La sua carrozza stava svoltando l’angolo di fronte al droghiere, quando scorse un gruppetto di ragazzini in preda a una grande eccitazione. Due di loro stavano per sfidarsi in una gara di corsa, e uno di quei due era proprio il piccolo lord, che gridava e sbraitava più forte di tutti. Stava fianco a fianco con un altro ragazzo, una gamba pronta davanti all’altra.
«Uno... – pronti?...», gridava un terzo ragazzo. «Due... – fermi. Tre... via!».
Mr Havisham si sorprese a guardare fuori dal finestrino della carrozza con inaspettato interesse. Non ricordava di avere mai visto nessun altro correre come il piccolo lord: le sue gambette erano subito scattate nei pantaloni alla zuava lanciandosi frementi nella corsa al segnale del via. Teneva i pugni serrati e il viso proteso controvento, mentre i suoi biondi capelli svolazzavano nell’aria.
«Ced Errol!», urlavano i ragazzi saltando e facendo chiasso eccitati. «Forza, Billy Williams! Forza Ceddie! Dài Billy! Dài, dài!...».
«Vincerà di sicuro!», esclamò Mr Havisham. Le falcate con cui le piccole gambe fendevano l’aria, le grida dei ragazzi, lo sforzo disperato di Billy Williams – che certo non aveva niente da invidiare al suo avversario incalzandolo alle spalle – lo avevano messo in agitazione.
«Davvero... sì, davvero spero che vinca», mormorò con un colpetto di tosse, tanto per darsi un contegno.
In quell’istante dal gruppo di ragazzi scalmanati si alzò una specie di urlo selvaggio: con un ultimo, agile balzo, il futuro Conte di Dorincourt aveva raggiunto il lampione che segnava il traguardo toccandolo proprio un secondo prima che anche Billy Williams vi giungesse tutto trafelato.
«Tre urrà per Ceddie Errol!», gridarono i ragazzi. «Evviva Ceddie Errol!...».
Mr Havisham ritirò la testa nel finestrino e accennò un impercettibile sorriso.
«Bravo, Lord Fauntleroy», disse tra sé.
Mentre la carrozza si fermava dinanzi alla casa di Mrs Errol, il vincitore e il vinto se ne venivano, seguiti dal codazzo schiamazzante degli amici: Cedric, le mani in tasca, il piccolo e fiero visetto tutto rosso e i capelli appiccicati sulla fronte per il sudore, camminava a fianco di Billy Williams e gli stava dicendo qualcosa con l’evidente intenzione di rendergli meno cocente la sconfitta.
«Vedi», argomentava, «credo di aver vinto anche perché le mie gambe sono un po’ più lunghe delle tue. È proprio così, credimi! Io sono nato tre giorni prima di te, e questo mi avvantaggia: sono più vecchio di te di tre giorni!».
Esaminata sotto questa luce la cosa appariva talmente chiara che Billy Williams cominciò di nuovo a sorridere al mondo e a darsi un mucchio di arie, nemmeno fosse stato lui il vincitore.
In un modo o nell’altro, Cedric trovava sempre il sistema di consolare la gente: perfino nell’istante del suo trionfo ricordava che la persona sconfitta non poteva certamente condividere la sua felicità e che gli avrebbe fatto piacere pensare che in differenti circostanze il vincitore avrebbe potuto essere lui.
Quella mattina Mr Havisham fece una lunga chiacchierata con il vincitore della corsa, una conversazione che lo fece spesso sorridere mentre si accarezzava compiaciuto una guancia con la lunga mano affilata. Mrs Errol era uscita, così l’avvocato e Cedric erano restati soli. Mr Havisham in un primo momento non sapeva come comportarsi con il bambino. Pensava che sarebbe stato bene prepararlo all’incontro con il nonno e al radicale cambiamento di vita che stava per coinvolgerlo. Si rendeva conto che Cedric non aveva la minima idea di quanto gli sarebbe accaduto in Inghilterra, né della casa che lo stava aspettando. Decise invece di sorvolare sul fatto che la madre non avrebbe vissuto con lui, poiché insieme a Mrs Errol avevano stabilito di comune accordo di non dire nulla fino all’ultimo momento.
Mr Havisham sedeva in una poltrona accanto alla finestra; di fronte c’era un’altra poltrona dove si era sistemato Cedric, per poter meglio guardare in faccia il suo interlocutore. Se ne stava sprofondato fra i cuscini, la testina ricciuta appoggiata allo schienale, le gambe accavallate e le manine infilate nelle tasche, come quando si trovava dal suo amico Hobbs. Aveva osservato assai attentamente Mr Havisham mentre era intento a parlare con la mamma, e quando lei se ne era andata era rimasto a guardarlo in rispettosa attesa.
L’uscita di Mrs Hobbs venne seguita da un breve silenzio durante il quale i due si studiarono a vicenda. L’avvocato non aveva la più pallida idea di cosa si dovesse dire a un ragazzino che aveva appena vinto una corsa, che indossava pantaloncini alla zuava e calzettoni rossi su un paio di gambette ancora non abbastanza lunghe da arrivare a toccare il pavimento dalla poltrona... Ma fu proprio Cedric a toglielo d’imbarazzo, attaccando lui a parlare.
«Lo sapete», domandò, «che ancora non ho capito bene che cosa è un conte?»
«Davvero?», esclamò l’avvocato.
«Sì, davvero», annuì Ceddie. «E credo che un ragazzo quando sta per diventarlo dovrebbe essere informato, no?»
«Eh, direi di sì», rispose Mr Havisham.
«E vi rincrescerebbe», chiese rispettosamente Cedric, «vi rincrescerebbe spiegarmelo un po’ meglio?... Chi è che fa diventare qualcuno un conte?»
«Innanzitutto il re o la regina», cominciò l’avvocato. «Di solito si diventa conti perché si è reso qualche importante servizio ai sovrani, oppure si è compiuta una grande impresa».
«Oh!», esclamò Ceddie. «Allora è come per il presidente».
«Come?!...», domandò stupito Mr Havisham. «È così che vengono eletti i vostri presidenti?»
«Sì», rispose molto serio Cedric. «Quando un uomo è molto in gamba e conosce parecchie cose importanti, viene eletto presidente.
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