Solleva la testa e pensa.

- Tutti gli oggetti che possiedo mi sono egualmente cari. Perché?

- Pensa ad uno di essi.

- Ma perché? Che t’importa?

- Te lo dirò poi. Pensa a uno di essi.

- L’orologio a bracciale - suggerisce Billa che è scivolata dall’albero e fa le smorfie alla sua ombra.

- L’orologio a bracciale - egli ripete, suggestionato.

- Ebbene, Fausto, vogliamo scommettere il tuo orologio a bracciale che io fra tre mesi ho un altro fidanzato?

Fausto tace, e il suo silenzio m’impressiona quasi come il suo pianto. Egli non crede alle mie parole; neppure io. Ma lo specchio terribile che rifletteva il nostro dolore s’è già incrinato; anzi, d’un tratto pare che cada e con un tinnìo cristallino si frantumi per sempre.

È Billa che ride. Rido anche io. Riso di beffa, di speranza e di gioia; sfida istintiva al destino che noi possiamo vincere sempre opponendo l’amore al dolore.

Ed io mi sollevo, sicura che non vedrò più i miei occhi nel terribile specchio.

Dopo una sosta pensosa la mia amica continuò.

Molto tempo è passato.

Io mi domando spesso che cosa sarebbe accaduto di me, dopo la scomparsa di lui, se si vivesse ancora nella vecchia abitazione: forse la morte.

Qui, oltre all’amore per i miei, la natura mi ha salvato: e non faccio della poesia, no, ma della religione, quando penso che forse lo spirito della mamma, riavvicinandosi a me, si è trasfuso nella terra: e la terra mi è stata madre una seconda volta, mi ha fatto rinascere.

Mia madre era giovanissima, quando è morta: amava la vita con quell’ardore che solo le donne, come lei, oriunde dalle grandi campagne favolose del mezzogiorno, possono frenare e nascondere. La città, forse, l’ha fatta morire prima del tempo: la città che alle anime diritte e primitive risponde col suo viso di prisma iridato e allucinante, arido sotto il suo falso splendore.

E se non proprio lo spirito della mamma, quello che animava il suo corpo, certo lo spirito eterno della razza rivive in me e mi salva. A volte ho come un vertiginoso senso di ricordo, che mi fa intravedere una terra lontana dove le donne sono pari ancora agli uomini, quindi rispettate e temute: forse le terre boscose dove le amazzoni si tagliavano il seno perché il braccio si tendesse meglio a scoccare la freccia. Una parte del cuore vivo me la sono tagliata anch’io, certo, con la ferma volontà di combattere il dolore nemico, di farne anzi una preda.

Per molto tempo, però, anche lo spirito di lui è vissuto intorno a me, nelle cose che aveva veduto, che avevano conservato il riflesso dei suoi occhi e il suono delle sue parole.

Così divenni e sono ancora amica della natura. Quando dopo i giorni di arsura innaffio le piante e i cespugli, le foglie mi sorridono, grate del benefizio.

Sorridono, col loro scintillare, come scintillano le pupille degli uomini nei momenti di gioia; ed io sento che non è un riflesso esterno, un effetto dell’acqua; è lo spirito della terra che ringrazia. Allora provo quasi un senso di voluttà panica nel rendere felici le piante assetate: ho l’impressione che lo zampillo dell’acqua sgorghi dalle mie dita e che un ponte di perle mi unisca 10

alla bellezza della natura: l’arancio, promessa di vita, il crisantemo, promessa di morte, il rosaio e la vite, che rallegrano e destano le illusioni dell’uomo, s’inghirlandano di luce, a mia volontà, come sotto la pioggia del buon Dio.

E quando Dio, dimentico o irato, manda la lunga siccità, io lo sostituisco, nel mio giardino; penso però che l’acqua della fontana è ancora quella creata da Lui, e dopo aver dissetato la terra stendo la mano fangosa per lavarla sotto lo zampillo corrente; l’acqua sobbalza, e una croce di perle giunge a solcare e ribenedire il mio viso inaridito dalla siccità della vita.

IL BACIO DEL GOBBINO

Il gobbino entrava in tutte le case del paese e, volendo, avrebbe potuto sapere i più segreti affari delle famiglie che le abitavano.