Là in fondo alla gola, alte sopra il monte Preclaro e il monte di Jenne Vecchio, splendevano le due stelle di cui si era parlato sulla terrazza dei Selva come di luci sante.
Aspettarono che passassero le cavalcature. Passate che furono, Benedetto abbracciò il suo maestro in silenzio. Don Clemente, sorpreso, sentendolo scosso da tremiti, da sussulti, immaginando che lo avesse turbato così la vista di quella signora, gli ripeteva:
«Coraggio, caro, coraggio, questa è una prova che il Signore ti manda.»
Benedetto gli mormorò:
«Non è quello che Lei pensa.»
E ricomposto, pregò il Maestro di sedere sopra un rudero al quale egli stesso, postosi ginocchioni sull’erba, appoggiò le braccia incrociate.
«Da questa mattina» diss’egli «io ho segni di una volontà nuova del Signore a mio riguardo, senza ch’io possa intendere quale. Ella sa cosa mi è avvenuto tre anni sono in quella piccola chiesa dove stavo pregando mentre la mia povera moglie era per morire.»
«Vuoi parlare della tua Visione?»
«No, prima della Visione, tenendo chiusi gli occhi, mi sono lette nelle palpebre le parole di Marta: «MAGISTER ADEST ET VOCAT TE». Questa mattina, mentre Lei celebrava, all’Elevazione, mi sono vedute nel mio interno le stesse parole. Ho creduto a un ritorno automatico di ricordi. Dopo la Comunione ebbi un momento di ansia, parendomi che Cristo mi dicesse nell’anima: non intendi, non intendi, non intendi? Passai la giornata in un’agitazione continua, benché cercassi di affaticarmi più del solito nell’orto. Nel pomeriggio stetti un poco a leggere sotto il leccio dove si raccolgono Loro padri. Avevo Sant’Agostino: «De opere monachorum». Passa gente sulla strada alta, discorrendo forte. Io alzo il viso, meccanicamente. Poi, non so perché, invece di riprendere la lettura, chiudo il libro, mi metto a pensare. Pensavo a quello che scrive Sant’Agostino del lavoro manuale dei monaci, pensavo alla Regola di san Benedetto, a Rancé, e come si potrebbe ritornare, nell’Ordine benedettino, al lavoro manuale. Poi, in un momento di stanchezza, avendo però in cuore quella grandezza immensa di Sant’Agostino, ho creduto proprio di udire una voce dalla strada alta: «MAGISTER ADEST ET VOCAT TE». Sarà stata un’illusione, sarà stato per Sant’Agostino, per un ricordo inconscio del «Tolle, lege», non dico di no, ma intanto tremavo, tremavo come una foglia. E mi venne questo dubbio pauroso: che il Signore mi voglia monaco? Ella lo sa, padre mio, perché gliel’ho detto ancora forse due o tre volte, che questo si accorderebbe con la fine della mia Visione, almeno in una cosa. Le ho però anche detto, quando Lei mi consigliava, come don Giuseppe Flores, di non credere nella Visione, che appunto per me questa era una ragione di non crederci, non solo perché mi sento indegno di essere sacerdote, ma più ancora perché mi ripugna stranamente di entrare in qualsiasi Ordine religioso. Però, se Iddio me lo imponesse! Se questa grande ripugnanza fosse appunto una prova! Volevo parlarle quando siamo andati dai Selva, ma Lei aveva fretta, non era possibile. Là, su quel fascio di legne, sotto quelle rubinie, ho avuto l’ultimo colpo. Ero stanco, tanto stanco, e mi sono lasciato vincere dal sonno per cinque minuti. Ho sognato che camminavo con don Giuseppe Flores sotto le arcate del cortile pensile di Praglia. Io gli dicevo piangendo: 'Ecco, è stato qui.' E don Giuseppe mi rispondeva con tanto affetto: 'sì ma non pensi a questo, pensi che il Signore La chiama.' E io replicavo: 'ma dove, dove mi chiama?' con tanta angoscia che mi svegliai. Udii una voce dall’alto della casa. Si rispose dal fondo del giardino, in francese. Vidi una signora uscire correndo dal fondo della villa, udii i saluti che si scambiarono lei e le persone arrivate, distinsi quella voce. Subito non la riconobbi con certezza, ma poi, siccome le voci si avvicinavano, non dubitai più. Era lei. Per un attimo sbigottii, ma fu proprio un attimo. Mi si fece una gran luce nella mente.»
Benedetto alzò il viso e le mani giunte. La voce gli s’infiammò di ardore mistico.
«Magister adest» diss’egli.
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