Questa era la condizione del cane Buck sullo scorcio del 1897,
quando la scoperta dei giacimenti del Klondike, richiamò uomini da
tutte le parti del mondo nel gelato Nord. Ma Buck non leggeva i
giornali, e non sapeva che Manuel, uno degli aiutanti del
giardiniere, era una conoscenza alquanto pericolosa. Manuel aveva
una passione fatale: gli piaceva giocare alla lotteria cinese.
Inoltre, in questo gioco, aveva una debolezza ancora più fatale:
la fede in un sistema; e questo fu la sua rovina. Perché per
giocare con un sistema bisogna avere molto denaro, mentre il
salario di un aiuto giardiniere poteva bastargli solo a mantenere
una moglie e una numerosa progenie.
Nella memorabile sera del tradimento di Manuel, il giudice era a
una riunione dell'Associazione dei Viticoltori, e i ragazzi si
davano da fare per organizzare un circolo sportivo. Nessuno vide
lui e Buck attraversare il frutteto dove Buck credeva di andare a
fare una semplice passeggiata. Ad eccezione di un unico uomo,
nessuno li vide arrivare alla piccola stazione di College Park.
L'uomo parlò con Manuel e ci fu tra loro un tintinnio di monete.
- Dovete impacchettare la merce prima di consegnarla, - disse
rudemente lo straniero; e Manuel passò due volte una solida corda
attorno al collo di Buck sotto il collare.
- Torcetela e lo terrete fermo come vorrete, - disse Manuel, e lo
straniero grugnì un cenno affermativo. Buck aveva accettato la
corda con tranquilla dignità; certo era una cosa insolita: ma
aveva imparato ad aver fiducia negli uomini che conosceva e a far
loro credito di una saggezza superiore alla propria. Quando però i
capi della fune furono messi nelle mani dello straniero, ringhiò
in modo minaccioso. Aveva semplicemente espresso il suo scontento,
pensando nel proprio orgoglio che questo equivalesse ad un
comando. Con sua sorpresa la fune gli si strinse attorno al collo
togliendogli il respiro. Furioso balzò addosso all'uomo, che lo
fermò a mezza strada, lo strinse ancor più forte alla gola e con
uno strattone se lo caricò sulla schiena. La fune strinse senza
misericordia mentre Buck annaspava furiosamente con la lingua
penzoloni fuori della bocca e il grande petto anelante. Mai in
vita sua era stato trattato così vilmente, e mai in vita sua si
era arrabbiato tanto... Ma le forze lo abbandonarono, la vista gli
si annebbiò, ed egli non capiva più nulla quando i due uomini lo
caricarono sul bagagliaio di un treno.
Quando riprese i sensi si accorse che la lingua gli faceva male e
che era sballottato in qualche cosa in movimento. Il fischio acuto
di una locomotiva a un passaggio a livello gli fece capire
dov'era: aveva viaggiato troppo spesso col giudice per non
conoscere la sensazione di essere in un bagagliaio. Aprì gli occhi
con l'angoscia di un re rapito. L'uomo gli saltò alla gola, ma
Buck fu più svelto di lui: le sue mascelle gli afferrarono la mano
e non la lasciarono finché non perse nuovamente i sensi.
- Maledizione, ha un attacco, - disse l'uomo nascondendo la sua
mano straziata al custode del bagagliaio che era accorso al rumore
della lotta. - Lo porto a San Francisco per incarico del padrone;
crede che un veterinario laggiù possa curarlo.
Quel che era avvenuto in quella notte di viaggio, I'uomo lo
raccontò con molta eloquenza nel piccolo retrobottega di una
taverna del porto di San Francisco.
- Ci ho guadagnato in tutto cinquanta dollari, - brontolava; - se
lo avessi saputo non l'avrei fatto nemmeno per mille pagati l'uno
sull'altro.
La sua mano era avvolta in un fazzoletto insanguinato e il
pantalone destro era stracciato dal ginocchio alla caviglia.
- E quello che te l'ha venduto quanto ha preso? - domandò il
padrone della taverna.
- Cento, - fu la risposta. - Neppure un soldo di meno.
- Fanno centocinquanta, - disse il taverniere facendo il conto, -
ma li vale davvero.
Il ladro si tolse la fasciatura sanguinosa e si guardò la mano
lacerata. - Se non mi piglio l'idrofobia...
- Vorrà dire che sei nato per essere impiccato, - disse il
taverniere ridendo. - Sù, dammi una mano per imballare il carico,
- aggiunse.
Sbigottito, soffrendo tremendamente alla gola e alla lingua, mezzo
morto, Buck cercò di resistere ai suoi tormentatori. Ma fu domato
e abbattuto più volte finché i due riuscirono a limare il suo
grosso collare di ottone; poi gli tolsero anche la fune e lo
spinsero in una gabbia di legno. Rimase per il resto di quella
spaventosa notte covando la sua rabbia e il suo orgoglio ferito.
Non riusciva a capire che cosa significasse tutto questo. Che cosa
volevano fare di lui quegli strani uomini? Perché lo avevano
chiuso in quella stretta gabbia? Non riusciva a capacitarsi, ma si
sentiva oppresso dal vago senso di una sciagura imminente. Più
volte durante la notte balzò in piedi nel sentire aprire la porta,
aspettandosi di vedere il giudice o almeno i ragazzi. Ogni volta
era la faccia gonfia del taverniere che lo guardava alla fioca
luce di una candela. E ogni volta il grido di gioia che già
tremava nella gola di Buck si cambiava in un mugolio selvaggio.
Infine il taverniere lo lasciò solo e al mattino quattro uomini
entrarono e presero su la gabbia. Più che aguzzini apparvero a
Buck come esseri diabolici, sudici e stracciati, ed egli si volse
furioso contro di loro di là dalle sbarre. Gli uomini si misero a
ridere e gli tesero un bastone che Buck subito addentò finché non
comprese che era proprio quello che volevano. Allora si sdraiò
tristemente e lasciò che la gabbia fosse issata su di un vagone.
Poi lui e la cassa in cui era rinchiuso passarono per varie mani.
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