Noi abbiamo occupata una nuova e superba abitazione dirimpetto alle Nuove Procuratie, poiché il Principe trovavasi troppo ristretto all’albergo del Moro. Il nostro seguito si è aumentato di dodici individui, paggi, mori, aiduchi, ecc. Tutto va ora alla grande. Quando ella era qui si lagnava del troppo stipendio. Oh! s’ella vedesse, che direbbe poi adesso!

I nostri interni rapporti sono ancor quelli di prima, eccetto che il Principe, il quale dalla di lei presenza era tenuto in maggior soggezione, è diventato anche piú, se è possibile, freddo, e sostenuto con noi, ed ora non abbiam pressoché altro a fare presso di lui fuorché servirlo allorché si veste o si spoglia. Sotto pretesto che noi non parliamo italiano e male il francese, egli ci esclude dalla maggior parte delle sue conversazioni, nel che, quanto alla mia persona, non mi fa grande offesa; ma credo scorgerne il vero motivo; egli si vergogna di noi; e di ciò mi duole, perché non lo abbiamo meritato.

Di tutti noi altri (giacché ella desidera sapere anche le cose meno importanti) si serve ora quasi solamente di Biondello, che, come ella sa, dopo l’evasione del nostro Cacciatore, ha preso al suo servigio, e che in questo nuovo sistema di vita gli è divenuto affatto indispensabile. Quest’uomo conosce tutto in Venezia, e tutto sa adoperare. Egli è non altrimenti che se avesse mille occhi, o potesse muovere mille braccia. Egli ha detto che fa tutto ciò coll’aiuto del Gondoliere. Perciò riesce sommamente comodo al Principe, cui fa conoscere tutte le persone nuove che si presentano nelle sue conversazioni, e le segrete notizie ch’ei gli dà le ha sempre trovate giuste. Inoltre egli parla e scrive l’italiano e il francese alla perfezione, e per tal mezzo egli è già divenuto segretario del Principe. Non deggio qui omettere di raccontarle un tratto di fedeltà disinteressata, assai rara veramente in un uomo della sua condizione. Ultimamente un negoziante facoltoso di Rimini chiese udienza dal Principe. L’oggetto era una strana lagnanza contro Biondello. Il Procuratore, suo antico padrone, che dev’essere stato un uomo estremamente bisbetico e bizzarro, aveva vissuto in costante inimicizia irreconciliabile co’ suoi parenti, la quale volea che durasse, se era possibile, anche dopo la sua morte. Biondello possedeva esclusivamente tutta la sua confidenza, ed era solito deporre in lui tutti i suoi segreti: questi dovette promettergli anche agli estremi di sua vita, di serbarli inviolabilmente, e di non farne mai uso in vantaggio de’ parenti; un legato considerabile dovea essere la ricompensa della sua segretezza. Quando fu aperto il testamento ed esaminate le sue carte, trovaronsi grandi lacune ed imbrogli di cui il solo Biondello poteva dare gli opportuni schiarimenti. Questi negò ostinatamente di saperne la minima cosa, abbandonò all’erede il legato assai considerabile a lui destinato piuttosto che palesare i suoi segreti. Grandi offerte furongli fatte da parte de’ parenti, ma tutte invano; finalmente per sottrarsi dalle loro sollecitazioni, minacciando essi di farlo chiamare in giudizio, egli entrò al servigio del Principe. L’erede principale, cioè il detto negoziante, si rivolse a lui medesimo, e fece anche maggiori esibizioni delle già fatte, se Biondello si mutava di sentimento. Ma anche l’interposizione del Principe fu vana. Gli confessò bensí esser vero che gli fossero stati confidati tal segreti, e non negò neppure che il defunto avesse portato troppo lungi l’odio contro i suoi parenti; ma egli soggiunse: Quest’uomo è stato mio padrone e benefattore, ed è morto con ferma fiducia nella mia probità. Io fui l’unico amico ch’egli lasciò al mondo e tanto meno degg’io ingannare l’unica sua speranza. Fece altresí comprendere che tali schiarimenti non avrebbero fatto onore alla memoria del suo defunto padrone. Non è questo un pensar fino e nobile? Ella può facilmente pensare che il Principe non ha molto insistito su questa cosa, né tanto piú oltre di farlo vacillare in un cosí nobile proposito. Questa rara fedeltà, da lui mostrata verso il suo defunto padrone, gli ha guadagnata la piú illimitata confidenza del suo padrone vivente.

Viva felice, o mio pregiatissimo amico. Oh! quanto sospiro la passata vita tranquilla nella quale ella ci ha qui ritrovati, e della quale ella ha sí ben contribuito a diminuire la soverchia monotonia! Io temo che il mio buon tempo sia finito a Venezia, e felici noi se non si potrà dire lo stesso anche del Principe. L’elemento nel quale egli vive al presente non è quello ove possa per lungo tempo essere felice, se l’esperienza di sedici anni non m’inganna. Sono, ecc.

 

LETTERA II

 

Il Barone di F*** al Conte d’O***

 

Il 18 maggio

 

N

on avea pensato che il nostro soggiorno in Venezia potesse essere buono a qualche cosa! Egli ha salvato la vita ad un uomo; io cesso d’esserne malcontento. Il Principe ultimamente a notte molto avanzata facevasi trasportare dal Bucentauro a casa, accompagnato da due domestici, uno de’ quali era Biondello.