Ma non voleva: era onesto fino alla manìa, e per questo gli avevano dato il posto di portalettere, anche per le raccomandate e le assicurate, con uso di bicicletta quando si trattava di distribuire espressi e telegrammi, o di andare lontano.

In bicicletta dunque andava tutti i giorni a portare Il Sole alla fattoria Busoni, e pedalando sull’argine come sulla lama di un coltello, con la gobba che pareva una terza ruota del veicolo, cantava e fischiava allegro come un fringuello.

Quel giorno però si sentiva insolitamente preoccupato; di tanto in tanto fermava la macchina come volesse scendere, e guardava una lettera che premeva forte col pollice sui giornali tenuti con la mano sinistra. Era una lettera sopraffina, con la busta orlata d’oro, indirizzata alla signorina Rachele Busoni, figlia unica del ricco fattore: una lettera, infine, che odorava di dichiarazione d’amore come odora il bocciolo della rosa sebbene ancora sigillato.

Per vincere la tentazione di portarsela accanto al viso e odorarla davvero, il gobbino riprende a pedalare vertiginosamente, senza vedere altro che la china verdissima dell’argine e in fondo il tremolare dei pioppi confuso con quello dell’acqua gialla del fiume.

Ma non si può correre così dritti fino al mare: la fattoria è nell’interno della valle, e quasi d’iniziativa propria la bicicletta si piega, scivola per il sentiero obliquo della china a destra, imbocca il viottolo fitto di siepi e vi sparisce come nella gola di un pescecane.

Nel viottolo, dopo la grande luce ed il caldo dell’argine, il gobbino provò un senso notturno di freddo, di buio: adesso poi bisognava andare adagio, perché il terreno era sabbioso ed umido: andò adagio, dunque, e istintivamente, come sicuro di non essere veduto neppure da sé stesso, si avvicinò la lettera al viso. Tutti i suoi sensi si accesero: gli parve di vedere, con una visione esasperata e palpabile fino all’allucinazione, la bruna e grassotta Rachele col viso riverso sotto quello dell’uomo che le scriveva: così gli erano passate sott’occhio centinaia di cartoline illustrate, dalle quali bastava staccare il francobollo per leggervi sotto frasi d’amore doppiamente proibite. E

l’impressione, più che il pensiero, che egli era per l’eternità scacciato dal paradiso terrestre dell’amore, gli mutò il sangue in veleno.

Prima di arrivare alla fattoria, che sorgeva allo sbocco del lungo viottolo, nascose la lettera fra i giornali; poi penetrò di furia, per il portone sempre spalancato, nella grande aia che precedeva la casa colonica. E proprio nella porta d’ingresso, come nella cornice di un quadro, gli appare la figura bruna e rosea di Rachele. Alle sue spalle s’intravedeva una tavola con panieri di grosse pesche di un nero rossiccio peloso e l’ombelico verde, e in fondo alla stanza un’altra porta con un festone di vite dal quale pendevano grappoli duri brillanti come stalattiti.

Si sentiva un grande mugghiare di bovi nel fitto del podere, e tutto intorno, dalle tacchine con la testa d’argento e la gala rosa della gola, ai grossi galli di fiamma i cui bargigli di scarlatto e la cresta grassa schizzavano lussuria, tutto denotava l’opulenza del luogo.

- C’è il giornale - disse il gobbo, fermandosi, con un piede giù dalla bicicletta.

Senza rispondere, la ragazza tese la mano per prendere Il Sole.

11

Il gobbo guardava come gli uccelli, con uno sguardo circolare che gli permetteva di vedere anche dietro di sé senza voltarsi. Quando fu certo che nessuno era nell’aia e nella casa, disse sottovoce:

- Ho pure una lettera per lei.

Come scottata da una fiamma ella balzò e si fece rossa fin sulle braccia nude.

- Dà qui.

L’esitazione di lui, che pareva volesse chiederle qualche cosa in cambio, le fece metter mano al portamonete. Egli si avvide dell’atto e a sua volta arrossì: trasse la lettera di mezzo i giornali e gliela buttò quasi in viso; poi se ne andò di volo.

Più affabile fu lei, quando il giorno dopo e nei seguenti egli tornò col giornale e lettere d’affari. Lo aspettava, gli andava incontro, e un giorno si spinse fino al viottolo: giusto quel giorno egli aveva una lettera simile alla prima, ma come la prima la teneva nascosta fra i giornali.

- Nulla - disse, fermandosi con un piede su e uno giù; e fissava la ragazza negli occhi con gli occhi verdi venati di rosso.

- Non è vero - disse lei ansimando. - Tu sei cattivo. Dammi la lettera.

- Gliela do, ma ad un patto.

- Di’ pure, di’.

- Lei mi dà un bacio.