Almeno poter prima parlare a questo frate, a questo don Clemente, accertarsi che sa, informarlo se non sa, apprendere da lui qualche cosa di quell’altro, il suo stato d’animo, le sue intenzioni! Basta, pensò salendo in carrozza, faccia la Provvidenza! E assista questa povera creatura!
Nel metter piede a terra dove comincia la mulattiera, Jeanne propose timidamente, come chi prevede un rifiuto e lo riconosce ragionevole, di salire ai Conventi sola, colla guida di un monello corso da Subiaco dietro la carrozza. Il rifiuto venne infatti e vivacissimo. Non era possibile! Che mai le veniva in mente? Allora Jeanne supplicò di essere almeno lasciata sola con lui, se lo avesse trovato. Noemi non seppe che rispondere.
«E se ti precedessi?» diss’ella. «Se domandassi del padre Clemente? Se cercassi di capire cos’è, cosa fa e cosa pensa il tuo…»
Jeanne la interruppe, esterrefatta.
«Il padre? Parlare al padre?» esclamò squadernandole ambedue le mani sul viso come per turarle la bocca. «Guai a te se parli al padre!»
S’incamminarono lentamente per la sassosa mulattiera. Jeanne si fermava spesso, presa da tremiti, vibrando come un filo teso al vento. Porgeva allora in silenzio a Noemi le mani gelate perché sentisse e le sorrideva. Nel mare delle nebbie correnti a monte comparve, curioso anche lui, l’occhio smorto del sole.
II.
Don Clemente celebrò messa verso le sette, parlò coll’Abate e poi si recò all’Ospizio dei pellegrini. Trovò Benedetto addormentato con le braccia in croce sul petto, le labbra socchiuse, il viso composto a una visione interna di beatitudine. Gli accarezzò i capelli, lo chiamò sottovoce. Il giovine si scosse, alzò, smarrito, il capo, balzò dal letto, afferrò e baciò la mano a don Clemente che la ritrasse con un impeto di umiltà frenato subito dal suo pudore d’anima, dalla coscienza dignitosa del suo ministero.
«Dunque?» diss’egli. «Il Signore ti ha parlato?»
«Sono nella Sua volontà» rispose Benedetto «come una foglia nel vento. Come una foglia che non sa niente.»
Il monaco gli prese il capo a due mani, lo attirò a sé, gli posò le labbra sui capelli, ve le tenne a lungo in una silenziosa comunicazione di spirito.
«Devi andare dall’Abate» diss’egli. «Dopo verrai da me.»
Benedetto lo fissò, lo interrogò senza parole: perché questa visita? Gli occhi di don Clemente si velarono di silenzio e il discepolo si umiliò in uno slancio muto ma visibile di obbedienza.
«Subito?» diss’egli.
«Subito.»
«Posso lavarmi al torrente?»
Il Maestro sorrise:
«Va, lavati al torrente.»
Lavarsi all’acqua che talvolta, per abbondanza di pioggie, suona nella valle Pucceia a levante del monastero e taglia di rigagnoli la via del Sacro Speco sotto Santa Crocella, era il solo piacere fisico che Benedetto si concedesse. Piovigginava; nebbie fumavano lente nel vallone alto, le tremole acque tenui si dolevano a Benedetto fuggendo attraverso la via, gli tacevano contente nel cavo delle mani, gl’infondevano per la fronte, gli occhi, le guance, il collo, fino al cuore, un senso della loro anima casta, dolce, un senso di bontà Divina. Benedetto si versò l’acqua sul capo largamente, e lo spirito dell’acqua gli alitò nel pensiero. Sentì che il Padre lo avviava per novo cammino, che ve lo avrebbe portato nella Sua mano potente. Benedisse riverente la creatura per la quale gli si era infuso tanto lume di grazia, l’acqua purissima; e ritornò all’Ospizio. Don Clemente, che lo attendeva nel cortile, trasalì al vederlo; tanto gli parve trasfigurato. Sotto la selva umida dei capelli in disordine gli occhi avevano una quieta gioia celestiale, e lo scarno viso di avorio una spiritualità occulta quale fluiva dai pennelli del Quattrocento. Come poteva quel volto accordarsi con gli abiti contadineschi? Don Clemente si applaudì in cuor suo di un pensiero concepito nella notte e già espresso all’Abate: dare a Benedetto un vecchio abito di converso. Prima di concedere o rifiutare il proprio consenso, l’Abate voleva vedere Benedetto, parlargli.
L’Abate aspettava Benedetto suonando un pezzo di sua composizione con le nocche delle dita, e accompagnando il suono con diabolici storcimenti delle labbra, delle narici, delle sopracciglia. Udito bussar discretamente all’uscio, non rispose né tralasciò di suonare. Terminato il pezzo, lo ricominciò, lo suonò una seconda volta da capo a fondo. Poi stette in ascolto. Fu bussato ancora, più lievemente di prima. L’Abate esclamò:
«Seccatore!»
E, strappati alcuni accordi, si pose a fare delle scale cromatiche. Dalle scale cromatiche passò agli arpeggi.
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