Io rimasi in piedi lì vicino; dopo un po’ disse:
«Steighton, lasci pure la stanza; ho delle questioni da discutere con questo signore. Torni quando sente il campanello».
L’uomo si alzò dalla scrivania e uscì, chiudendosi la porta alle spalle. Crimsworth attizzò il fuoco, poi incrociò le braccia e si mise a riflettere, con le labbra strette e la fronte corrugata. Non potevo far altro che stare lì a guardarlo: che bei lineamenti aveva! Era davvero un bell’uomo! Da dove veniva allora quell’aria rigida, quell’espressione severa della fronte, e di tutti i suoi tratti?
Rivolgendosi a me cominciò bruscamente:
«Sei venuto nello **shire per imparare a fare il commerciante?».
«Sì».
«Ci hai pensato bene? Voglio saperlo subito».
«Sì».
«Bene, io non sono obbligato ad aiutarti, ma ho un posto disponibile qui, se sei qualificato. Ti prenderò in prova. Cosa sai fare? Cos’altro sai oltre alle inutili scempiaggini che hai studiato... il greco, il latino e cose simili?».
«Ho studiato matematica».
«Pff! Lo credo bene».
«So leggere e scrivere in francese e tedesco».
«Mmm».
Ci pensò un momento, poi aprì il cassetto di una scrivania lì accanto, tirò fuori una lettera e me la passò.
«Sai leggere questa?», chiese.
Era una lettera commerciale in tedesco. La tradussi. Non capii se ne fosse soddisfatto o meno: lo sguardo era inespressivo.
«È bene», disse dopo una pausa, «che tu sappia fare qualcosa di utile, che ti consenta di guadagnarti da vivere; poiché conosci il francese e il tedesco ti assumerò come secondo impiegato per sbrigare la corrispondenza estera della società. Ti darò un buono stipendio, novanta sterline l’anno. E ora», continuò a voce più alta, «stai a sentire una volta per tutte quel che ho da dirti circa i nostri rapporti e altre simili sciocchezze! Non accetterò stupidaggini su questo punto, non è nella mia natura. Non ti perdonerò nulla solo perché sei mio fratello; se troverò che sei stolto, sciatto, dissoluto, pigro o altro che sia nocivo per gli interessi della ditta, ti licenzierò come farei con qualsiasi altro dipendente. Novanta sterline l’anno sono un buono stipendio ed esigo di essere pienamente soddisfatto da te. Ricorda, inoltre, che nel mio stabilimento si basa tutto su un presupposto pratico: abitudini, sentimenti e idee affaristiche sono quelle che più mi si addicono. Hai capito?».
«In parte», risposi. «Immagino che tu voglia dire che dovrò lavorare in maniera adeguata al mio salario, non aspettarmi favoritismi da parte tua e non contare su di te per alcun aiuto, oltre a quel che guadagnerò. Mi va benissimo, e a questi patti accetterò di essere tuo impiegato».
Mi girai e andai alla finestra; stavolta non lo guardai per indovinare i suoi pensieri: quali fossero dunque non lo so, né allora mi importava. Dopo un silenzio di alcuni minuti ricominciò:
«Forse hai in mente di poterti sistemare a Villa Crimsworth, e di andare e venire in calesse con me. Voglio che tu sappia che una simile soluzione mi sarebbe scomoda. Preferisco avere il posto sul calesse libero per qualsiasi gentiluomo che, per ragioni di lavoro, possa aver voglia di ospitare qualche notte. Ti cercherai quindi un alloggio a X.».
Allontanandomi dalla finestra, tornai al camino. «Certo che cercherò un alloggio a X.», risposi. «Nemmeno io vorrei vivere a Villa Crimsworth».
Il mio tono era calmo. Parlo sempre in modo calmo. Eppure gli occhi chiari di Crimsworth si irritarono. Si vendicò in modo alquanto strano. Volgendosi verso di me disse bruscamente:
«Sei piuttosto povero, immagino. Come pensi di vivere fino al primo stipendio?».
«Me la caverò», risposi.
«Come pensi di vivere?», ripeté alzando la voce.
«Come posso, signor Crimsworth».
«Indebitati a tuo rischio! Questo è quanto», rispose. «Per quel che ne so, potresti avere bizzarre abitudini aristocratiche; se è così, rinunciaci. Non tollero cose simili qui, e non ti darò mai un solo scellino in più, qualsiasi siano le difficoltà in cui ti trovi.
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