Avanti, in marcia!

In se stessa la cosa non era inverosimile. In una prigione come San Quintino, vi sono sempre dei nascondigli.

Ma questa volta si trattava d’una pura fantasia di Cecil Winwood.

Quando il fatto provocò poi un’inchiesta, Jamie e Winwood testimoniarono entrambi che il poeta falsario aveva dichiarato al capitano che lui e io avevamo sotterrato, insieme, la dinamite.

Winwood condusse il capitano fino al presunto nascondiglio.

Naturalmente, di dinamite nemmeno l’ombra.

- Santo Dio! - gridò Winwood, - Standing me l’ha fatta! Ha preso il pacco, per nasconderlo in un altro posto.

Così, per togliersi dal pasticcio in cui s’era cacciato, il maledetto mi prese come capro espiatorio.

Il capitano Jamie, credendo d’essere stato giocato, ricondusse Winwood nel suo ufficio, chiuse a chiave la porta e gli saltò addosso.

Sotto i colpi Winwood continuava a sostenere di aver detto la verità. Tanto che Jamie ne rimase convinto e credette davvero che esistessero trentacinque libbre di dinamite nascoste in qualche parte della prigione, e che quaranta incorreggibili erano sul punto di far saltare l’intero edificio.

“Faccia d’Estate” fu sottoposto a un martellante interrogatorio.

Il poveraccio giurò su quanto aveva di più sacro che il famoso involto conteneva solo tabacco. Winwood, da parte sua, giurò che conteneva esplosivi, e fu lui a essere creduto.

A questo punto, entrai in scena io. O meglio, sparii nuovamente dalla luce del giorno. Infatti mi accolse nuovamente la cella di rigore, dalla quale non dovevo mai più uscire.

Ero sbalordito. Mi avevano appena tolto da quell’antro, sfinito e a pezzi; e la storia ricominciava!

- Adesso, - fece Winwood al capitano Jamie, - anche se non sappiamo dov’è finita la dinamite, non c’è più nessun pericolo.

Standing è il solo a conoscere il nascondiglio, e da dove si trova, non può far niente. Invece, per quanto riguarda i quaranta uomini di cui vi ho parlato, stanno per concretizzare il loro piano d’evasione. Niente di più semplice che coglierli sul fatto.

Sono io che devo fissare l’ora per la fuga. Dirò che è per la prossima notte, alle due, e che aprirò io stesso le loro celle e distribuirò le rivoltelle. Il resto sarà un gioco, per voi. La dinamite, la cercheremo dopo.

Ma naturalmente, da sei anni a questa parte, nessuno è mai riuscito a scoprire un’oncia di esplosivo, benché la prigione sia stata messa sottosopra almeno un centinaio di volte.

Il direttore Atherton, fino all’ultimo giorno in cui terrà il suo posto, continuerà però a credere nell’esistenza di quella famosa dinamite. Il capitano Jamie, che è sempre a capo del reparto, non dispera, un giorno o l’altro, di metterci le mani sopra.

Tutti quei gentiluomini respireranno liberamente soltanto il giorno in cui penzolerò in aria, con un cappio al collo.

3. ROTTAMI UMANI

Riprendo il filo del mio racconto.

Per tutto il giorno, rimasi nella mia cella a scervellarmi per scoprire la ragione di questa nuova e inspiegabile punizione.

Arrivai a concludere che tutto ciò doveva essere opera di una spia, di uno sporco essere che per ingraziarsi qualche guardiano, mi aveva denunciato per qualche immaginaria infrazione ai regolamenti. Nel frattempo, il capitano Jamie si preparava a reprimere la rivolta di cui Winwood doveva dare il segnale.

Quella notte non un solo guardiano dormì. Le squadre diurne rimasero in servizio, come quelle notturne; e quando si avvicinarono le due, tutti si nascosero vicino alle celle occupate dai quaranta congiurati.

Le cose andarono com’era stato previsto. All’ora convenuta, Winwood, munito di grimaldello, aprì le celle, chiamando per nome gli occupanti uno dopo l’altro, e questi sgusciarono fuori. Si riunirono tutti nel corridoio; e per i guardiani fu uno scherzo riprenderli, in un colpo solo.

Le menzogne di Winwood davano i loro frutti. Inutilmente i quaranta denunciarono la parte avuta dal falsario in tutta la vicenda. Il Consiglio dei Direttori della prigione non si smosse dalla convinzione che mentissero tutti per costruirsi delle attenuanti. E così l’Ufficio preposto alle grazie e, nel giro di tre mesi, quella canaglia di Cecil Winwood venne graziato e rimesso in libertà. Ho già detto che ero stato subito rinchiuso in cella.

Era notte e dormivo, quando sentii la porta esterna cigolare sui cardini. Mi svegliai.

- Qualche disgraziato, - pensai, - che trasloca… Poi udii distintamente un rumore di percosse e grida di dolore, imprecazioni e il fruscìo sordo d’un corpo che si trascina per terra.

Una dopo l’altra, le porte che si susseguivano lungo il corridoio si aprirono sbattendo, mentre i corpi venivano buttati o trascinati nelle celle. Squadre di guardiani arrivavano continuamente, e ancora altri uomini che continuavano a picchiare, e altre porte si spalancavano davanti a sagome sanguinolenti, distrutte dalla violenza. Ma ritorniamo indietro, a quel che successe nelle celle quando i cospiratori mi raggiunsero dopo che la porta esterna del corridoio si era chiusa alle loro spalle.

I quaranta si precipitarono alle inferriate dei finestrini. Da una cella all’altra cominciarono a farsi tra loro un mucchio di domande. Era un vociare indescrivibile.

Ma subito risuonò un urlo taurino. Era la voce del vecchio marinaio Skysail Jack, una sorta di gigante, che dominava il clamore. Comandò il massimo silenzio, mentre si accingeva a fare l’appello di tutti i presenti. E i quaranta, uno per uno, urlarono i loro nomi.