Qualche minuto dopo udii dello strepito. Prima dell’arrivo del Principe lo Spagnuolo perdeva sempre, ma dopo guadagnava sopra tutte le carte. Il giuoco avea sofferto grande alterazione, e la banca era in pericolo d’esser fatta saltare dal puntatore, che questa felice rivoluzione avea reso ardito. Il Veneziano che la teneva disse al Principe con tuono di voce offensivo, che egli disturbava la sorte, e che si ritirasse da quel posto. Questi lo guardò freddamente, e rimase ov’era: egli stavasi in tale positura allorché il Veneziano replicò in francese la sua insultante espressione. Quest’ultimo credea che il Principe non intendesse né una lingua, né l’altra, e si rivolse con sorriso sprezzante agli altri, interrogandoli cosí: — Mi dicano, di grazia, signori, come devo farmi intendere da quel balordo?
Nello stesso tempo si alzò, e voleva afferrare pel braccio il Principe: questi perdette allora la pazienza, ghermí il Veneziano con mano intrepida, e gettollo per terra. Tutta la casa fu in iscompiglio. A questo rumore io accorsi precipitosamente colà, e senza pensarvi lo chiamai pel suo nome.
— Si guardi, Altezza — soggiunsi io poi con irriflessione — che siamo in Venezia.
Il nome del Principe impose tosto un alto silenzio, al quale successe poi un bisbiglio che mi parve sinistro. Tutti gli astanti italiani si radunarono in vari gruppi, e si tirarono in disparte.
L’uno dopo l’altro uscirono poi dalla sala, e finalmente vi restammo noi due soltanto con lo Spagnuolo ed alcuni Francesi.
— Ella è perduta, Altezza — dissero questi — se non esce immediatamente da questa città. Il Veneziano ch’ella ha trattato sí male, è ricco e ragguardevole; non gli costerà che cinquanta zecchini il farla privar di vita.
Lo Spagnuolo si offerse per la sicurezza del Principe di andare a chiamar la guardia ed accompagnarci egli stesso all’alloggio. Lo stesso far volevano anche i Francesi. Noi eravamo ancora irresoluti e riflettevamo a ciò che far si dovea, allorché vedemmo aprirsi la porta ed entrare alcuni ufficiali dell’Inquisizione di Stato. Essi ci mostrarono un ordine di governo col quale ci veniva intimato di seguirli immediatamente. Da numerosa pattuglia fummo condotti sino al canale. Quivi ci aspettava una gondola, nella quale dovemmo entrare. Prima di uscirne ci furono bendati gli occhi. Ci fu fatto salire un grande scalone di marmo, e poi ci condussero per lunghi e tortuosi andirivieni a chiocciola sotto arcate volte, siccome potei arguirlo dall’eco moltiplice che risuonava sotto a’ nostri passi. Alfine arrivammo ad un altro scalone che ci fece discendere per ventisei gradini sotterra. Quivi si aperse una sala dove ci fu levata la benda dagli occhi. Noi ci ritrovammo in un circolo di venerandi vecchi, tutti vestiti di nero, siccome di drappo nero erano pur ricoperte le pareti di tutta la sala che era parcamente illuminata, lo che unito al profondo silenzio che regnava in quell’assemblea, fece in noi una terribile impressione. Uno di que’ vegliardi, ch’era probabilmente il primo Inquisitor di Stato, s’accostò al Principe ed interrogollo con aria imponente, mentre gli veniva condotto dinanzi il Veneziano:
— Riconoscete voi quest’uomo per quello stesso che vi ha offeso al caffè?
— Sí — rispose il Principe.
Allora il primo si rivolse al detenuto, e disse: — È questa la stessa persona che voi questa sera volevate far ammazzare?
Il detenuto rispose di sí.
Tosto il circolo si aperse, e con terrore osservammo spiccarsi dal busto il capo del Veneziano.
— Siete voi contento di tale soddisfazione?— interrogò di nuovo l’Inquisitor di Stato.
Il Principe era caduto in deliquio fra le braccia di chi lo scortava.
— Ora andate — continuò quel Magistrato con spaventoso tuono di voce a me rivolto — e all’avvenire siate piú cauto nel giudicare della giustizia di Venezia.
Noi non potemmo indovinare chi fosse l’incognito amico, che col pronto braccio della giustizia salvato ci avea da una sicura morte. Istupiditi dal terrore arrivammo al nostro alloggio. Era mezzanotte. Il Gentiluomo di camera de Z*** ci aspettava con impazienza alla scala.
— Oh! quanto opportunamente ha Vostra Altezza mandato ad avvertire! — diss’egli al Principe, mentre ci facea lume. — Una notizia, che il Barone di F*** ci recò dalla piazza di S. Marco subito dopo la sua partenza, ci avea messi per lei in angosce mortali.
— Io ho mandato? Quando? Non so nulla di ciò! — rispose il Principe.
— Questa sera dopo le ore otto — ripigliò il Gentiluomo di camera — ella ci ha fatto dire che non dovessimo inquietarci per nulla s’ella ritardava a ritornare a casa.
Qui il Principe guardommi in faccia, e disse:
— Avete voi forse, senza mia saputa, presa questa precauzione?
Io gli risposi che non sapeva assolutamente nulla.
— Eppure, Altezza, ella è cosí — disse il Gentiluomo di camera. — Tanto è vero, che qui v’è la di lei mostra di ripetizione, ch’ella ha mandato per sicurezza.
Il Principe portò la mano alla tasca dell’oriuolo, ma non ve lo trovò, e riconobbe quello per suo.
— Chi lo ha portato? — diss’egli con sorpresa.
— Una maschera incognita vestita all’armena, che tosto se ne partí.
Noi restammo immobili, e ci guardammo.
— Che ne pensate voi? — disse Finalmente il Principe dopo un lungo silenzio. — Io ho un segreto esploratore qui in Venezia.
La terribile scena di quella notte cagionò una febbre al Principe che lo obbligò per otto giorni a non uscir di camera. In questo frattempo brulicava il nostro alloggio di nazionali e forestieri, colà spinti dalla scoperta condizione del Principe. Tutti facevano a gara ad offerirgli i loro servigi; ognuno cercava, secondo i suoi mezzi, di farsi valere.
1 comment