Quando nuovamente li riaprii, nello specchio a radersi la guancia vidi mio padre da tempo morto. E come se non bastasse, perfino mio nonno vidi, mai conosciuto in vita mia.

Nonostante fossi, come è ovvio, molto turbato da quelle straordinarie apparizioni, decisi di mantenere il segreto fino al momento stabilito per la rivelazione generale. Agitato da una folla di strani pensieri, quella notte mi ritirai nella mia camera pronto ad affrontare qualche nuova esperienza di natura spettrale. Né mi ero preparato inutilmente perché, svegliatomi da un sonno agitato alle due in punto del mattino, non dico in quale stato scoprii che stavo dividendo il mio letto con lo scheletro del signorino B.!

Saltai sue lo stesso fece lo scheletro. Sentii poi una voce lamentosa dire: - Dove sono? Che ne è stato di me? - e guardando fisso in quella direzione mi avvidi del fantasma del signorino B.

Il giovane spettro era vestito di abiti di foggia antiquata: o meglio, non era tanto vestito quanto piuttosto insaccato in una stoffa color sale e pepe di pessima qualità, resa orribile da bottoni luccicanti.

Notai che i bottoni, allineati in doppia fila, sconfinavano da entrambe le spalle del giovane fantasma e parevano scendergli giù per la schiena. Il collo era avvolto in una gala increspata. Con la mano destra (che notai distintamente essere macchiata di inchiostro) si premeva lo stomaco; associai questo suo gesto a qualche leggero foruncolo sulla pelle del volto e all'aspetto generale come di chi ha la nausea e conclusi che doveva essere il fantasma di un ragazzo che era solito abusare di medicine.

- Dove sono? - disse il piccolo spettro con voce compassionevole - Perché sono nato al tempo del calomelano e perché me ne hanno dato così tanto?

Risposi in tutta onestà che in fede mia non lo sapevo.

- Dov'è la mia sorellina? - disse il fantasma -e quell'angelo della mia sposina e il mio compagno di scuola, dove sono?

Supplicai il fantasma di farsi coraggio e soprattutto di rincuorarsi per la perdita del ragazzo suo compagno di scuola. Gli feci presente che quel ragazzo, almeno in base all'umana esperienza, una volta che fosse stato ritrovato probabilmente non ci avrebbe fatto una bella figura. Sostenni che io stesso in età adulta mi ero fatto vivo con parecchi un tempo miei compagni di scuola, ma nessuno di loro si era dimostrato all'altezza delle aspettative. Era una figura mitica, affermai, una delusione e una beffa. L'ultima volta che ne avevo ritrovato uno, raccontai, era successo a una cena: era sepolto sotto una cascata di sciarpe bianche, mostrava un'opinione sconclusionata su ogni possibile argomento e una capacità assolutamente titanica di far ammutolire per la noia. Riferii come, grazie del fatto che eravamo stati insieme all'Old Doylance, lui si era autoinvitato a colazione da me (grossolanità mondana della peggior specie); e, come soffiando sulla debole fiamma della mia fiducia per i ragazzi di Doylance, io lo avessi ammesso a casa mia; come egli si fosse rivelato un ciarlatano di infimo ordine, perseguitando la razza di Adamo con inspiegabili teorie sulla moneta e con l'assunto che la Banca d'Inghilterra, sotto pena di abolizione, dovesse immediatamente emettere e far circolare Dio solo sa quante migliaia di milioni di banconote da sedici "pence".

Il fantasma mi ascoltò in silenzio, con lo sguardo fisso su di me.

- Barbiere! - mi apostrofò quando ebbi finito.

- Barbiere? - ripetei, visto che non è il mio mestiere.

- Condannato - proseguì il fantasma - a sbarbare una clientela sempre diversa; ora me - un giovanotto - ora te stesso come sei; ora tuo padre, ora tuo nonno; e condannato anche a giacere con uno scheletro tutte le notti e ad alzarti con lui ogni mattina...

(Rabbrividii nel sentire questo annuncio funesto).

- Seguimi, barbiere!

Mi ero accorto già prima che quelle parole fossero pronunciate che ero vittima di un sortilegio e che avrei dovuto seguire il fantasma.

Così feci immediatamente, e mi ritrovai fuori della stanza del signorino B.

Molti sanno quali interminabili ed estenuanti peregrinazioni notturne confessarono le streghe che furono costrette ad ammettere le loro colpe e che non c'è dubbio dicevano la pura verità, soprattutto quando venivano incalzate con domande insidiose e la tortura era lì sempre pronta. Vi garantisco che durante la permanenza nella stanza del signorino B. fui trascinato dal fantasma che la occupava in vagabondaggi assolutamente interminabili e selvaggi come quelli. Certo non fui portato al cospetto di nessun vecchio cencioso con corna e coda caprine (una via di mezzo tra Pan e un vecchio piazzista di stoffe) intento a indulgere in inutili convenevoli idioti come quelli della vita reale e meno decenti; furono bensì altre le cose in cui mi imbattei, che mi sembrarono più piene di significato.

Sicuro di dire il vero e di essere creduto, non esito a dichiarare che seguii il fantasma prima su un manico di scopa, poi su un cavallo a dondolo. Sono pronto a giurare sull'odore particolare della vernice dell'animale, specialmente quando lo lanciavo a tutta forza facendolo surriscaldare. Dopo di che seguii il fantasma in una vettura di piazza, un'istituzione con una puzza particolare che l'attuale generazione ignora, ma sulla quale sono di nuovo pronto a giurare: un misto di stalla, di cane rognoso e logoro mantice. (A questo proposito, mi appello alla precedente generazione che confermi o smentisca quanto dico). Seguii il fantasma su un asino senza testa, o quanto meno su un asino così interessato alla sua pancia da tenere la testa sempre abbassata a ispezionarla; su cavallini nati apposta per scalciare all'indietro; sulle giostre e le altalene delle fiere; sulla prima carrozzella, altra istituzione dimenticata dove regolarmente il cliente si addormentava e gli rimboccavano le coperte insieme al vetturino.

Per non annoiarvi con un dettagliato resoconto di tutti i miei viaggi al seguito del signorino B., più lunghi e meravigliosi di quelli di Sindbad il Marinaio, mi limiterò al racconto di un'esperienza dalla quale potrete giudicare tutte le altre.

Ero prodigiosamente trasformato. Ero io, sì, e però non ero io. Ero cosciente di qualcosa in me che era rimasto lo stesso in tutta la mia vita e che avevo sempre riconosciuto immutato in tutte le fasi e le alterne vicende, ciononostante non ero io quello che era andato a coricarsi nella stanza del signorino B. Avevo il più glabro dei visi, le più corte gambe, e avevo portato dietro una porta una creatura a me, simile anch'essa, con il più glabro dei visi e le più corte delle gambe, e le stavo confidando un progetto assolutamente sbalorditivo.

Si trattava della creazione di un serraglio.

L'altra creatura approvò con entusiasmo. Non aveva la minima idea di cosa fosse la decenza e neppure io. Era un uso d'Oriente, abitudine del buon califfo Harun al-Rashid (permettetemi di pronunciare il nome corrotto una volta ancora, tanto profuma di dolci ricordi!), il costume era talmente lodevole e degnissimo di essere imitato.

- Oh, sì- disse l'altra creatura con un salto di gioia. - Creiamo un serraglio!

Non fu perché nutrissimo il benché minimo dubbio sul carattere meritorio del sistema orientale che era nostra intenzione importare, che intuimmo di doverlo tenere nascosto alla signorina Griffin. Era piuttosto perché sapevamo che la signorina Griffin era priva di comprensione umana e incapace di apprezzare la maestà del grande Harun. Così, meticolosamente nascosto alla signorina Griffin, il segreto fu affidato alla signorina Bule.

Eravamo dieci nel collegio della signorina Griffin, situato nei pressi di Hampstead Ponds; otto signore e due gentiluomini. La signorina Bule, che penso avesse raggiunto la veneranda età di otto o nove anni, era al centro dell'attenzione in società. Le confidai la cosa durante il giorno e le proposi di diventare la Favorita.

La signorina Bule, dopo aver lottato contro la diffidenza così naturale e così affascinante nel suo adorabile sesso, si disse lusingata all'idea, ma volle sapere cosa si intendeva riservare per la signorina Pipson. La signorina Bule - che, si capisce in nome dell'amicizia, aveva giurato a quella giovane signora di condividere tutto senza nessun segreto fino alla morte sul libro delle Letture e del Servizio Liturgico, in edizione integrale in due volumi, completo di astuccio e lucchetto - la signorina Bule disse che non avrebbe potuto fingere con se stessa o con me che la signorina Pipson fosse una qualsiasi.

Al che, considerato che la signorina Pipson aveva riccioli chiari e occhi blu (secondo me era l'essenza di quanto in quel che è mortale e femminile è chiamato biondo) io prontamente risposi che mi immaginavo la signorina Pipson nei panni della Bionda Circassa.

- E poi? - chiese la signorina Bule con aria pensosa.

Risposi che lei avrebbe dovuto essere circuita da un mercante, portata velata al mio cospetto e comprata come schiava.

(All'altra creatura era stata già assegnata la seconda carica maschile dello Stato, e così fu investita del ruolo di Gran Visir.