Si piantò davanti allo specchio, chiuse gli occhi, contò fino a cento, li riapri: l’incantesimo non era cessato. Era sempre piccolo come prima. I capelli biondi, le lentiggini sul naso, le toppe ai calzoni di cuoio, le calze rammendate erano sempre le stesse, ma tutto era rimpicciolito. L’unica cosa da fare era scovare il coboldo e riconciliarsi.
Saltò sul pavimento e si mise a frugare dietro le sedie e gli armadi, sotto il letto, nel focolare, persino nei buchi scavati dai topi: invano. E cercando piangeva e faceva mille proponimenti: mai più sarebbe venuto meno alla parola data, non sarebbe più stato disobbediente, non si sarebbe addormentato durante la lettura del sermone, sarebbe stato il ragazzo più buono e bravo del mondo.
A un tratto si ricordò di aver udito dire dalla madre che i coboldi se ne stanno d’abitudine nelle stalle, e decise di andarci. Per fortuna l’uscio di casa era rimasto aperto, altrimenti non sarebbe riuscito ad arrivare alla maniglia. In cortile cercò i suoi zoccoli: in casa stava con le sole calze ai piedi. Ma come avrebbe fatto a calzare zoccoli così grossi e pesanti? E fu allora che scoprì, sulla soglia, un paio di piccole calzature con la suola di legno. Il coboldo doveva essere stato tanto previdente da cambiargli anche gli zoccoli, e questo non voleva forse dire che la sua nuova condizione era destinata a durare?
Davanti all’uscio, sulla panca di quercia, saltellava un passero, che appena lo vide cinguettò: — Cip, cip, guardate Nils, il guardiano di oche! Guardate il ragazzo alto un pollice! Guardate Nils Holgersson Pollicino!
Oche e polli si volsero a guardare, e presero a schiamazzare. — Chicchirichì —
cantò il gallo — ben gli sta.
— Cococo, ben gli sta — gli fecero eco le galline, e le oche si raccolsero e chiesero in coro: — Che cos’è stato? Che cos’è stato?
Strano, ma Nils capiva quello che dicevano, e si fermò sulla soglia ad ascoltare. —
Conosco il linguaggio degli uccelli perché mi sono trasformato in coboldo, ecco cos’è — si disse. Lo irritava il fatto che le galline continuassero a strillare che ben gli stava, e tirò loro un sasso per farle smettere, gridando: — Zitte, bestiacce!
Purtroppo aveva dimenticato che non aveva più dimensioni tali da far paura ai polli: tutti gli si precipitarono addosso e lo circondarono starnazzando più che mai:
— Cococo, ben gli sta, cocò, ben gli sta!
Nils tentò di svignarsela, ma i polli dietro, strillando tanto da assordarlo, e il ragazzo non sarebbe riuscito a liberarsene se non fosse comparso il gatto di casa.
Come lo videro, i polli tacquero, fingendosi occupati solo a razzolare. Il ragazzo corse dal gatto. — Caro Micio — gli disse — tu che conosci tutti gli angoli e i buchi della fattoria, sai dirmi dove posso trovare il coboldo?
Il gatto non rispose subito. Si sedette, si arrotolò elegantemente la coda attorno alle zampe e fissò il ragazzo. Era un gattone nero con una macchia bianca sul petto, il pelo morbido rilucente al sole. Le unghie erano retratte, l’aspetto rassicurante.
— Certo che so dove sta il coboldo — rispose con tono gentile — ma credi forse che te lo voglia dire?
— Caro, caro Micio, devi aiutarmi, non vedi che mi ha stregato?
Il gatto socchiuse gli occhi, e un verde lampo di malizia ne sfuggi. Prima di rispondere, ronfò soddisfatto. — Speri forse che ti aiuti dopo che mi hai tirato tante volte la coda? — si decise finalmente a dire.
A quell’uscita, Nils andò su tutte le furie e, dimenticando di essere piccolo e inerme, gridò: — Te la tirerò ancora, la coda! Adesso ti faccio vedere io!
In un attimo, il gatto si trasformò: il dorso arcuato, le zampe come allungate, le unghie sfoderate, la bocca soffiante, le orecchie abbassate, il pelo irto, gli occhi che brillavano sinistramente.
Nils non volle ammettere che un gatto potesse fargli paura, e avanzò di un passo.
Allora la bestia gli balzò addosso, lo gettò a terra e gli si piantò sopra, te zampe sul petto, le fauci spalancate a un dito dalla gola. Nils sentiva le unghie penetrargli attraverso la stoffa nella pelle, i denti acuminati sfiorargli la pelle, e invocò aiuto con quanto fiato aveva. Ma non venne nessuno, e Nils pensò che la sua ultima ora fosse suonata. Invece sentì il gatto ritrarre le unghie e lasciare la presa.
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