Mentre stava alla finestra con gli occhi che gli si chiudevano dal sonno, per un istante pensò addirittura di punire la signora Grubach convincendo la signorina Bürstner ad andarsene insieme a lui. Ma subito questo gli parve terribilmente esagerato, e gli venne persino il sospetto che il suo proposito di cambiare casa fosse dovuto ai fatti del mattino. Niente sarebbe stato più insensato, soprattutto più inutile e vile.
Quando fu stufo di guardare giù nella strada vuota, si sdraiò sul divano, dopo aver socchiuso la porta che dava sull'anticamera per poter vedere, anche da dove si trovava, chiunque entrasse in casa. Fino alle undici circa rimase sdraiato tranquillo sul divano fumando un sigaro. Ma poi non resistette più fermo, e andò un po' in anticamera, come se potesse così affrettare l'arrivo della signorina Bürstner. Non che la desiderasse particolarmente, non riusciva nemmeno a ricordarsi bene che aspetto aveva, ma adesso voleva parlare con lei e lo irritava che, con il suo ritardo, avesse portato agitazione e disordine anche sul finire di quella giornata. Era anche colpa sua se lui non aveva cenato e aveva tralasciato il proposito di far visita a Elsa. Poteva, d'altra parte, recuperare ancora l'una e l'altra cosa andando adesso nel locale dove Elsa prestava servizio. L'avrebbe fatto anche più tardi, dopo aver parlato con la signorina Bürstner.
Erano le undici e mezzo passate quando si sentì qualcuno per le scale. K., che tutto immerso nei suoi pensieri camminava rumorosamente su e giù per l'anticamera come se fosse in camera sua, se la filò dietro la sua porta. Era la signorina Bürstner che rientrava. Mentre chiudeva con il chiavistello la porta, si tirò rabbrividendo uno scialle di seta intorno alle esili spalle. Un istante dopo sarebbe entrata in camera sua, dove K., a mezzanotte, non avrebbe certo potuto introdursi; doveva dunque rivolgerle la parola adesso, ma sfortunatamente aveva dimenticato di accendere la luce elettrica in camera sua, e il venir fuori dalla camera buia sarebbe parso un'aggressione, quanto meno l'avrebbe spaventata molto. Non sapendo che partito prendere, e poiché non c'era tempo da perdere, sussurrò dallo spiraglio della porta: «Signorina Bürstner». Suonava come una preghiera, non un richiamo. «Chi c'è?», chiese la signorina Bürstner guardandosi attorno con gli occhi spalancati. «Sono io», disse K. facendosi avanti. «Ah, signor K.!», disse la signorina Bürstner sorridendo. «Buona sera», e gli porse la mano. «Volevo scambiare due parole con lei adesso, me lo permette?». «Adesso?» chiese la signorina Bürstner, «proprio adesso? È un po' strano, non le pare?». «La sto aspettando dalle nove». «Beh, ero a teatro, non sapevo niente di lei». «Quanto intendo dirle è in relazione a qualcosa che è accaduto solo oggi». «Capisco, non ho niente in contrario, solo che crollo dalla stanchezza. Su, venga un minuto in camera mia. Qui non potremmo in ogni caso parlare, sveglieremmo tutti e mi spiacerebbe più per noi che per loro. Aspetti qui finché ho acceso in camera mia, poi spenga la luce qui». K.
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