Mi sembrava un po' troppo pesante.
Charles gli voltò le spalle e attaccò i cani come meglio poté,
ossia non proprio nel modo migliore.
- Naturalmente i cani non potranno tirare avanti per tutta la
giornata con tutto quel po' po' di roba dietro, - affermò un
altro.
- Certo, - disse Hal con gelida cortesia, afferrando il timone con
una mano e agitando con l'altra la sua frusta.- Mush, - gridò. -
Mush, avanti!
I cani fecero forza contro i pettorali, tirarono energicamente per
pochi istanti e poi cedettero. Erano incapaci di muovere la
slitta.
- Maledetti poltroni, ve la faccio vedere io, - gridò accingendosi
a frustarli.
Mercedes intervenne piagnucolando: - Oh, Hal, non lo fare. - E
intanto afferrava la frusta e gliela strappava dalle mani. -
Poverini! Devi promettermi di non esser cattivo con loro per tutto
il viaggio, altrimenti non mi muovo.
- Te ne intendi proprio, di cani, tu, - le rispose il fratello
sghignazzando. - Ti prego di lasciarmi in pace. Sono dei poltroni,
ti dico, e bisogna frustarli per ottenere qualche cosa da loro.
Così bisogna fare. Domandalo a chi vuoi: domandalo a uno di
questi.
Mercedes volse loro uno sguardo implorante, con impressa sul volto
grazioso un'indicibile ripugnanza alla vista del dolore.
- Sono deboli come l'acqua, se volete saperlo, - rispose uno
degli uomini. - Magri come prugne secche, ecco il fatto. Hanno
bisogno di riposo.
- Accidenti al riposo, - disse Hal con le sue labbra imberbi; e
Mercedes emise un "oh" di pena a quella bestemmia.
Ma era una donna molto legata alla famiglia e scattò in difesa del
fratello. - Non badare a quest'uomo, - disse risoluta. - Tu sei il
conducente dei nostri cani e devi fare quello che credi meglio.
La frusta di Hal cadde ancora sui cani. Essi si gettarono di nuovo
contro i pettorali puntando le zampe contro la neve indurita, si
abbassarono ventre terra impegnandosi con tutte le forze. Ma la
slitta rimaneva ferma come se fosse ancorata. Dopo due sforzi si
fermarono ansanti. La frusta fischiava selvaggiamente e Mercedes
intervenne ancora. Cadde in ginocchio davanti a Buck, con le
lacrime agli occhi e lo abbracciò.
- Poverini, poverini, - piagnucolava piena di tenerezza, -
perché non tirate? Non vi frusterebbero.
Buck non provava molta simpatia per lei, ma si sentiva troppo
miserabile per resisterle e la sopportò come una parte del triste
lavoro di quel giorno. Uno degli astanti, che aveva stretto i
denti fino allora per non pronunciare parole dure, disse infine:
- Non che mi curi di quel che vi succederà, ma per amor dei cani
vi devo dire che potreste aiutarli un bel po' liberando la slitta.
I pattini si sono gelati e hanno fatto blocco. Gettatevi con tutto
il peso contro il timone spingendo a destra e a sinistra, e
libererete la slitta.
Fu fatto un terzo tentativo, e questa volta, seguendo il
consiglio, Hal liberò i pattini gelati nella neve. La slitta
sovraccarica avanzò a fatica; Buck e i suoi compagni spingevano
disperatamente sotto una pioggia di colpi. Un'ottantina di iarde
più avanti il sentiero voltava e scendeva ripidamente sulla via
principale. Sarebbe stato necessario un uomo esperto per impedire
a quella slitta così carica di rovesciarsi, e Hal non lo era. Nel
fare la voltata la slitta si capovolse lasciando sfuggire metà del
suo contenuto attraverso le cinghie allentate. I cani non si
fermarono. La slitta, alleggerita, trascinata su di un fianco,
sobbalzava dietro di loro. Erano furiosi per il cattivo
trattamento ricevuto e per quel carico assurdo. Buck schiumava di
rabbia. Si gettò a corsa pazza, mentre la muta seguiva il suo
capo. Hal gridava: - Uha! Uha! - Loro non gli badarono. Hal
inciampò e fu rovesciato; la slitta capovolta gli passò sopra, e i
cani si precipitarono sulla strada, divertendo tutta Skaguay e
spargendo il resto del carico lungo la via principale.
Dei cittadini di buon cuore fermarono i cani e raccolsero la roba
disseminata dappertutto. Inoltre diedero consigli. Metà carico e
doppio numero di cani se volevano arrivare a Dawson, ecco quello
che dicevano. Hal, la sorella e il cognato ascoltarono di
malavoglia, piantarono la tenda ed esaminarono il loro
equipaggiamento. Fu tratto fuori dello scatolame che fece ridere
gli uomini, perché lo scatolame sulla Pista Lunga è roba che non
se l'è mai sognata nessuno.
- Queste coperte vanno bene per un albergo, - disse ridendo uno
che li aiutava. - La metà di tutto questo è anche troppa,
sbarazzatevene. Gettate via quella tenda e tutti quei piatti; chi
potrebbe lavarli? Buon Dio, credete di viaggiare in pullman?
Così continuò l'inesorabile eliminazione del superfluo. Mercedes
pianse quando i sacchi degli abiti furono gettati a terra e ne fu
tolto il contenuto pezzo per pezzo. Pianse per l'insieme e pianse
su ogni particolare che veniva scaricato. Si puntava le mani sulle
ginocchia, dondolandosi avanti e indietro piena di angoscia.
Affermava che non si sarebbe mossa di un pollice nemmeno per una
dozzina di Charles, si appellava a tutti e a tutto, e infine
asciugandosi gli occhi cominciò a gettar via anche oggetti
assolutamente necessari. E nel suo zelo, quando ebbe finito con la
roba propria, attaccò quella dei due uomini, avventandosi su di
essa come un ciclone.
Fatto questo, l'equipaggiamento, sebbene ridotto a metà,
costituiva ancora un mucchio formidabile. Charles e Hal uscirono
verso sera e comprarono sei cani forestieri. Questi, uniti ai sei
della prima muta e a Tek e a Koona, gli eschimesi comprati alle
Rapide della Pista, nel viaggio record, portarono a quattordici il
numero nel tiro. Ma i cani forestieri, sebbene allenati fin dal
loro sbarco, valevano poco. Tre erano cani da punta dal pelo
corto, uno era un Terranova, e gli altri due, bastardi di razza
indefinibile. Questi nuovi venuti sembravano ignorare tutto.
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