— Chissà come se la godono — borbottò — di avermi costretto a starmene col naso incollato a un libro.
I suoi genitori in realtà non erano affatto contenti, ma anzi tristissimi. Erano poveri fittavoli, il loro podere non era più grande di un orto, e quando ci si erano stabiliti non possedevano che un maiale e qualche gallina. Ma erano robusti e laboriosi, e adesso avevano alcune mucche e oche. Ce l’avevano fatta, insomma, e in quella bella mattina sarebbero stati sereni se non avessero avuto il rodimento del figlio. Il padre si angustiava a vederlo così svogliato e pigro: a scuola non imparava un bel nulla, era appena in grado di condurre al pascolo le oche. La madre non negava che fosse così, ma soffriva soprattutto all’idea di avere un figlio discolo e insensibile, crudele con gli animali, maligno con gli esseri umani.
“Che Dio gli tolga la cattiveria e gli dia un altro cuore” sospirava la donna
“altrimenti finirà col rovinare se stesso e noi.”
A lungo il ragazzo restò indeciso, ma alla fine si convinse che quella volta era meglio obbedire. Si accomodò nella grande poltrona e prese a leggere mormorando a voce bassa. Ben presto, il suono della sua stessa voce gli fece venire sonno, e si rese conto che stava per addormentarsi.
Fuori era una splendida giornata di primavera. Si era appena al 20 marzo, ma il comune di Vemmenhög è situato nella Scania, regione della Scandinavia meridionale, e la primavera era già in fiore. Gli alberi non verdeggiavano ancora, ma apparivano coperti di gemme, l’acqua scorreva in ogni fossato, la farfara fioriva sui muretti. Laggiù, la foresta di faggi appariva ogni giorno più fitta, il cielo sembrava altissimo ed era di un azzurro immacolato. Attraverso l’uscio semiaperto della casetta, entravano nella stanza i trilli delle allodole. In cortile, galline e oche razzolavano, le mucche in fondo alla stalla sentivano aria di primavera e di tanto in tanto facevano udire lunghi muggiti.
Il ragazzo leggeva, si assopiva, si svegliava di soprassalto, lottava contro la sonnolenza. “Non voglio dormire, altrimenti non finirò il sermone.” Ma nonostante questo buon proposito, finì per cedere al sonno. Aveva dormito a lungo o solo per qualche istante? Non era in grado di dirlo, ma sapeva che a svegliarlo era stato un leggero scricchiolio alle sue spalle. Sul davanzale della finestra, proprio di fronte a lui, stava un piccolo specchio in cui si rifletteva quasi tutta la stanza, e il ragazzo vi vide, spalancata, la cassapanca della madre.
Era un gran cassone di quercia, ornato di ferri battuti, che la donna non permetteva a nessuno di aprire. Vi custodiva tutto quanto aveva ereditato dalla propria madre e che le era caro: costumi contadini all’uso antico, di panno rosso con corti bustini, gonne pieghettate e giubbetti ornati di perline; fazzoletti bianchi inamidati, pesanti fibbie e catene d’argento. Abiti che la gente non voleva più indossare, e a volte la madre del ragazzo si era proposta di disfarsene, ma mai ne aveva avuto il coraggio.
Bene, il coperchio era sollevato: quest’era certo, e il ragazzo non poteva darsene ragione perché la madre doveva averlo chiuso prima di uscire, mai l’aveva lasciato aperto quando il figlio restava solo a casa.
Si sentiva sulle spine: che un ladro si fosse introdotto in casa? Non osava muoversi, ma rimaneva lì, immobile come un tronco, a fissare lo specchio. E
all’improvviso si chiese che cosa fosse quell’ombra nera comparsa sul bordo della cassapanca. Guardava, guardava, e non credeva ai propri occhi: quella che dapprima gli era sembrata un’ombra stava divenendo qualcosa di preciso, un essere vivente: né più e né meno che un coboldo a cavalcioni della cassa.
Il ragazzo aveva già udito storie di coboldi, ma mai aveva creduto che fossero così piccoli: quello che aveva sott’occhio non era più alto di un palmo; aveva il volto glabro e rugoso di un vecchio, era vestito di una lunghissima palandrana nera, calzoni corti e un cappello nero a larghe tese. Al collo e ai polsi si arricciavano candidi pizzi, calzava scarpe con fibbie e aveva giarrettiere con grossi fiocchi.
Dalla cassapanca aveva cavato un giubbetto ricamato e l’osservava con tanta attenzione, da non accorgersi che il ragazzo s’era svegliato.
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