Protestante, sì; ma semplice? Ma sicura? Noemi s’impazientì.
«Insomma sono protestante» diss’ella «e Lei non si occupi della mia fede!»
In fatto Noemi era molto ferma nella propria religione non per virtù di ragionamenti ma per affetto riverente alla memoria dei genitori; e in cuor suo non aveva approvato la conversione della sorella.
Carlino tirò avanti. Una influenza mistica del sesso conduce il vecchio a ricercare un’armonia di anime con la fanciulla. «Che pasticcio!» fece Noemi con il solito atto delle labbra. E Carlino tirò imperterrito avanti. Il fine, il nuovo, lo squisito del suo libro era l’analisi appunto di questa recondita influenza del sesso sul vecchio prete e anche sulla fanciulla.
«Carlino!» fece Jeanne. «Cosa ti viene in mente? Un vecchio di ottant’anni?»
Carlino guardò in aria come per dire a qualche invisibile amico superiore:
«Non capiscono niente!»
Il suo desiderio era d’invecchiare ancora il prete e dargliene novanta degli anni, farne una specie di essere intermedio fra l’uomo e lo spirito, che avesse negli occhi le profondità nebulose delle cose eterne imminenti. E la signorina avrebbe nel sangue quella misteriosa inclinazione ai vecchi, non rarissima nel suo sesso, ch’è il vero stigma della nobiltà femminile, per il quale la donna si distingue dalla femmina. Carlino si sentiva in mente delle cose divine a dire su questo mistico senso che attrae la fanciulla di ventiquattro anni verso l’uomo di novanta, sacerdote, quasi già eternato, diafano, non però curvo né tremolo né infiacchito nella voce. Si vedono di questi vecchioni che lo spirito alto erige, invitti dal tempo. Ma come finirebbe poi tutto ciò? Né Noemi né Jeanne sapevano immaginarlo. Eh già, Carlino lo aveva ben detto fino dal principio, il fico e l’ape che non potevano né scendere né risalire. Se ne consolava però. Questa necessità di finire, in fondo, è un pregiudizio da droghiere. Cosa finisce mai al mondo? Va bene, dicevano le signore, ma il libro deve pure avere una fine. Oh certo! L’ultima scena, di bellezza ineffabile, sarebbe una passeggiata notturna, al chiaro di luna, del prete e della giovine per le vie di Bruges, dove le loro anime si aprirebbero a confidenze quasi di amanti, a sogni quasi di profeti. I due si troverebbero a mezzanotte davanti alle acque addormentate del Lac d’amour, ascolterebbero immobili il suono mistico del carillon sotto le nuvole e avrebbero allora la rivelazione vaga di una sessualità delle loro anime, di un avvenire di amore nella stella Fomalhaut.
«Perché mai proprio in Fomalhaut?» esclamò Noemi.
«Lei è insopportabile!» rispose Carlino. «Perché è un nome delizioso, ha il suono di una parola indurita dal gelo tedesco ma piena di anima, che si scioglie nel sole di Oriente.»
«Dio mio, che chimica! A me piace Algol.»
«Lei e il Suo pastore andranno in Algol.»
Noemi rise, e Carlino si appellò a Jeanne. Quale stella preferiva? Jeanne non sapeva, non aveva fatto attenzione. Carlino ne fu irritatissimo, parve volerla rimproverare non tanto della sua distrazione quanto degli occulti pensieri che ne fossero in colpa, e, quasi temendo dir troppo, la mandò a meditare, a sognare, a scrivere la filosofia del fumo e delle nuvole. Ma poi quand’ella, niente malcontenta, se n’andava, la richiamò per domandarle se almeno avesse udito come il romanzo si sarebbe chiuso. Sì, questo lo aveva udito: con una passeggiata dell’eroina e dell’eroe per Bruges, al chiaro di luna.
«Bene» fece Carlino «siccome stasera c’è luna, io ho bisogno di passeggiare dalle dieci a mezzanotte con Noemi e te per prender note.»
«Debbo vestirmi da prete?» rispose Jeanne, uscendo. Noemi voleva seguirla ma la stessa Jeanne la pregò di rimanere. Rimase per dire a Carlino ch’egli era indegno di una simile sorella. Carlino andò a pescare nel portamusica un fascicolo di Bach brontolandole che lei non sapeva niente, non sapeva niente. Scaramucciarono alquanto e neppure Bach li poté pacificare subito; per un bel pezzo tennero duro, anche suonando, a insolentirsi, prima per Jeanne, poi per le note sbagliate. Finalmente il musicale rivo limpido che le loro collere rompevano come sassi spumeggianti, le soverchiò, corse via liscio, specchiando cielo e idilliache sponde.
Jeanne si portò in camera l’Intruse, ma non la lesse più. Anche la sua camera guardava il Lac d’amour. Sedette presso la finestra contemplando di là da un ponte, di là da vette spoglie di alberi tondeggianti fra casa e casa, il fantasma piramidale di una torre altissima velata di nebbioline azzurrognole. Udiva discorrere pietosamente la vena limpida di Bach e pensava a don Giuseppe col malinconico senso di chi si allontana per sempre da una casa diletta, e vi torna con lo sguardo ogni momento, e ad una svolta del cammino ne vede sparire l’ultimo angolo, l’ultima finestra. La sua tristezza aveva una viva punta inquieta.
1 comment