Il vagabondo delle stelle Read Online
Venni condannato all’ergastolo. A quell’epoca avevo trentasei anni. Oggi ne ho quarantaquattro.
Questi otto anni li ho trascorsi nelle prigioni della California, a San Quintino. Cinque, li ho passati nel buio di una cella, di segregazione cellulare, come vuole la legge. Gli uomini che la conoscono la chiamano “la morte vivente”.
Nel corso di questi cinque anni, sono riuscito tuttavia ad evadere dalla mia tomba, in un incredibile volo che ben pochi uomini liberi hanno conosciuto. Rido di quelli che han creduto di seppellirmi in quella cella e che hanno invece aperto i secoli davanti a me. In quei cinque anni, ho percorso tutte le mie esistenze anteriori. Ve lo racconterò. Ho tante cose da dirvi, che non so come cominciare…
Sono nato nel Minnesota. Mia madre era figlia di un immigrato svedese: il suo nome era Hilda Tonesson. Mio padre, Chauncey Standing, apparteneva al vecchio ceppo americano. Suo nonno, Alfred Standing, era un “servo vincolato per contratto”, in altre parole uno schiavo trasportato dall’Inghilterra alle piantagioni della Virginia, nel tempo lontano in cui Washington faceva l’agrimensore ed era impegnato a misurare le immense solitudini della Pensilvania.
Un figlio di Alfred Standing prese parte alla guerra d’Indipendenza; un suo nipote combatté in quella del 1812. Gli Standing fecero tutte le guerre.
Io, ultimo della famiglia, che morirò senza figli, mi sono battuto nelle Filippine, contro la Spagna; per farlo diedi le dimissioni, quando ero già nel pieno della carriera, da professore all’Università del Nebraska. A quel tempo ero sul punto di esser nominato Decano alla Facoltà d’Agricoltura; proprio io, l’anima vagabonda, l’avventuriero marchiato dal segno del delitto, il Caino errabondo dei secoli, il testimone dei tempi più lontani, il sognante poeta delle vecchie lune, delle ere dimenticate.
E ora sono qui, in questa cella, nel reparto degli assassini, nella prigione di Folssom! E aspetto il giorno e l’ora in cui i servitori della giustizia mi caleranno nel buio, in quel buio di cui essi hanno tanta paura; in quella notte che li spinge, sgomenti, verso gli altari dei loro Dei dal volto umano, costruiti dal loro terrore e dalla loro viltà!
Non sarò mai il Decano di nessuna Facoltà d’Agricoltura. Eppure conoscevo il mio mestiere alla perfezione. L’agricoltura era la mia passione e la mia forza.
Su questo argomento, che è stato sempre presente nel mio cuore, ho messo insieme degli appunti in un quaderno, con delle tabelle comparative. Su queste pagine, prima di andare a dormire, si sono chinati ogni sera centomila fittavoli, con la pipa tra le labbra.
E se ne sono trovati contenti…
Mi accorgo che devo chiudere qui il primo capitolo del mio racconto. Sono ormai le nove di sera e nel quartiere degli Assassini è l’ora del coprifuoco. In questo stesso istante, sento avvicinarsi il passo del mio guardiano, che viene certo a rimproverarmi perché la mia lampada ad olio arde ancora. Come se un semplice vivente avesse il diritto di rivolgere dei rimproveri a chi è in procinto di oltrepassare la soglia della morte!
2. LA DINAMITE SEPOLTA
Sono Darrell Standing. Fra non molto mi trascineranno via di qui, per impiccarmi. Intanto, ne approfitto per dire ciò che ho sul cuore; e riempio queste pagine come testamento.
A San Quintino sono diventato quel che si dice un “incorreggibile”. Nel gergo particolare delle prigioni, un incorregibile è un essere temuto da tutti. Vi spiegherò ora perché mi hanno classificato in questa categoria.
Io odio lo spreco del movimento, l’inutile perdita del lavoro. E in questa prigione, come del resto in tutte le prigioni, simili princìpi sono una legge.
Ero stato aggregato al laboratorio di tessitura della juta. Lo sperpero dei movimenti vi regnava sovrano. Questo delitto a discapito di un lavoro ben ordinato, mi esasperava. Naturalmente, constatarlo e combatterlo rientrava pienamente nel mio carattere.
Prima che inventassero la macchina a vapore e i mestieri da essa derivati, tremila anni fa, ero già rinchiuso in una galera dell’antica Babilonia. E vi assicuro che in quei giorni lontani, con i nostri sistemi manuali, ottenevamo un rendimento superiore a quello che produce l’apparecchiatura a vapore installata nella prigione di San Quintino.
Indignato di fronte a questo sperpero di energie, mi ribellai.
Tentai di esporre ai sorveglianti una ventina di sistemi che avrebbero assicurato un maggior rendimento.
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