Impiegati della ferrovia si presero cura di lui;  fu portato in un

      altro  vagone,  un  carro  lo  trasportò  insieme  a un mucchio di

      scatole e di pacchi su di un traghetto,  dal traghetto fu  portato

      in  un  grande  magazzino  ferroviario e finalmente messo su di un

      treno espresso.

      Per due giorni e due notti il vagone fu trascinato  da  fischianti

      locomotive, e per due giorni e due notti Buck non mangiò né bevve.

      Nella  sua angoscia si era messo a latrare al personale del treno,

      che aveva risposto facendogli dispetti.  Quando si gettò contro le

      sbarre  fremendo  e  con  la  bava alla bocca,  quelli si misero a

      ridere e a canzonarlo.  Mugolavano  e  abbaiavano  come  vilissimi

      cani,  miagolavano, agitavano le braccia e strepitavano. Tutto ciò

      era veramente ignobile,  egli lo capiva;  ma appunto per questo la

      sua  dignità  ne  era maggiormente offesa e la sua rabbia cresceva

      sempre di più. Non badava molto alla fame, ma la mancanza di acqua

      gli dava crudeli sofferenze  e  portava  la  sua  rabbia  fino  al

      delirio.  Sensibilissimo com'era, il cattivo trattamento avuto gli

      aveva   infatti   dato   un   accesso   di    febbre    alimentata

      dall'infiammazione  della  gola arsa e tumefatta.  Era contento di

      una cosa: gli avevano tolto la corda. Quella corda aveva dato loro

      uno sleale vantaggio,  ma ora che non c'era  più,  avrebbe  potuto

      mostrare  quel  che  sapeva  fare.  Non  gli avrebbero certo messo

      un'altra corda al collo: su questo aveva già deciso.  Non,  mangiò

      né bevve per due giorni e per due notti,  e durante questo periodo

      di pena accumulò una riserva di rabbia che prometteva male per  il

      primo che gli fosse capitato davanti. Aveva gli occhi iniettati di

      sangue  e  si  era trasformato in un demonio arrabbiato.  Era così

      cambiato che lo stesso giudice  non  l'avrebbe  riconosciuto.  Gli

      impiegati  del treno respirarono di sollievo quando lo scaricarono

      a Seattle.

      Quattro uomini portarono cautamente la gabbia  dal  vagone  in  un

      piccolo cortile dalle alte mura. Venne un omaccione con una maglia

      rossa  che  gli  saliva  fino  al  collo  e  firmò il registro del

      corriere. Buck indovinò che quest'uomo era un altro aguzzino e gli

      abbaiò furiosamente gettandosi contro le sbarre.  L'uomo  ebbe  un

      riso crudele e afferrò un'ascia ed un bastone.

      - Non vorrete mica farlo uscire adesso! - chiese il corriere.

      -  Sicuro,  - rispose l'altro dando un colpo d'accetta alla gabbia

      per provarla.

      Immediatamente i quattro uomini che  l'avevano  portata  balzarono

      via e,  mettendosi in salvo sul ciglio del muro,  si prepararono a

      osservare lo spettacolo.

      Buck si avventò sulle schegge di legno e vi affondò i denti  pieno

      di  furia;  dovunque  l'ascia  si  abbatteva  dall'esterno egli si

      precipitava  dall'interno  ringhiando  e  latrando  freneticamente

      ansioso  di  gettarsi  sull'uomo dalla maglia rossa che continuava

      tranquillo il suo lavoro.

      - E adesso avanti,  diavolo dagli  occhi  rossi,  -  disse  l'uomo

      quando ebbe fatto nella gabbia un'apertura sufficiente perché Buck

      potesse  passare.  Nello  stesso  tempo  lasciò  cadere  l'ascia e

      afferrò il bastone con la destra.

      Buck era veramente un diavolo dagli occhi  rossi,  tutto  raccolto

      per scattare, col pelo irto, la bocca grondante di bava e un lampo

      folle  negli occhi sanguigni.  Si scagliò dritto contro l'uomo con

      le sue  centoquaranta  libbre  di  furia  aumentate  da  tutta  la

      passione  accumulata  in quei due giorni e in quelle due notti.  A

      mezz'aria,  proprio quando le sue mascelle stavano  per  chiudersi

      addentando,  ricevette un colpo che lo arrestò di colpo facendogli

      battere i denti dolorosamente.  Fece una capriola battendo a terra

      col dorso e col fianco. Non era mai stato colpito da un bastone in

      vita sua,  e non riusciva a capacitarsi. Con un ringhio che era in

      parte un latrato ma assai più uno strido,  balzò  in  piedi  e  si

      slanciò.    Ancora  fu  colpito  e  gettato a terra.  Questa volta

      comprese cos'era un bastone, ma la sua furia non gli permetteva di

      essere prudente. Caricò ancora una dozzina di volte,  e ogni volta

      il bastone arrestò il suo attacco e lo stese a terra.

      Dopo  un  colpo  più  crudele,  strisciò ai piedi dell'uomo troppo

      stordito per slanciarsi.  Fece qualche passo barcollando mentre il

      sangue  gli usciva dal naso,  dalla bocca e dagli orecchi;  il suo

      bel pelo era sporco di bava  sanguinosa.  Allora  l'uomo  fece  un

      passo  avanti  e  gli  diede  risolutamente un terribile colpo sul

      naso.  Tutte le sofferenze che aveva avuto fino allora erano nulla

      in  confronto  del  profondo  spasimo  che  provò.  Con un ruggito

      feroce, che sembrava quello di un leone,  si slanciò ancora contro

      l'uomo,   ma  questi,  passando  il  bastone  dalla  destra  nella

      sinistra,  lo  afferrò  con  tranquilla  sicurezza  alla  mascella

      inferiore  e  gliela  torse.  Buck  descrisse  nell'aria  un  giro

      completo e la metà di un altro.  Picchiando poi  a  terra  con  la

      testa e col petto,  s'avventò per l'ultima volta. L'uomo gli diede

      il capo di grazia che aveva accortamente  serbato  per  ultimo,  e

      Buck si abbatté come un cencio, privo di sensi.

      - Per domare i cani non ha l'eguale,  ecco quel che dico,  - gridò

      entusiasta uno degli uomini sul muro.

      - Druther doma un cane al giorno e il  sabato  due  -  rispose  il

      corriere arrampicandosi sul suo carro e avviando i cavalli.

      Buck riprese i sensi,  ma non le forze. Rimase sdraiato là dov'era

      caduto e gettò uno sguardo all'uomo dalla maglia rossa.

      - "Risponde al nome di Buck",  - disse tra sé l'uomo  leggendo  la

      lettera  del  taverniere  che  gli  annunciava la spedizione della

      gabbia e del suo contenuto.- Bene,  Buck,  ragazzo mio,-  continuò

      bonariamente,  -  abbiamo  avuto  una piccola conversazione,  e la

      miglior cosa che si possa fare adesso è di non  pensarci  più.  Tu

      hai capito qual è il tuo posto e io so qual è il mio.  Se sarai un

      buon cane, tutto andrà benone, ma se sarai un cane cattivo,  te ne

      darò quante potrai portarne, capito?

      Così parlando gli carezzava senza paura la testa che aveva colpito

      così   crudelmente,   e   sebbene  il  pelo  di  Buck  si  ergesse

      istintivamente al tocco di quella mano,  egli sopportò la  carezza

      senza  protestare.  Quando  l'uomo  gli  portò  dell'acqua,  bevve

      avidamente e poi mangiò una generosa porzione di  carne  cruda,  a

      pezzo a pezzo, prendendola dalla mano stessa dell'uomo.

      Era stato vinto,  lo sapeva;  ma non prostrato. Capì una volta per

      tutte che contro un uomo armato di un bastone non c'era niente  da

      fare, imparò la lezione e non la dimenticò più per tutta la vita.

      Quel  bastone  fu  una  rivelazione: lo introdusse nel regno della

      legge primitiva.  Le vicende della vita avevano adesso un  aspetto

      più fiero; ed egli le affrontò con tutta la sagacia nascosta nella

      sua  intelligente  natura.  Nei  giorni  successivi giunsero altri

      cani,   in  gabbie  o  al  guinzaglio,   alcuni  docilmente  altri

      infuriando  e latrando come aveva fatto lui e,  ad uno ad uno,  li

      vide sottomettersi al dominio dell'uomo dalla maglia  rossa.  Ogni

      volta  osservò  lo  spettacolo  brutale  e  si  fissò  in mente la

      lezione: un uomo con un bastone fa legge,  è un padrone  che  deve

      essere  obbedito  anche  se  non necessariamente amato.  Su questo

      ultimo punto,  Buck non cadde mai in colpa,  sebbene  vedesse  dei

      cani  che  dopo  essere stati picchiati facevano servilmente festa

      all'uomo, scodinzolando e leccandogli la mano.  Vide anche un cane

      che non volle mai cedere né obbedire, e che infine fu ucciso nella

      lotta.

      Ogni  tanto  venivano uomini,  degli stranieri,  che parlavano ora

      rudemente,  ora gentilmente e in tutti i possibili modi con l'uomo

      dalla maglia rossa.  E quando passava fra di loro del denaro,  gli

      stranieri se ne andavano portando con sé uno o più cani.  Buck  si

      domandava  dove andassero,  perché non tornavano mai indietro.  La

      paura del futuro era forte in lui,  e ogni volta si rallegrava  di

      non essere stato scelto.