Non appena il cerimoniere aveva cominciato a scandire i nomi degli invitati battendo la mazza due volte, la gazzella si era rifugiata nella soffitta sul retro e aveva messo il catenaccio alla porta; e a ogni nuovo arrivo la signorina Griffin si turbava sempre di più, e a tal punto che alla fine l'avevano vista portarsi le mani ai capelli. Alla resa finale da parte della colpevole avevano fatto seguito la reclusione della stessa nello stanzino della lavanderia a pane e acqua e una ramanzina di vendicativa lunghezza rivolta a tutti noi, in cui la signorina Griffin aveva usato espressioni del tipo, primo: "Sono certa che voi tutti ne eravate al corrente"; secondo: "Quanto a perfidia l'uno vale l'altro"; terzo: "Una masnada di piccoli furfanti".

Date le circostanze, passeggiavano molto tristi; io in particolare, con le responsabilità di musulmano che gravavano sulle mie spalle ero proprio giù di morale. A un certo punto uno sconosciuto si avvicinò alla signorina Griffin e dopo aver camminato per un po' al suo fianco conversando con lei, mi guardò. Supponendo che fosse uno scagnozzo della legge e che la mia ora fosse giunta, corsi via immediatamente col vago proposito di riparare in Egitto.

Quando vide che me la battevo con quanta più forza avevo nelle gambe (mi parve che la prima svolta a sinistra e un giro nei pressi del può fossero la strada per le Piramidi) tutto il serraglio gridò, la signorina Griffin urlò nella mia direzione, il perfido Visir mi corse dietro e il ragazzo al cancello mi strinse contro un angolo come una pecora e mi tagliò la strada. Nessuno mi rimproverò quando fui catturato e riportato indietro; la signorina Griffin disse soltanto, con sbalorditiva gentilezza che tutto era molto strano. Perché ero corso via quando l'uomo mi aveva guardato?

Se avessi avuto abbastanza fiato per rispondere, oso dire che non avrei dato nessuna risposta: non avendo fiato di sicuro non risposi.

La signora Griffin e lo sconosciuto mi presero in mezzo a loro e mi scortarono fino a palazzo come se fossi nella condizione di non so chi ma certamente (come non potei fare a meno di rendermi conto stupito) non in quella del colpevole.

Arrivati là, ci ritirammo in una stanza da soli e la signorina Griffin chiamò in suo aiuto Masrur capo degli scuri guardiani dell'Harem. Masrur, dopo che gli fu sussurrato qualcosa all'orecchio, comincio a piangere.

- Che siate benedetto, cuoricino! - disse quell'ufficiale rivolto a me - Il vostro papà se l'è vista proprio brutta!

Sconvolto nell'intimo chiesi: - E' molto malato?

- Che il Signore mitighi il vento su di voi, agnellino mio! - disse il buon Masrur inginocchiandosi, sì che potessi trovare conforto appoggiando la testa sulla sua spalla - Il vostro papà è morto!

A quelle parole Harun al-Rashid svanì; il serraglio scomparve; da allora non vidi mai più nemmeno una delle otto più bionde fanciulle della stirpe degli uomini.

Fui riportato a casa e il debito era lì almeno quanto la morte; ci fu così una vendita all'asta. Il mio lettino fu cinicamente scrutato da una potenza a me sconosciuta, nebulosamente definita "Commercio" e fu così che un secchiello di ottone, un girarrosto e una gabbia furono messi insieme per ricavarne un lotto e furono poi venduti per un tozzo di pane. Lo addentai, lo masticai e pensai quanto era duro e amaro da mangiare quel pane!

Poi fui mandato in una immensa, fredda e tetra scuola per ragazzi più grandi, dove tutto quello che c'era da mangiare e da mettersi addosso era pesante e dozzinale, senza essere sufficiente; dove tutti, grossi o piccoli che fossero, erano crudeli; dove i ragazzi sapevano tutto della vendita all'asta già prima del mio arrivo e mi chiedevano quanto ero riuscito a raggranellare, chi mi aveva comprato, e mi strillavano dietro: "Uno due aggiudicato!". In quel posto di disgrazia non mi lasciai mai sfuggire che io ero stato Harun o che avevo avuto un serraglio: poiché sapevo che se avessi detto una parola sul mio passato mi sarei così abbattuto da buttarmi nello stagno melmoso vicino al campo da gioco, che era scuro come la birra.

Povero povero me! Nessun altro fantasma ha abitato la stanza del ragazzo, amici miei, dal momento in cui io l'ho occupata, tranne il fantasma della mia fanciullezza, il fantasma della mia innocenza, il fantasma delle mie belle illusioni. Più e più volte ho inseguito il fantasma e mai sono riuscito con questo passo di adulto a raggiungerlo con queste mani di adulto, a toccarlo né a questo cuore di adulto è più riuscito di possederlo nella sua purezza. Ed eccomi qui, come potete vedere, mentre sconto in tutta allegria e gratitudine la condanna di radere nelle specchio una clientela sempre diversa e di giacere e alzarmi dal letto con lo scheletro a me destinato quale mortale compagno.

 

 

 

Il fantasma della Stanza ad angolo.

 

Avevo notato che il signor Governor diventava sempre più irrequieto man mano che si avvicinava il suo turno - il suo "incantesimo"lo chiamava - e a questo punto ci sorprese tutti alzandosi in piedi con aria grave e chiedendo il permesso di "andare a poppa" e di avere un colloquio con me prima di raccontare la sua storia. La grande simpatia di cui godeva fece sì che questa licenza gli venisse gentilmente concessa. Così uscimmo insieme nell'ingresso.

- Mio vecchio compagno di bordo - mi disse il signor Governor - da quando mi trovo su questa vecchia carcassa sono sempre ossessionato, giorno e notte.

- Da che cosa, Jack?

Il signor Governor, battendomi la mano sulla spalla e lasciandocela, disse:

- Da qualcosa che ha le sembianze di una donna.

- Ah! La vostra antica pena. Non ne guarirete mai, Jack, doveste vivere cento anni!

- No, non parlate così, sto dicendo sul serio. Tutte le notti sono ossessionato da una figura. Durante il giorno, poi, mentre mi trovo in cucina, quella stessa figura mi mette una tale confusione addosso che mi chiedo come ho fatto a non avvelenare l'intero equipaggio. Ebbene, niente fantasie in questo caso. Volete vedere la figura?

- Con molto piacere.

- Allora, eccola! - disse. E mi presentò mia sorella, che era uscita furtiva alle nostre spalle.

- Oh, davvero! - esclamai -. Allora, suppongo, Patty cara, di non aver motivo di chiedere se anche tu sei stata ossessionata...

- Senza un attimo di tregua, Joe - lei rispose.

Quello che seguì quando rientrammo tutti e tre insieme e io presentai mia sorella come il fantasma della Stanza ad Angolo e Jack come il fantasma della Stanza di mia Sorella, fu un trionfo, lo strepitoso successo della serata. Il signor Beaver in particolare era così deliziato che lì per lì dichiarò che "mancava poco e si sarebbe messo a ballare la danza del marinaio". Il signor Governor provvide subito a questo poco che mancava e si offrì di esibirsi in una danza del marinaio a ritmo doppio: fu così che prese a ballare di tacco e di punta, a percuotersi le fibbie, a strisciare i talloni ed eseguì con le gambe in vibrazione tutta una serie di figure di scivolamento tali che nessuno di noi aveva mai visto prima, o che non vedrà più un'altra volta. Dopo aver riso e applaudito fino a essere esausti Starling, per non restare nell'ombra, ci fece l'onore di intrattenerci con uno spettacolo di danza più moderno, alla maniera del ballo con gli zoccoli del Lancashire: per quello che ne sola danza più lunga che mai sia stata eseguita. Mentre ballava, il suono dei suoi piedi diventò una locomotiva che attraversava trincee, gallerie e l'aperta campagna, e diventò un'incredibile quantità di altre cose che non avremmo mai sospettato, a meno che egli non ci avesse gentilmente detto cosa fossero.

Quella notte, prima di separarcisi, decise che il nostro soggiorno di tre mesi nella casa infestata dovesse chiudersi con il matrimonio di mia sorella e del signor Governor. Belinda fu nominata damigella della sposa e Starling fu designato quale accompagnatore dello sposo.

In breve, passammo il periodo che ci restava in grande allegria e neppure per un attimo fummo ossessionati da qualcosa di più spiacevole delle nostre fantasie e dei nostri ricordi. La moglie di mio cugino, profondamente innamorata del marito e grata per il mutamento che l'amore aveva prodotto in lei, ci aveva svelato , per bocca del marito, la sua storia; e sono certo che non ci fu nessuno di noi che per questo non l'apprezzasse e la rispettasse di più.

Fu così che alla fine, prima che il mese più breve dell'anno fosse del tutto passato, ci incamminammo una mattina verso la chiesa con la cuspide come se niente di insolito dovesse accadere; là Jack e mia sorella vennero uniti in matrimonio come si conveniva. Mi sovviene di dire che Belinda e Starling, come notai, furono piuttosto sentimentali e languidi in quella occasione e che da allora si sono fidanzati e vogliono sposarsi nella stessa chiesa. Cosa che considero eccellente per tutti e due un tipo di unione molto salutare per i tempi in cui viviamo. Lui ha bisogno di un po' di poesia, lei di un po' di prosa, e il matrimonio delle due cose è il più felice che io conosca per tutti gli esseri umani.

In conclusione, ho appreso questi auguri di Natale dalla casa dei fantasmi, e affettuosamente li invio di tutto cuore a tutti i miei lettori: - Facciamo uso della grande virtù, la Fede, ma non ne abusiamo; e facciamone l'uso migliore avendo fede in quel grande libro di Natale che è il Nuovo Testamento e gli uni negli altri.

 

 

 

 

Writer2ePub

 

Created with Writer2ePub

by Luca Calcinai

 

 

.