Alla vista del coboldo, Nils era rimasto di sasso, ma non aveva poi tanta paura: come si poteva temere un essere così piccolo? E poiché il coboldo era assorto nella contemplazione del ricamo al punto da non avere né orecchie né occhi, il ragazzo si disse che sarebbe stato divertente fargli un bel tiro: per esempio, farlo cadere nella cassa e richiudere il coperchio, o qualcosa di simile. Non aveva però il coraggio di toccare il nanetto, e volse gli occhi all’ingiro, in cerca di un oggetto con cui spingerlo. Lo sguardo gli si posò sul divano, poi sul tavolo, sulla stufa, sulle pentole e sulla caffettiera sopra lo scaffale, sfiorò il fucile del padre appeso accanto ai ritratti del re e della regina di Svezia, le cassette di fiori sul davanzale, per fermarsi infine su una vecchia zanzariera fissata al telaio della finestra.
Strappò la reticella e di scatto la lanciò. Restò meravigliato lui stesso: aveva acchiappato il coboldo, che adesso giaceva a testa in giù in fondo alla zanzariera, dentro la cassapanca, incapace di liberarsi.
Dapprima il ragazzo non seppe che farsene della preda e si limitò ad agitare la rete per evitare che il coboldo ne uscisse. Allora il nanetto cominciò a parlare e lo supplicò di rendergli la libertà. Per anni, gli disse, aveva fatto del bene alla sua famiglia, e meritava ben altro trattamento. Se il ragazzo l’avesse lasciato libero, gli avrebbe regalato un vecchio tallero, un cucchiaio d’argento e una moneta d’oro grande quanto l’orologio di suo padre.
L’offerta non parve troppo generosa al ragazzo, il quale però aveva paura del coboldo che pure teneva in suo potere. Si rendeva conto di avere a che fare con qualcosa di estraneo e spaventoso, non appartenente al suo mondo, e desiderava solo concludere l’avventura.
Accettò dunque l’offerta e cessò di agitare la rete per permettere al nanetto di arrampicarsi sull’orlo della cassa. Ma quando lo vide uscirne, pensò che avrebbe potuto ottenere vantaggi ben più cospicui, e tanto per cominciare avrebbe dovuto per lo meno esigere che gli facesse entrare nella zucca tutto quanto il sermone. “Come sono stato stupido a cedere così in fretta” pensò e si rimise ad agitare la rete per farvi ricadere dentro il coboldo. Ma aveva appena accennato al gesto, che si sentì un ceffone tale da fargli sembrare che la testa gli fosse andata in pezzi. Fu sbattuto contro una parete poi contro l’altra, cadde per terra e perdette i sensi.
Quando li riprese, del coboldo non c’era traccia. Il coperchio della cassapanca era chiuso, la zanzariera pendeva al suo posto. Se non avesse sentito il bruciore dello schiaffo sulla guancia, si sarebbe persuaso che era stato soltanto un sogno. “I miei genitori penseranno che ho proprio sognato: diranno che mi sono inventato tutto per non studiare il sermone. Sarà meglio che non perda altro tempo.” Ma, come s’avviò al tavolo, notò una cosa strana: non era possibile che la casa si fosse ingrandita, e d’altra parte come spiegare che doveva fare tanti passi per attraversare la stanza? E
della poltrona, che ne era stato? Non sembrava più alta di prima, eppure per sedervisi dovette arrampicarsi sui braccioli.
— Che diavolo succede? — esclamò. — Che il coboldo abbia gettato un incantesimo sulla poltrona, il tavolo e tutta la stanza?
Il libro dei sermoni era ancora aperto e appariva immutato, e tuttavia il ragazzo, per leggerlo, dovette appollaiarvisi sopra. Scorse qualche riga, poi alzò gli occhi e lo sguardo gli cadde sullo specchio, e gridò: — Toh, eccone un altro! — Nello specchio si scorgeva infatti chiaramente un ometto in calzoncini di cuoio e berretto a punta. —
Ma questo è vestito proprio come me! — esclamò il ragazzo, battendo le mani in atto di meraviglia. E l’omino nello specchio fece altrettanto.
Il ragazzo allora cominciò a tirarsi i capelli, a darsi pizzicotti, a piroettare su se stesso: l’omino nello specchio ripeteva ogni sua mossa. Il ragazzo corse dietro lo specchio per vedere se qualcuno vi si nascondesse: nessuno. Allora cominciò a tremare, perché aveva d’un tratto compreso che il coboldo l’aveva stregato e che l’immagine riflessa era proprio la sua.
LE OCHE SELVATICHE
Il ragazzo non riusciva a persuadersi di essere stato trasformato in coboldo: doveva essere un sogno, un’illusione, e di lì a poco sarebbe tornato normale.
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