Guardai il teatro e la platea a traverso le tendine. Era carico d'ornamenti e Cupidi e cornucopie, come una torta nuziale di terza classe. La galleria e le sedie erano affollate; ma le due file di poltrone erano completamente vuote, e in quelli che immagino si chiamino "posti distinti", c'erano forse una o due persone. Donne si aggiravano con birra e arance, e si faceva un gran consumo di noccioline.»

«Come nei tempi aurei del teatro inglese.»

«Proprio così, credo; ed era molto umiliante. Stavo chiedendomi cosa dovessi fare, quando il mio sguardo cadde sul programma. Che cosa credete che rappresentassero, Harry?»

«Immagino: L'idiota, ovvero Muto ma innocente. I padri nostri prediligevano tal sorta di teatro, credo. Più io vivo, Dorian, e più si precisa in me la sensazione che quello che poteva andar bene per i nostri padri, non va bene per noi. Come in politica, anche in arte les grands-pères ont toujours tort.»

«Quello spettacolo era fatto per noi, Harry. Era Romeo e Giulietta. Riconosco che fui piuttosto seccato all'idea di veder recitare Shakespeare in un simile covo. Però, nel suo genere m'interessava. Decisi di rimanere al primo atto. Una ignobile orchestra, diretta da un giovane ebreo che sedeva a un pianoforte sgangherato, per poco non mi fece scappare; ma finalmente il sipario s'alzò, e cominciò lo spettacolo. Romeo era un robusto signore anziano, con sopracciglia di sughero bruciato, una voce cavernosa da tragedia, e la figura di un barile di birra. Mercuzio era quasi della stessa risma: un guitto che aveva interpolato battute sue nel testo, ed era in ottimi rapporti con la platea. Lo scenario era grottesco quanto loro, e sembrava tolto da un baraccone da fiera. Ma Giulietta! Immaginate, Harry, una giovane di neppure diciassette anni, un viso simile a un fiore, una piccola testa greca, fasciata di capelli neri e lisci, occhi appassionati, veri abissi violetti, labbra come petali di rosa. La più bella cosa che abbia vista mai. Mi diceste una volta che il "pathos" non vi commoveva, ma la bellezza assoluta poteva farvi salir le lagrime agli occhi. Credetemi, Harry, a malapena potevo veder la ragazza attraverso il velo di lagrime che mi offuscava gli occhi. E la sua voce... non ho mai udito una voce simile. Bassa in principio, con note profonde e dolci, che l'orecchio distingueva una per una; divenne poi più acuta, come un flauto o un oboe lontano; nella scena del giardino aveva l'aspettazione intenta che si prova un momento prima dell'alba, quando cantano gli usignoli. In altri momenti fremeva con la selvaggia passione dei violini. Voi sapete quanto una voce possa commuovere. La vostra voce, la voce di Sybil Vane, due cose che non dimenticherò mai. Se chiudo gli occhi, le odo, e ciascuna dice cose diverse. Non so quale ascoltare. Perché non dovrei amarla? Io l'amo, Harry.