Perché mi hai abbandonato, Signore? Che posso io offrire adesso in sacrificio perché il mio veleno di serpe sparisca dalle vene della mia vittima?

Si piegò fino a terra, baciò il pavimento polveroso; e quando si sollevò gli parve di aver finalmente ritrovato l’amante che il Signore gli negava su questo mondo.

La sera stessa Rachele fu giudicata fuori pericolo. L’ascesso s’era crepato; la febbre, durante la notte, diminuì, e all’alba scomparve coi sogni maligni degli uomini fuori delle vie del Signore.

La gioia di lei era tale che concedeva perdono anche al gobbo velenoso.

Ma quando il grido delle tacchine in amore e il muggito tonante dei tori salutarono il sorgere del sole, un urlo di terrore scompose la maestà dell’ora.

Rachele si buttò giù dal letto, aprì la finestra, e davanti a lei, mentre di sotto la contadina chiamava aiuto, vide il cadavere del portalettere, investito dai raggi diamantini del sole, pendere da un ramo del gelso: e vi si dondolava come uno di quei gobbini d’argento che le donne tengono attaccati alle loro catenelle in segno di buona fortuna.

LA LEGGENDA DI APRILE

Dei figli dell’Anno, Aprile era il più bello, alto, già, e nervosamente robusto, sebbene ancora in crescenza, come gli snelli abeti giovani delle radure del bosco. Bonaccione, anche, laborioso e innocente, coltivava, col padre, i campi e i frutteti tutti in fiore, e gli orti dove la tenera freschezza degli erbaggi era tale che neppure le farfalle, per non sciuparli, li sfioravano. La madre lo adorava: gli altri figli erano lontani e, aspettandone il ritorno, ella viveva solo della presenza di questo suo diletto fanciullo: tale, almeno, ella lo considerava ancora, sebbene Aprile la sopravanzasse di tutta la testa.

La loro casa era sul margine fra le terre coltivate e l’abetaia che s’inerpicava sui monti: casa comoda, sebbene contadinesca, dove tutti lavoravano e quindi nulla mancava.

Ma un giorno un velo d’ombra vi si diffuse. Aprile, dopo essere stato a messa nel villaggio, era tornato pallido e con le carni fredde come quando sta per venire la febbre: e alle premure della madre aveva, per la prima volta in vita sua, risposto sgarbatamente.

Ella fece subito, quasi con paura, il suo esame di coscienza: ma trovò che il suo maggior peccato verso il figliuolo era quello di volergli troppo bene.

Eppure le pareva che il malessere di Aprile dipendesse da lei: e se lo sentiva con angoscia in tutta la persona.

A tavola, egli quasi non toccò cibo; e rispose risentito anche al padre che, al solito, scherzava e filosofava su tutte le cose.

- Sai cos’è il tuo male? Male di stagione: mal d’amore.

Aprile si alzò, respinse con un calcio la sedia e se ne andò senza più parlare.

La madre parve svenire: il padre la rassicurò: 13

- Ma va là, sono i primi calori.

Infatti erano giornate di un caldo eccezionale. Nel pomeriggio soffiava già il vento estivo di ponente e il frutteto gettava via i suoi ultimi fiori, infastidito della loro poesia. Anche Aprile s’era tolto il suo vestito di lana e si aggirava qua e là, scarmigliato, imbronciato e inoperoso: oppure dormiva, e allo svegliarsi sbadigliava lungamente e si irritava per ogni piccola contrarietà. La madre era la sua vittima rassegnata e dolente.

Al padre dispiaceva sopratutto che Aprile disertasse il lavoro e che nell’orto, non più irrigato, gli erbaggi ingiallissero e si seccassero: però si spiegava l’umore del giovine e tentava di spiegarlo alla moglie.

- In questa stagione tutte le creature hanno bisogno d’amore. È tempo di cercare una sposa per il nostro Aprile.

Cercavano, enumerando ad una ad una tutte le fanciulle di loro conoscenza. Ma, secondo la madre, nessuna era adatta per il figliuolo: chi aveva un difetto, chi l’altro; chi era troppo povera e di cattivo lignaggio, chi troppo ricca o pericolosamente bella. Del resto, quando davanti al giovine bisbetico si parlava di queste presumibili spose, egli le scherniva, le disprezzava e le rifiutava tutte. Questo era un conforto strano per la madre; perché in fondo ella era gelosa della donna che gli avrebbe portato via il figlio.

Tuttavia Aprile era innamorato: crudamente, mortalmente innamorato.