Ci era stato parlato in particolare con elogio delle Nozze di Cana di Paolo Veronese, che vedonsi all’Isola di S. Giorgio in un chiostro di Benedettini. Ella non si aspetti da me una descrizione di questo straordinario capo d’opera, che nel suo complesso mi ha presentato un prospetto ben sorprendente, ma non molto delizioso. Noi avremmo avuto bisogno d’impiegar tante ore, quanti minuti impiegato vi abbiamo, per ben comprendere una composizione di cento venti figure che ha piú di trenta piedi di larghezza. Qual occhio umano può abbracciare un sí grandioso tutto, e godere in un colpo di tutte le bellezze che quel valente artista vi ha prodigalizzato! Peccato egli è d’altronde, che un’opera di tal pregio, la quale dovrebbe spiccare in un luogo pubblico, ed essere goduta da ognuno, non abbia miglior destino che quella di appagare la vista di alcuni pochi monaci nel loro refettorio. Anche la chiesa di questo chiostro non è meno degna d’essere osservata. Ella è una delle piú belle di questa città.
Verso sera noi ci facemmo traghettare nella Giudecca, per quivi godere in quegli ameni giardini una bella sera. La società, che non era molto numerosa, si disperse subito, ed il Marchese di Civitella, che in tutto quel giorno avea cercato un’occasione di parlarmi, invitommi ad entrar seco in un boschetto.
— Ella è l’amico del Principe — prese egli a dirmi — pel quale non suole avere alcun segreto, siccome io so da buon canale. Quando io entrai oggi nel suo palazzo ne vidi uscir un uomo del quale m’è noto il mestiere, e la fronte del Principe era assai nubilosa quando me gli appressai.
A tali parole io volli interrompere il suo discorso.
— Ella non può negarmi — continuò il medesimo — ch’io conosco bene il Principe, e ne comprendo a fondo il carattere… e sarebbe egli possibile? Il Principe avrebbe degli amici in Venezia, amici che gli sono debitori del sangue e della vita, ed egli sarebbe ridotto in un’urgenza a servirsi di simili creature? sia meco sincero, signor Barone! Il Principe è forse in qualche imbarazzo? In vano ella procura di celarmelo. Quello ch’io non posso saper da lei, lo saprò sicuramente da un mio commesso, cui costa poco qualunque segreto.
— Signor Marchese…
— Mi perdoni. Io deggio parere indiscreto per non diventare un ingrato Io son debitore al Principe della vita, e ciò che stimo ancor piú, del buon uso della vita. Ad onta di ciò io dovrei vedere il Principe far dei passi che a lui costano, che sono inferiori alla sua dignità? sarebbe in poter mio di risparmiarglieli, ed io dovrei soffrirlo con indifferenza?
— Il Principe non si trova in alcun imbarazzo — diss’io. — Alcune cambiali che ci doveano pervenire per la via di Trento ci sono impensatamente mancate. Per accidente, senza dubbio… o perché, nell’incertezza della sua partenza, si sarà aspettata da lui una ulteriore indicazione. Questo ora è fatto, e sin qui…
Egli crollò il capo.
— Ella non interpreti male la mia intenzione — diss’egli. — Qui non può trattarsi di diminuir con tal mezzo la mia obbligazione verso il Principe: basterebbero a questo tutte le ricchezze di mio zio? Si tratta di risparmiargli un sol momento disaggradevole. Mio zio è possessore di ricche sostanze delle quali io posso disporre come di cose mie proprie. Un fortunato accidente mi presenta l’unico possibil caso, che di tutto quello che sta in mio potere possa qualche cosa divenir utile al Principe. Io so — proseguí egli — cosa impone al Principe la delicatezza, ma ella è anche reciproca, e sarebbe un tratto generoso dalla sua parte l’accordarmi questa lieve soddisfazione, quand’anche ciò non fosse che in apparenza… per rendermi meno sensibile il peso dell’obbligazione che mi opprime.
Egli non cessò sin tanto ch’io non gli ebbi promesso di fare in ciò tutto il possibile; io conosceva il Principe, e poco perciò ne sperava. Egli era pronto ad accettar da lui tutte le condizioni, sebbene egli confessasse che gli sarebbe una sensibile offesa, se il Principe lo trattasse sul piede d’uno straniero.
Nel calore del dialogo noi ci eravamo allontanati assai dal resto della compagnia, e ritornavamo indietro, allorché Z*** ci venne incontro.
— Io cerco il Principe presso di loro. Non è egli qui?
— Noi andiamo appunto in traccia di lui. Credevamo di trovarlo presso il resto della compagnia.
— La società è radunata, ma egli non si trova in niun luogo. Non so come egli si sia dileguato dalla vista di tutti noi.
Qui il Marchese di Civitella si risovvenne che forse gli poteva essere venuto in pensiero di visitare la chiesa vicina, sopra la quale egli poc’anzi avea svegliata la sua attenzione. Noi ci avviammo dunque tosto a quella volta per ricercarlo. Già da lontano noi scoprimmo Biondello che aspettava all’ingresso della chiesa. Mentre ci avvicinavamo uscí il Principe alquanto frettoloso da una porta laterale: egli era infiammato in volto, i suoi occhi cercavano Biondello, che poi chiamò a sé. Egli parve comandargli qualche cosa di molta importanza, ed in tal atto teneva sempre gli occhi rivolti alla porta ch’era restata aperta. Biondello si spiccò velocemente da lui nella chiesa. Il Principe, senza avvedersi di noi, ci urtò di traverso per mezzo alla calca, e si affrettò verso la compagnia, dove arrivò prima di noi.
Fu conchiuso di far imbandire la mensa per la cena in un compartimento o sia parterre di quel giardino, ed a tal effetto il Marchese senza nostra saputa fece preparare un piccolo concerto eseguito da’ piú valenti musici. In esso si fece distinguere una giovine cantatrice, che ci rapí colla soavità del suo canto non meno che colle sue personali attrattive.
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