Tra noi egli è conosciuto soltanto sotto il nome d’Imperscrutabile. Di quale età, per esempio, lo giudican essi?— Se si giudica dall’apparenza esteriore, egli può avere appena quarant’anni.— E quanti anni credon ch’io abbia?— Non piú di cinquanta.— Benissimo. E s’io loro dicessi ch’ero un ragazzotto di diciassette anni quando il mio avo mi raccontò di quest’uomo prodigioso ch’egli lo avea veduto di circa la stessa età, ch’ei dimostra al presente, in Famagosta?— Questo è incredibile, esagerato, ridicolo.— Per niente affatto. S’io trattenuto non fossi da questi ferri vorrei loro presentare de’ mallevadori, la cui autorevole asserzione non lascerebbe loro piú il menomo dubbio. Vi sono persone degne di fede, le quali si ricordano di averlo veduto in diverse parti del mondo all’epoca medesima. Egli è invulnerabile anche dalla piú acuta spada, niun veleno può nuocergli, niun fuoco lo abbrucia, niuna nave ov’egli sia affonda. Il tempo istesso sembra aver perduto contro di lui la sua forza; gli anni non consumano i suoi sughi vitali, e l’età non incanutisce i suoi capegli. Non v’è alcuno che veduto lo abbia prender cibo: egli non ha mai toccato donna, il sonno non aggrava mai le sue pupille; di tutte le ore del giorno si sa di una sola della quale non è padrone, nella quale nessuno mai lo vide, ed in cui non si è mai occupato di cose terrene.— Davvero? — disse il Principe. — E qual’è quest’ora?— La duodecima della notte. Subito che l’orologio ha battute le dodici egli piú non appartiene ai viventi. Ovunque egli si trovi, deve partire; di qualunque affare egli si occupi deve interromperlo. Questo terribil suono lo svelle dalle braccia dell’amicizia, lo strappa persino dall’altare, e lo richiamerebbe sto per dire dall’agonia. Nessuno sa dov’egli si vada, né cosa egli si faccia. Nessuno s’arrischia ad interrogarlo, e molto meno a seguirlo; poiché le sue fattezze di volto stravolgonsi repentinamente al battere di quella terribil’ora in un’aria sí tetra ed orrenda che ognun perde il coraggio di guardarlo in volto, o di parlargli. Un profondo e mortal silenzio tronca allora di repente il piú vivo colloquio, e tutti coloro che gli stanno d’intorno attendono con rispettoso tremore il suo ritorno, senza neppure azzardare di muoversi dal loro posto, o di aprire la porta per dove è passato!— Ma — domandò uno di noi — non osservasi niente di straordinario in lui al suo ritorno?— Null’altro, se non che egli è pallido, e spossato di forze ad un di presso come un uomo che sofferta avesse qualche dolorosa operazione, o udita qualche infausta notizia. Alcuni pretendono aver osservate alcune stille di sangue sulla sua camicia; ma di questo io non mi rendo mallevadore.— E non si è almeno tentato di celargli quest’ora, oppure di avvolgerlo talmente in distrazioni ch’egli dovesse non farvi attenzione?— Una sola fiata, vien detto, aver egli trapassato il termine. La conversazione era numerosa; si ritardò sino a notte avanzata; tutti gli orologi erano stati a bella posta alterati, e lo interesse che egli prendeva nel discorso lo trasportava. Giunta l’ora fissa egli ammutolí di repente, e divenne immobile; tutte le sue membra s’irrigidirono in quella stessa positura ove questo accidente le avea colte; i suoi occhi divennero come di cristallo, le sue arterie non davan piú pulsazioni; tutti i mezzi che furon impiegati per riscuoterlo, erano infruttuosi; e questo stato durò in lui sinché l’ora fu passata. Allora si ravvisò egli di subito da se medesimo, mosse le pupille, e continuò il discorso con quella stessa sillaba nella quale era stato interrotto. La sorpresa e lo stupore di tutti gli astanti lo fecero avvedere di ciò ch’era seguíto, ed allora dichiarò con una terribile serietà che doveano stimarsi fortunati d’aver passata la cosa con la sola paura. Ma la città, ove ciò gli era occorso, fu da lui abbandonata per sempre ed in quella stessa notte. La comune opinione si è che in quell’ora misteriosa egli abbia colloquio col suo Genio. Alcuni vanno persino a pensare ch’egli sia un defunto, cui venga permesso di soggiornar tra’ viventi per ventitré ore del giorno; ma che nella vigesimaquarta la sua anima debba recarsi all’altro mondo per ivi subire il suo giudizio. Molti lo tengono anche pel famoso Apollonio Tianeo, ed altri persino lo credono Giovanni il Minore, di cui vien detto che debba rimanere sino al giorno del giudizio universale.— Sopra un uomo cotanto straordinario — disse il Principe — non si mancherà certamente di concepire le piú strane immaginazioni. Tutto quel che detto avete sinora voi non lo sapete che per tradizione orale; e pure il suo contegno riguardo a voi, ed il vostro riguardo a lui sembrarommi indicare una piú stretta conoscenza. Non vi sarebbe già qui sotto qualche particolare avventura, nella quale voi stesso abbiate avuto parte? Non ci nascondete nulla.

  • Il Siciliano ci diede un’occhiata dubbiosa, e si tacque.– Se ciò concerne una cosa – continuò il Principe – che voi non vogliate divulgare, io v’assicuro anche a nome di questi due signori, del piú inviolabile silenzio. Ma usate con noi sincerità e schiettezza.– Se io posso sperare – continuò quell’uomo dopo un lungo silenzio – ch’essi non vorranno mai servirsi in mio danno di quanto sono per confidar loro, farò il racconto di una curiosa avventura di quest’Armeno, della quale io fui testimonio di vista, e che non lascerà piú loro alcun dubbio dell’occulto potere ond’è dotato quest’uomo; ma mi si deve permettere – soggiuns’egli – di tacere alcuni nomi.– Non si può fare il racconto senza questa condizione?– No, Altezza. Vi entra una famiglia che io ho de’ motivi di rispettare.– Via, fateci questo racconto come vi piace – disse il Principe.– Saranno ormai cinque anni – incominciò il Siciliano – che trovandomi a Napoli dove praticavo l’arte mia con assai prospero successo, feci conoscenza con un certo Lorenzo del M**nte, cavaliere dell’ordine di Santo Stefano, giovane e ricco signore d’una delle piú ragguardevoli e cospicue case di quel regno, che mi colmava di graziosità e che mostrava far gran caso de’ miei segreti. Egli mi scoperse che il Marchese del M**nte suo padre era zelantissimo settatore della Cabala, e che si stimerebbe fortunato di aver un filosofo (cosí si compiaceva egli di chiamarmi) com’io nel recinto di sua magione. Quel vecchio signore faceva soggiorno in uno de’ suoi poderi situato lungo il mare, circa sette miglia distante da Napoli, dove egli, segregato quasi da tutti i viventi, piangeva la memoria di un suo amato figlio, statogli rapito da fiero e inesorabil destino.