Erano tutti uomini sicuri, incapaci di vendersi per fare la spia.

Il solo sul quale si avesse qualche sospetto, ero io. E subii un interrogatorio in piena regola. Raccontai allora che il mattino stesso ero uscito dalla mia cella e che senza un motivo apparente, mi ci avevano ricondotto, prima di loro. Non sapevo altro. La mia reputazione d’incorreggibile li tranquillizzò tutti. Allora si tenne consiglio.

Ascoltavo. E per la prima volta, venni a conoscenza della famosa cospirazione. Chi aveva fatto la spia? Si brancolava nel buio.

Cecil Winwood non si trovava tra i segregati e tutti i sospetti si appuntarono finalmente su di lui. In tutta questa faccenda, gridò Skysail, - una sola cosa è importante. Tra poco farà giorno. Ci preleveranno e ci faranno passare un brutto quarto d’ora. Siamo stati presi sul fatto. Non è il caso di negare. E’ meglio dire la verità, tutta la verità. Spiegheremo che Cecil Winwood aveva organizzato tutto e che poi ci ha traditi. Poi, sarà quel che Dio vorrà. Siamo d’accordo?

Suonarono le nove, quando i secondini fecero irruzione nelle celle e si precipitarono addosso a noi.

Non erano molti. A che sarebbe servito? Non potevamo certo resistere! Del resto, essi aprivano le celle una dopo l’altra, armati di manichi di piccone. Uno strumento ideale per ricondurre alla ragione un uomo indifeso.

Appena si apriva una cella, cominciavano a picchiare. Ogni recluso ebbe la sua parte. Fummo serviti tutti imparzialmente, e non era davvero il caso d’esser gelosi… Io ebbi la mia razione, come gli altri. Non era che un inizio, una preparazione all’interrogatorio che ognuno avrebbe dovuto subire da parte degli alti funzionari, ingrassati dal governo.

Il ballo durò parecchi giorni, e l’orrore di quelle giornate superò largamente tutto ciò che avevo fino allora conosciuto in fatto di crudeltà.

Long Bill Hodge fu interrogato per primo. Ne ebbe per due ore, dopo di che lo riportarono, o meglio lo ributtarono sul pavimento della sua cella.

Passò del tempo, prima che Long Bill Hodge rinvenisse. Dalla sua cella, gridò:

- Che cos’è, questa faccenda della dinamite? Chi ne sa qualcosa?

Nessuno, ovviamente, ne sapeva niente.

Poi fu la volta di Luigi Polazzo, uno spostato, figlio d’italiani immigrati. Rideva in faccia ai giudici, si burlava di loro, li sfidava a inventare contro di lui le peggiori violenze. Riapparve due ore dopo. Non era che uno straccio, uno straccio che balbettava nel delirio. Per tutto ii giorno fu incapace di rispondere alle domande degli altri reclusi, ansiosi di sapere, prima del loro turno, che trattamento aveva subìto, quali domande gli avevano fatto.

Nelle quarantott’ore che seguirono, Luigi venne richiamato due volte e interrogato. Dopo di che, persa completamente la ragione, fu spedito nel reparto dei pazzi.

A ognuno dei quaranta toccò lo stesso trattamento, o quasi. E ognuno venne ridotto allo stato di rottame umano, urlante nelle tenebre.