E se in quasi tutta la sua produzione letteraria e teatrale l’elemento autobiografico è fortissimo, va detto che la sublimazione che ne ha fatto l’autore potrebbe anche servire a togliere finalmente la fastidiosa etichetta dal bagaglio della sua opera. Inferno, quindi, potrebbe essere mistificatorio proprio laddove sembra più autentico e autobiografico.
Ma vedremo in seguito dove si fanno più evidenti le tracce di questa mistificazione all’interno di un preteso documento scritto con la concitazione di chi esce da una terribile, vera, vicenda umana. Per ora vediamo di ripartire dall’inizio dell’avventura parigina, soprattutto per sceverare quanto vi sia di genuino e di reale nella minaccia che incombeva sul capo di Strindberg.
Strindberg era già stato a Parigi, dove Antoine aveva messo in scena, al suo Théâtre Libre, Fröken Julie (La signorina Giulia) e dove Lugné-Poe aveva diretto, al Théâtre de l’Oeuvre, Creditori. Nell’inverno del 1894 lo stesso Lugné-Poe allestisce un altro dramma naturalista di Strindberg, Padre, alla presenza dell’autore. Ma i giornalisti che vengono ad intervistarlo, invece di trovare uno scrittore fiero dei suoi successi teatrali, si imbattono in uno strano, esagitato personaggio, che non parla d’altro che di zolfo e di carbonio, che frequenta solo gli ambienti scientifici e, soprattutto, alchimistici parigini e che sogna di fabbricare l’oro. Che cosa era avvenuto? Vediamo di ricostruire questo periodo, che coincide con l’insorgenza della grande crisi. Fuggito dalla Germania dove sta per celebrarsi il suo secondo processo, Strindberg approda a Parigi in agosto. E’ stato invitato da due sedicenti impresari, l’editore Albert Langen e l’affarista Willy Gretor, i quali fanno le cose in grande. Ospitano Strindberg in una lussuosa villa a Versailles (dove lo raggiungerà la moglie) ed hanno programmato una sua mostra di dipinti. Cominciano perfino col comprargli dei quadri, e Strindberg, invogliato, si reca spesso nell’atelier di Gretor, dove abita e lavora, cioè dipinge, per un certo periodo. Frida, infine, si è legata di amicizia con i due imprenditori. Ma, solo due mesi dopo, le cose precipitano. Strindberg ha scoperto che Gretor traffica in quadri falsi (il che sembra provato), teme di essere coinvolto nei suoi loschi affari, avendo dipinto per lui e avendogli venduto dei quadri. Ha paura che la «banda» voglia sbarazzarsi di un teste scomodo e farlo rinchiudere in un asilo di pazzi e, dulcis in fundo, sospetta Frida di complicità. Strindberg e la moglie lasciano la villa e in ottobre Frida, sfibrata dai litigi e dai sospetti del marito, se ne torna in Austria.
Strindberg si trasferisce in una squallida cameretta di studente nel Quartiere Latino, dove installa un piccolo laboratorio chimico che consta di sei crogioli di porcellana, di una pinzetta e di un involto di zolfo puro. Fa degli esperimenti e riesce a scoprire che lo zolfo, ritenuto una materia semplice, dopo la combustione, lascia tracce di carbonio. Crede di aver raggiunto la gloria, ma la conquista della immortalità non è senza sofferenza. Il suo orgoglio smisurato sembra venire punito: le ricerche gli rovinano le mani, le screpolano e lasciano detriti di carbone nelle piaghe. Il dolore è insopportabile. Strindberg, grazie ad una colletta degli scandinavi che abitano a Parigi, viene ospedalizzato al Saint Louis. Inizia il calvario. L’idea di un castigo lo perseguita, vede nel suo passato coniugale qualcosa di indegno che intacca la sua purezza d’animo. Uscito dall’Ospedale, cambia di nuovo casa, va ad abitare a Montparnasse, in rue de la Grande Chaumière, dove riprende i suoi esperimenti di chimica e tenta invano di fabbricare oro. Il teatro non lo interessa più, scrive una lettera crudelissima alla moglie, le rinfaccia l’amicizia con i due affaristi imbroglioni, avverte misteriose presenze - lui le chiama «potenze oscure» - che lo punzecchiano e lo perseguitano. Esplode la paranoia. Strindberg sembra realmente afflitto da mania di persecuzione, lascia la moglie (che non rivedrà più), ma teme che lei stessa, in accordo con i due falsi impresari, sia all’origine dei suoi disturbi visivi e sonori, oltre che dei dolori fisici che si concretano in strane scariche elettriche; pensa anche che i suoi nemici di Berlino, lo scrittore polacco e sua moglie, stiano per venire a Parigi per ucciderlo: si installa all’Hôtel Orfila, in rue d’Arras. L’Hôtel non è stato scelto a caso: Orfila è un chimico, e lo scrittore svedese ha trovato in un vecchio manuale di chimica di Orfila un passaggio in cui si dubita che lo zolfo sia un corpo semplice. Strindberg è completamente dominato dalla mania delle combinazioni: se vede un numero, vi costruisce sopra improbabili corrispondenze, un biglietto trovato per caso, a terra, gli fa scattare in serie anagrammatici riferimenti. Pubblica Sylva Sylvarum, a Parigi, che poi inserirà in Inferno: si tratta di un saggio di botanica in cui sostiene che le piante hanno un vero e proprio sistema nervoso, che i fiori sono morti-vivi che conducono un’esistenza sedentaria e che l’universo tutto è dominato dal più grande disordine. Ma le misteriose «correnti elettriche» continuano a colpirlo, ed allora fugge dall’Hôtel ripara in casa di amici, poi lascia la Francia, si rifugia in Austria presso la suocera, dove rivede la figlia Kerstin che ha ormai quasi tre anni, e finalmente, dopo aver percorso tutte le stazioni della depressione, trova nella lettura di un libro di Emanuel Swedenborg (1688-1772), lo scrittore svedese che ha attraversato con la sua opera scientifica e fantastica tutto il Settecento e che ha influenzato romantici e realisti, da Goethe a Balzac, da Blake a Yeats, il suo balsamo spirituale.
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