Accanto al camino c’era una signora in piedi, come in attesa del nostro ingresso: era giovane, alta, ben proporzionata, indossava un abito alla moda. Questo è quanto riuscii a notare a una prima occhiata. Si salutarono con una certa allegria. Lei lo rimproverò per il ritardo, un po’ scherzando e un po’ imbronciandosi; la sua voce (prendo sempre in considerazione le voci nel giudicare un carattere) era vivace. Denotava una buona natura, pensai. Crimsworth si affrettò a soffocare i suoi accesi rimproveri con un bacio, un vero bacio da sposo (erano sposati solo da un anno); lei sedette a tavola di ottimo umore. Vedendomi, si scusò per non avermi notato prima e poi mi strinse la mano, come fanno le signore quando il buonumore le rende bendisposte e allegre con tutti, anche con la più indifferente delle loro conoscenze. A questo punto mi fu ancora più evidente che aveva un bel viso e lineamenti piuttosto marcati ma gradevoli; i capelli erano rossi, decisamente rossi.
Con Edward parlavano molto, sempre in una sorta di giocoso scontro; era seccata, o fingeva di essere seccata, perché quel giorno aveva attaccato al calesse un cavallo indocile e lui prendeva alla leggera i suoi timori. Talvolta si rivolgeva a me:
«William, non è assurdo che Edward parli così? Dice di voler portare solo Jack e nessun altro cavallo, quando quel bruto lo ha già fatto ribaltare due volte».
Aveva una pronuncia leggermente blesa, non sgradevole, ma infantile. Notai che anche i suoi lineamenti, che non erano piccoli, rivelavano qualcosa di fanciullesco, più che giovanile; questa pronuncia blesa e questa espressione erano sicuramente affascinanti per Edward, così come lo sarebbero stati per la maggior parte degli uomini, ma non per me. Cercai i suoi occhi, curioso di leggervi l’intelligenza che non ravvisavo guardandola né sentendola parlare: erano allegri, piuttosto piccoli. Vidi affacciarsi dall’iride esuberanza, vanità, civetteria, ma invano vi cercai indizi di una qualche profondità. Non sono un orientale: il collo bianco, labbra e guance rosee e lucidi riccioli non mi bastano se non c’è anche quella scintilla prometeica che sopravvivrà quando le rose e i gigli saranno appassiti e i capelli bruni diventati grigi. Al sole e nella prosperità i fiori sono bellissimi; eppure sono tanti i giorni piovosi nella vita – stagioni disgraziate di novembre, quando il focolare e la casa di un uomo sarebbero davvero freddi, senza il bagliore luminoso e confortante dell’intelletto!
Quand’ebbi finito di esaminare il viso della signora Crimsworth come fosse una pagina aperta, un profondo e involontario sospiro tradì la mia delusione; lei lo interpretò come un omaggio alla sua bellezza, mentre Edward, evidentemente orgoglioso della ricca e bella sposina, mi lanciò uno sguardo un po’ beffardo e un po’ severo.
Distolsi l’attenzione dai due e guardai pigramente la stanza, sul pannello di quercia al lato del camino notai due quadri. Mi estraniai quindi dalla scherzosa conversazione tra i Crimsworth, e presi a esaminare questi quadri. Erano due ritratti, una donna e un uomo, vestiti entrambi secondo la moda di vent’anni prima. L’uomo era in ombra. Non riuscivo a vederlo bene. La donna era invece illuminata in pieno da un fascio di luce proveniente da una lampada appena schermata. La riconobbi subito; avevo già visto quel quadro da piccolo: era mia madre. Questo quadro e il suo compagno erano gli unici ricordi di famiglia sopravvissuti alla vendita della proprietà di mio padre.
Il volto, ricordavo, quand’ero ragazzo mi piaceva, ma al tempo non potevo capirlo fino in fondo; ora sapevo quanto quel genere di volto fosse raro e apprezzai profondamente la sua espressione pensierosa e al tempo stesso gentile. I seri occhi grigi possedevano per me un forte fascino, così come certi suoi tratti, indicativi dei sentimenti più autentici e dolci. Mi dispiaceva che fosse soltanto un quadro.
Lasciai presto il signore e la signora Crimsworth da soli. Un servitore mi condusse alla mia camera; nel chiudere la porta lasciai fuori tutti gli intrusi – te, Charles, come anche gli altri. Addio, per ora,
William Crimsworth
Non ho mai avuto risposta a questa lettera; prima che potesse riceverla il mio vecchio amico aveva accettato un incarico governativo in una delle colonie e si era messo in viaggio verso il luogo delle sue fatiche ufficiali. Cosa ne sia poi stato di lui non lo so.
Il tempo libero di cui dispongo e che pensavo di impiegare a suo esclusivo vantaggio lo dedicherò invece a quello del pubblico. Il mio racconto non è esaltante e, soprattutto, non è straordinario; ma potrebbe interessare alcune persone che, avendo conosciuto le fatiche della mia stessa vocazione, troveranno nella mia esperienza molti riflessi della loro. La precedente lettera servirà come introduzione. Ora vado avanti.
Capitolo II
Una serena mattina d’ottobre seguì alla sera nebbiosa che mi aveva visto entrare a Villa Crimsworth per la prima volta.
Mi svegliai presto e uscii a passeggiare nel grande terreno che, simile a un parco, circondava la casa. Il sole autunnale sorgeva sulle colline dello **shire, illuminando una bella campagna; boschi scuri e fitti punteggiavano i campi dai quali le messi erano state da poco raccolte.
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