Venne  anche  il  suo  turno  sotto  forma  di un ometto magro che

      parlava un cattivo inglese con molte espressioni strane e insolite

      che Buck non capiva.

      - Sacredame! - gridò scorgendo Buck.  - Quello un buon forte cane!

      Eh? Quanto?

      -  Trecento ed è regalato,  - fu l'immediata risposta dell'uomo in

      maglia rossa.  - E  poiché  è  denaro  del  governo,  non  vorrete

      contrattare, eh, Perrault?

      Perrault  rise.  Considerando  che  i prezzi dei cani erano andati

      alle stelle per la straordinaria richiesta,  non  era  quella  una

      somma eccessiva per un così bell'animale.  Il governo canadese non

      ci avrebbe rimesso,  e le sue spedizioni non sarebbero state  meno

      veloci. Perrault s'intendeva di cani e guardando Buck comprese che

      di  cani  simili  se  ne  poteva  trovare  uno su mille.  - Uno su

      DISMILLE, - commentò fra sé.

      Buck vide passare denaro fra loro  e  non  si  meravigliò  quando,

      insieme  con Curly,  una brava cagna di Terranova,  fu portato via

      dall'ometto magro.  Fu l'ultima volta che vide l'uomo dalla maglia

      rossa,  e quando, insieme con Curly, dal ponte del Narwhal, guardò

      il porto di Seattle che si allontanava, fu l'ultima volta che vide

      le calde terre del Sud.  Lui e Curly  furono condotti da  Perrault

      sotto  coperta  e  consegnati  a  un  gigante  dalla  faccia bruna

      chiamato François.

      Perrault era un franco-canadese di carnagione bruna;  ma  François

      era  un  franco-canadese di mezzo sangue e ancor più bruno di lui.

      Appartenevano ad un tipo di uomini che Buck non conosceva,  ma che

      in  seguito  avrebbe  incontrato in gran numero,  e sebbene non si

      affezionasse a loro,  li rispettò tuttavia lealmente.  Capì subito

      che  Perrault  e François erano brave persone,  calme e imparziali

      nell'amministrare la giustizia,  troppo esperte in fatto  di  cani

      per  poter  essere ingannate.  Sotto il ponte del Narwhal,  Buck e

      Curly incontrarono altri due cani. L'uno era un grande animale dal

      pelo bianco che era stato portato dallo Spitzberg dal capitano  di

      una  baleniera,  e  che  aveva  poi  partecipato ad una spedizione

      geologica  alle  isole  Barrens.   Aveva  una   certa   cordialità

      traditora,  sempre  in  festa  anche quando meditava qualche tiro,

      come quando, ad esempio, rubò la porzione di Buck durante il primo

      pasto. Buck già si preparava a punirlo,  ma in quel momento stesso

      la frusta di François fischiò nell'aria raggiungendo il colpevole;

      e Buck non dovette fare altro che ricuperare il suo cibo. Concluse

      che  era  stato  quello  un  bel  gesto  da parte di François e il

      mezzosangue salì molto nella sua stima.

      L'altro cane non diede manifestazioni di amicizia né ne ricevette;

      e non cercò di rubare niente ai nuovi venuti.  Era un tipo triste,

      imbronciato,  e  fece  capire subito a Curly che desiderava essere

      lasciato solo altrimenti ci sarebbe  stata  baruffa.  Si  chiamava

      Dave,  mangiava,  dormiva,  sbadigliava  nel  frattempo  e  non si

      interessava a  nulla  nemmeno  quando  il  Narwhal  attraversò  lo

      stretto della Regina Carlotta, e si mise a rullare, a beccheggiare

      e   a  scuotersi  come  un  indemoniato.   Mentre  Buck  e  Curly,

      eccitatissimi,  sembravano impazziti dalla  paura,  egli  alzò  la

      testa  con  un  gesto  di noia,  volse loro uno sguardo distratto,

      sbadigliò e tornò a dormire.

      Giorno e notte la nave vibrava sotto  il  continuo  impulso  delle

      eliche, e sebbene i giorni scorressero eguali, Buck si accorse che

      l'aria diveniva più fredda;  infine, un mattino, l'elica si fermò,

      e il Narwhal,  fu pervaso da un'atmosfera di eccitazione.  Buck se

      ne accorse al pari degli altri cani, e capì che stava per avvenire

      un  cambiamento.  François  mise loro il guinzaglio e li portò sul

      ponte.  Al primo passo sulla superficie fredda le  zampe  di  Buck

      affondarono  in qualche cosa di bianco e di morbido,  molto simile

      al fango.  Balzò indietro sbuffando.  Una gran  quantità  di  quel

      fango  bianco  si  agitava nell'aria.  Si scosse;  ma continuava a

      venirgli addosso.  Annusò  curiosamente  quella  cosa  e  provò  a

      leccarla.  Sembrava  fuoco  e subito scompariva.  Buck non capiva.

      Provò ancora con lo stesso risultato.  Intorno a lui quelli che lo

      guardavano ridevano forte ed egli si sentì pieno di vergogna senza

      sapere perché: era la prima neve che vedeva.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

      2. LA LEGGE DEL BASTONE E DELLA ZANNA.

 

      Il  primo giorno che Buck trascorse sulla spiaggia di Dyea fu come

      un incubo.  Ad ogni momento erano scosse  e  sorprese.  Era  stato

      strappato  in un attimo dal cuore della civiltà e gettato nel vivo

      di un ambiente primordiale. Non era più la vita oziosa baciata dal

      sole,  senza altro da fare se non andare a zonzo e annoiarsi.  Qui

      non c'era né pace, né riposo, né un momento di tranquillità. Tutto

      era confusione e movimento,  e ad ogni istante le membra e la vita

      erano in pericolo.  Bisognava stare sempre all'erta perché non  si

      aveva  più  a  che  fare  con  cani e uomini di città: erano tutti

      selvaggi e non conoscevano altra legge se non quella del bastone e

      della zanna.

      Non aveva mai visto dei cani combattere  come  quegli  esseri  che

      sembravano lupi,  e la sua prima esperienza fu per lui una lezione

      indimenticabile.  E' vero che fu un'esperienza  indiretta,  perché

      altrimenti  non  sarebbe  sopravvissuto  per  trarne profitto.  La

      vittima fu Curly.  Erano accampati presso i depositi  di  legname,

      quando lei,  coi suoi modi cordiali, cercò di fare amicizia con un

      cane eschimese, grosso quanto un lupo adulto e tuttavia neppure la

      metà di lei. Non ci fu preavviso, soltanto uno scatto fulmineo, un

      rumore metallico di zanne,  un balzo da parte ugualmente veloce  e

      il  muso  di  Curly fu lacerato dall'occhio alla mascella.  Era il

      modo di combattere dei lupi, colpire e balzare via; ma la cosa non

      finì lì.  Trenta o quaranta eschimesi accorsero e  circondarono  i

      combattenti  in  un  cerchio  attento e silenzioso.  Buck non capì

      quella tacita attenzione né perché essi si  leccassero  avidamente

      le labbra. Curly aggredì l'avversario, che colpi ancora e balzò da

      parte.  Al  suo  terzo attacco,  il cane l'arrestò col petto in un

      modo particolare e la fece rotolare a terra.  Curly  non  ebbe  il

      tempo  di  rimettersi  in piedi: gli eschimesi che stavano attorno

      non  aspettavano  altro.  Fecero  massa  su  di  lei  soffiando  e

      ringhiando,  e Curly fu sepolta,  urlante di dolore,  sotto i loro

      corpi irsuti.

      Tutto avvenne cosi rapidamente e inaspettatamente, che Buck rimase

      stordito.  Vide Spitz  che  si  passava  sulle  labbra  la  lingua

      scarlatta come faceva quando rideva. E poi François che si gettava

      in mezzo ai cani brandendo un'ascia.  Tre uomini armati di bastoni

      vennero in suo aiuto per  disperderli.  Non  fu  cosa  lunga.  Due

      minuti  dopo  che Curly era caduta,  l'ultimo degli assalitori era

      scacciato e bastonato.  Ma la cagna  giaceva  esanime  nella  neve

      sanguinosa  e  calpestata,  fatta  quasi  a  brandelli,  mentre il

      mezzosangue la guardava bestemmiando  orribilmente.  Quella  scena

      tornò più volte a turbare i sogni di Buck. Così dunque andavano le

      cose.  Non  era  un gioco facile.  Una volta a terra,  era finita.

      Bene, avrebbe cercato di non cadere.  Spitz tirò fuori la lingua e

      rise  ancora,  e  da  quel momento Buck lo odiò di odio profondo e

      mortale.

      Non si era ancora rimesso dal colpo causatogli dalla tragica  fine

      di Curly,  che ne ricevette un altro: François gli mise addosso un

      insieme di cinghie e di fibbie.  Era una bardatura simile a quella

      che,  a  casa  sua,  aveva  visto  mettere ai cavalli dai mozzi di

      stalla.  Come aveva visto lavorare i cavalli,  così doveva  adesso

      lavorare  lui,  trascinare François su di una slitta attraverso la

      foresta che fiancheggiava la vallata e tornare con  un  carico  di

      legna da ardere. Sebbene la sua dignità fosse profondamente offesa

      nel vedersi considerare un animale da tiro, egli era troppo saggio

      per  ribellarsi.  Si  sottomise  di  buona  volontà e fece del suo

      meglio sebbene  fosse  quella  una  strana  novità.  François  era

      severo,  chiedeva  immediata  obbedienza  e  la riceveva in grazia

      della sua frusta; d'altra parte Dave, che era già esperto, mordeva

      i quarti posteriori di Buck quando sbagliava. Spitz, anche lui già

      esperto,  era la  guida,  e,  non  potendo  raggiungere  Buck,  lo

      rimproverava  ringhiando  furiosamente,  o  tirava  da  parte  con

      accortezza per far capire a Buck in che direzione  doveva  andare.

      Buck  imparò  facilmente  e,  sotto la triplice guida dei suoi due

      compagni  e  di  François,  fece  notevoli  progressi.  Prima  che

      tornassero  al  campo,  sapeva  già  fermarsi al grido di "oh",  e

      avanzare al grido di "mush",  e girare al largo nelle  voltate,  e

      lasciar  spazio  al  cane  di  dietro quando la slitta carica,  in

      discesa, li incalzava alle calcagna.

      - Proprio tre buoni cani, - disse François a Perrault. - Quel Buck

      tira come un dannato.