— Per ora basta — disse il felino. — Ti lascio andare per riguardo alla padrona.

Ho voluto solo mostrarti chi di noi è il più forte — e si allontanò lentamente, con l’aria paciosa di prima. Ma che vergogna, per Nils, non poter reagire!

Avvilito, andò nella stalla a continuare la ricerca del coboldo.

C’erano solo tre mucche, le quali vedendolo entrare cominciarono a muggire come se fossero state trenta. — Muuu, muuu — faceva la Rosa — non c’è giustizia a questo mondo!

— Muuu, muuu, muuu — facevano eco le altre mucche. Nils non riusciva a capire che cosa dicessero, tant’era il baccano.

Avrebbe voluto chieder loro del coboldo, ma quelle non gli davano retta: era una rivolta vera e propria, le mucche si agitavano come quando si lasciava entrare nella stalla un cane sconosciuto.

Scalciavano, agitavano le catene, volgevano il capo indietro, accennavano a vibrare cornate.

— Fatti sotto! — gridava la Rosa — ti darò un calcio che non dimenticherai mai più!

— Avanti, avanti — diceva la Silvia — ti farò danzare sulle mie corna!

— Vieni, vieni, che voglio far sentire a te il male che mi hai fatto l’anno scorso quando mi hai presa a zoccolate — urlava la Stella.

— E io ti ripagherò della vespa che mi hai messo nell’orecchio — strillava la Silvia.

La più furibonda era la Rosa, che pure era la più anziana e assennata delle tre: —

Fatti sotto — insisteva — ti ripagherò per tutte le volte che hai tolto di soppiatto lo sgabello per far cadere tua madre che mi mungeva, ti ripagherò di tutte le lacrime che le hai fatto versare!

Nils avrebbe voluto dire che si pentiva della sua cattiveria, che prometteva di fare il bravo a patto che acconsentissero a dirgli dove trovare il coboldo. Ma le mucche seguitavano a muggire e a smaniare tanto da fargli temere che spezzassero le cavezze, e Nils preferì svignarsela. Tornò in cortile tutto scoraggiato. Nessuno voleva aiutarlo nella ricerca del coboldo, e anche se l’avesse trovato, chissà se il nanetto gli avrebbe ridato l’aspetto di prima.

Si arrampicò sul muretto a secco che circondava la masseria e che qua e là scompariva sotto biancospini e rovi; seduto lassù, si interrogò sul suo futuro. Che sorpresa, quando i suoi fossero tornati dalla chiesa! Tutta la gente del paese si sarebbe meravigliata: sarebbero venuti da Vemmenhög Est, da Torp, da Skurup, da tutta la provincia per vederlo, padre e madre l’avrebbero portato alla fiera di Kivik per esibirlo. Che vergogna! Non era più un essere umano, bensì un mostro.

Un po’ alla volta si rendeva conto di quanto atroce fosse non essere più umano: non avrebbe più potuto giocare con gli altri ragazzi, tra poco non ci sarebbe stata più nessuna disposta a sposarlo. E la casa, la piccola capanna di tronchi sormontata dal tetto di paglia, la stalla, il granaio e il fienile, per miserabili che fossero gli sembravano adesso il massimo desiderabile.

Il tempo era splendido: l’acqua mormorava, gli alberi germogliavano, gli uccelli cinguettavano. Lui solo era infelice, e nulla più lo avrebbe rallegrato. Il cielo non era mai stato così azzurro, e gli uccelli migratori passavano a stormi. Venivano da lontano, avevano attraversato il Baltico puntando diritto sul promontorio di Smygehuk, e adesso si dirigevano verso il nord. Ve n’erano di varia specie, anche se Nils riconosceva solo le oche selvatiche che volavano in formazione triangolare.

Parecchi stormi erano già passati, ma Nils continuava a udirle gridare: — Venite, venite con noi, stiamo andando ai fjells! (Le zone montane, per lo più in forma di altopiano, delle regioni settentrionali della penisola scandinava. Nota del Traduttore).

Le oche domestiche levarono la testa per ascoltare il richiamo, ma risposero, piene di buon senso com’erano: — Stiamo troppo bene qui, stiamo troppo bene qui.

Era, lo si è detto, una giornata splendida, con un’aria fresca e leggera che invitava al volo. E a mano a mano che nuovi stormi passavano, le oche domestiche apparivano sempre più inquiete: agitavano le ali come se volessero seguire le cugine selvatiche, ma ogni volta interveniva un’oca anziana ammonendole: — Non fate sciocchezze! Quelle soffriranno il freddo e la fame.