Inoltre, sebbene non fosse simile a Crimsworth né a Lord Tynedale, era comunque duro e, mi parve, in un certo senso arrogante. C’era un dispotismo anche nella veemenza delle osservazioni con cui sperava di fare in modo che l’oppresso si ribellasse all’oppressore. Guardandolo ancora più attentamente di quanto avessi fatto prima gli vidi nello sguardo e nelle maniere la determinazione di prendersi una tale illimitata libertà da rappresentare una minaccia per la giusta autonomia dei suoi vicini.
A questo fugace pensiero risi: un risolino basso e involontario, suscitato dall’improvvisa intuizione dell’inconsistenza dell’uomo. Proprio come pensavo: Hunsden era convinto che avrei reagito con calma alle sue osservazioni imprecise e offensive, alle sue provocazioni aspre e presuntuose. E quella mia risata, poco più forte di un mormorio, lo irritò.
L’espressione si incupì, le narici sottili si dilatarono appena.
«Già», cominciò, «le ho detto che è un aristocratico, e chi, se non un aristocratico, riderebbe in quel modo e avrebbe un simile sguardo? Una risata sarcastica, lo sguardo pigramente ribelle; spirito da gentiluomo, un’animosità patrizia. Che nobiluomo sarebbe stato, William Crimsworth! Lei è nato per esserlo: è un peccato che il destino abbia ostacolato la sua natura! I suoi tratti, la postura, persino le sue mani. Distinzione ovunque, e che brutta distinzione! E se solo lei possedesse delle terre, una dimora, un parco e un titolo, ci terrebbe eccome all’esclusività, a tutelare i diritti della sua classe, ad abituare i dipendenti a rispettare l’aristocrazia, si opporrebbe eccome a ogni passo che il popolo conquista verso il potere: difenderebbe la sua classe e sarebbe disposto a camminare con le ginocchia immerse nel sangue dei contadini se questo fosse nel suo interesse! Per come stanno le cose al momento, lei non ha potere, non può fare niente, si trova alla deriva, insabbiato sulle rive del commercio, obbligato a scontrarsi con uomini pratici, con cui non sa come comportarsi, perché lei non sarà mai un commerciante».
La prima parte del discorso di Hunsden non mi aveva affatto toccato, ma mi ero soffermato a pensare a come il pregiudizio avesse perversamente trasformato l’idea che si era fatto del mio carattere. La frase finale, però, non solo mi toccò, ma mi sconvolse; vibrò un colpo molto violento, perché era la verità a impugnare l’arma. Se a quel punto sorridevo, era solo in segno di disprezzo per me stesso.
Hunsden si accorse del vantaggio, e proseguì.
«Non otterrà niente dal commercio», disse. «Niente più che il pane secco e il bicchier d’acqua di cui vive adesso; l’unico modo di assicurarsi una rendita rimane quello di sposare una ricca vedova o fuggire con un’ereditiera».
«Lascio che certi espedienti siano praticati da chi li escogita», dissi alzandomi.
«E anche questo è impossibile», riprese freddamente. «Quale vedova la vorrebbe? O peggio: quale ereditiera? Non è abbastanza audace e temerario per l’una, né abbastanza bello e affascinante per l’altra. Lei magari crede di apparire intelligente e distinto: porti dunque il suo intelletto e la sua raffinatezza al mercato e mi faccia sapere cosa le offrono in cambio».
Hunsden aveva scelto il suo tono per quella serata; continuava a tirare una corda stonata e non ne avrebbe pizzicate altre. Essendo contrario alle discussioni – ne avevo a sufficienza ogni giorno, e per tutto il giorno – decisi che, tutto sommato, il silenzio e l’isolamento erano da preferirsi a una conversazione disarmonica: gli augurai la buonanotte.
«Ma come! Se ne va, amico mio? Be’, buonanotte: troverà da solo l’uscita». Restò seduto immobile davanti al fuoco, mentre io lasciavo quella stanza e quella casa. Ero già a buon punto sulla strada del ritorno quando realizzai che stavo camminando molto veloce e respiravo con affanno, che avevo le unghie conficcate nei pugni e i denti serrati con forza. Consapevole di questo, rilassai il passo, i pugni e le mascelle, ma non ebbi altrettanto successo a far sì che anche il flusso di rimpianti che mi si affollavano veloci nella testa scemasse. Perché avevo voluto fare di me un commerciante? Perché quella sera ero entrato in casa di Hunsden? Perché all’alba del giorno dopo dovevo rinchiudermi dentro la fabbrica di Crimsworth? Per tutta la notte continuai a farmi queste domande e per tutta la notte chiesi ardentemente una risposta alla mia anima. Non riuscii a chiudere occhio: avevo la testa che scottava e i piedi gelati; finché la sirena dello stabilimento emise il suo richiamo e saltai giù dal letto come gli altri schiavi.
Capitolo V
C’è un culmine per ogni cosa, per ogni stato d’animo e ogni condizione di vita.
Meditavo su questo dato di fatto nell’alba gelida di un mattino di gennaio, mentre mi affrettavo giù per la ripida strada, allora anche ghiacciata, che dalla casa della signora King portava al Close. Gli operai erano arrivati già da un’ora e lo stabilimento era tutto illuminato e in fermento quando giunsi lì. Mi rintanai come sempre in ufficio; il fuoco, appena acceso, per il momento fumava e basta, Steighton non era ancora arrivato. Chiusi la porta e andai a sedermi alla scrivania. Mi ero appena lavato le mani sotto un’acqua gelida ed erano ancora tutte intirizzite; non potevo scrivere finché non avessero recuperato vitalità, quindi seguitai a pensare e il tema dei miei pensieri era ancora quel “culmine”. La scontentezza turbava profondamente il corso delle mie meditazioni. «Coraggio, William Crimsworth», mi diceva la coscienza, o quel qualcosa che ci ammonisce da dentro, «coraggio, cerca di capire bene quel che vorresti o non vorresti avere. Parli di culmine, significa forse che la tua sopportazione è al suo culmine? Non sono passati neppure quattro mesi. Che ragazzo determinato ti credevi quando dicesti a Tynedale che avresti seguito le orme di tuo padre. Le seguirai eccome, se vai avanti così! Quanto ti piace X.! E che gradevoli impressioni ti suscita in questo momento il pensiero delle sue strade, le botteghe, i magazzini, le fattorie! Come ti diletta la prospettiva di questa giornata! Copiare lettere fino a mezzogiorno, pranzare a casa da solo, copiare lettere fino a sera e poi solitudine, perché non provi alcun piacere a stare insieme a Brown, Smith, Nicholl o Eccles. Quanto a Hunsden, credevi che la sua compagnia potesse rivelarsi piacevole, ah, ah! Ti è piaciuto l’assaggio che hai avuto di lui ieri sera? È stato dolce? È un uomo dotato, brillante, eppure nemmeno lui ti piace; l’orgoglio ti frena dal nutrire simpatia per lui. Ti ha sempre visto in una situazione di svantaggio, e continuerà a vederti in svantaggio. Non siete in una posizione alla pari e, se anche foste sullo stesso livello, le vostre menti non potrebbero comunque comprendersi.
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