
nemmeno un centro manifatturiero, e neppure un importante nodo ferroviario, una
città più grande di Berlino, di Manchester, di Edimburgo, di Liverpool, di
Vienna, di Pietroburgo, di Dublino, una città che possiede un parco che
potrebbe agevolmente contenere i sette parchi della capitale d’Inghilterra; una
città, infine, che conta attualmente più di un milione e duecentomila abitanti,
e può considerarsi la quarta del mondo, dopo Londra, Parigi e New York.
Filadelfia è,
praticamente, una città di marmo con le sue case imponenti, con i suoi edifici
pubblici che non temono alcun confronto. Il più importante collegio del Nuovo
Mondo è il collegio Girard e si trova a Filadelfia. Il più largo ponte in ferro
del mondo è quello gettato sul fiume Schuylkill, e si trova a Filadelfia. Il
tempio più sontuoso dei massoni è il Tempio Massonico che è a Filadelfia. E
proprio a Filadelfia si trova il più grande club di amatori della navigazione
aerea. E se si vorrà visitarlo questa sera 12 giugno, forse si avrà la
possibilità di divertirsi.
In quella grande sala si
agitavano, smaniavano, gesticolavano, parlavano, discutevano, litigavano —
tutti col cappello in testa — un centinaio di «pallonisti», sotto l’alta guida
di un presidente, assistito da un segretario e da un tesoriere. Non si trattava
di tecnici professionisti, ma di semplici dilettanti che si interessavano a
tutto ciò che riguardava l’aerostatica, dilettanti testardi e violentemente
contrari a quanti vogliono contrapporre agli aerostati gli apparecchi «più
pesanti dell’aria», macchine volanti, navi aeree o cose simili. Che quelle
brave persone dovessero un giorno o l’altro trovare l’esatto sistema per dirigere
un pallone è possibile. In ogni caso il loro presidente faceva non poca fatica
a dirigere loro.
Questo presidente, assai
conosciuto a Filadelfia, era il famoso Uncle Prudent, Prudent di cognome.
Quanto all’attributo di Uncle, non sorprende in America, dove si può benissimo
essere zio senza avere nipoti maschi o femmine. Là si dice Uncle come altrove
si dice papà anche a chi non ha mai avuto figli.
Uncle Prudent era un
personaggio notevole, e, ad onta del nome, era citato per la sua audacia.
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